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Da Euripide a oggi, la guerra di Troia non è mai finita

Per il 55° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Greco di Siracusa sono state presentate due opere di Euripide: Le Troiane e Elena dirette da Muriel Mayette-Holtz e Davide Livermore. Recensione.

Foto Franca Centaro

“Le donne e la guerra” è il cardine della 55° edizione del Ciclo di Spettacoli Classici  del Teatro Greco di Siracusa. Da un lato, dunque, la violenza dei conflitti e dall’altra il soggetto femminile, (vittima inerme, casus belli odiata-amata oppure parte di un esercito pacifista), che si impone al centro di una riflessione antimilitarista e a favore dei vinti, nella quale non solo la guerra appare nella sua forza distruttiva, ma anche come sforzo inutile, orchestrato da grandi e capricciose potenze, capaci di cambiare bandiera senza preoccuparsi delle conseguenze nefaste.

Le due tragedie che fino alla fine di giugno si stanno alternando sull’imponente teatro di pietra siciliano (e che lasceranno poi spazio alla Lisistrata aristofanea fino alla prima settimana di luglio) sono entrambe nate dalla mano di Euripide: Le Troiane, diretta da Muriel Mayette-Holtz e l’Elena con la regia e le scene di Davide Livermore. Due punti di vista che mettono in moto diverse strutture drammaturgiche (atipiche ciascuna a loro modo) e che però trovano nel presente un terreno fertile all’interno del quale instaurare un dialogo niente affatto scontato.

Si dice che l’azione all’interno delle Troiane sia quasi nulla; è vero infatti che tutta l’opera è costruita attorno all’attesa del verdetto nei confronti delle donne di Ilio, sconfitte e per questo destinate ad essere smistate tra gli achei in quanto trofeo o come serve: in scena dunque lo strazio della regina Ecuba (controllato dal verso ma vivificato nella voce di Maddalena Crippa), la follia di Cassandra (che alterna toni bambini a una voce roca e scomposta, quella di Marial Bajma Riva), la disperazione di Andromaca (come sempre profonda l’interpretazione di Elena Arvigo) per aver perso il marito Ettore e per vedersi uccidere il figlioletto Astianatte, buttato giù da un dirupo perché considerato potenzialmente pericoloso nel futuro. Tra loro anche il coro, che irrompe sulla scena, subito dopo le esplosioni che rimbombano all’inizio dello spettacolo. Arrivano dentro a una foresta di alberi tagliati, indossano tute da lavoro, impolverate e imbiancate, sono tutte uguali. Che cosa ha tolto loro la guerra? La libertà, la dignità, l’identità individuale. L’azione è rinchiusa in questa privazione.

Foto Bianca Burgo

Subito dopo l’esplosione i loro corpi sono riversi a terra, mentre ai lati arrivano gli dei Poseidone (Massimo Cinaglia) e Atena (Francesca Ciocchetti), ai quali è affidato il prologo. Originariamente appartenenti a fazioni opposte (l’uno legato a Troia, l’altra agli Atridi), presto i due stringono un’alleanza politica che porterà altra sofferenza – “ed è per questo che col tuo aiuto voglio far loro del male” chiede Atena – non tanto per rivendicazione delle sofferenze di un popolo quanto per una rivalsa personale. Inoltre, al contrario del coro, i due dei indossano abiti iconici con pepli morbidi, elmo e lance, incarnando quasi il loro stereotipo; ma non sono forse sempre ben vestiti i potenti? I loro toni sono placidi, furbi, politici, orchestratori del loro interesse. Allora alcune battute riecheggiano prepotentemente proprio per lo scarto tra detto e suggerito.

Troia distrutta diventa una foresta di tronchi secchi concepiti da Stefano Boeri (estirpati dalla tempesta “Vaia” che aveva abbattuto diverse foreste del Nord Est e simbolicamente restituiti con un giovane albero nuovo dopo ogni replica da piantare in città). Guardandola, Poseidone afferma: “I boschi sacri sono vuoti / i templi degli dei grondano sangue”. Queste parole, che da testo confermerebbero l’espressione di dolore nei confronti della sua città protetta, in questa versione appaiono connotate da una più ambigua sfumatura. Soprattutto in relazione alla battuta successiva, all’interno della quale non sembra tanto emergere l’affronto del luogo divino profanato, quanto il correlativo oggettivo delle conseguenze dei capricci degli dei, la cui dimora gronda sangue per mano loro e non importa molto a chi appartenga.

Foto Bianca Burgo

L’assurdità della guerra è il traino principale anche nelle parole di Ecuba, il cui dolore non è più lo strazio sregolato ma è prosodia cinica e regale, che invoca con rabbia Zeus chiamandolo (nella scorrevole traduzione di Alessandro Grilli) “inconcepibile enigma”; quando viene a conoscenza della sua sorte dalle parole di Taltibio (sbrigativo e rude, ma anche pietoso quello di Paolo Rossi); o quando ancora finisce per dar man forte a Menelao giunto a recuperare Elena. Quest’ultima, figura ambivalente, seduttrice e vittima al contempo, sembra quasi spostare l’asse del discorso, vorrebbe ribellarsi a quella società che la vedeva come un oggetto di contesa, e che invece la condanna inequivocabilmente. Il coro la accerchia e alcuni uomini la porteranno via, tutti vittime dello stesso inganno, di una guerra voluta dall’alto e che soltanto all’apparenza è governata da leggi e pulsioni umane. Eppure, questa tensione chiede ancora di essere sofferta, di essere condivisa. Così, dopo la morte di Astianatte, ogni donna smette gli abiti da lavoro e scopre tuniche rosse, come rosso è il fuoco della città che brucia tra boati e fiaccole, davanti alla tomba del bambino: il coro canta e raggiunge la platea, salendo sugli spalti, provando a invocare la coscienza di una città (quella di allora e questa di adesso) che silenziosamente sta a guardare questo finale in minore.

Foto Franca Centaro

Discorso diverso potrebbe essere fatto per l’Elena del regista dell’Attila scaligero. In questo dramma a intreccio Euripide presentava una variante del mito in cui la guerra appariva ancora più inutile poiché a Troia non sarebbe andata la vera Elena, ma soltanto un suo fantasma, mentre “la spartana” sarebbe stata segretamente portata in Egitto dal dio Ermes. Lì sarebbe approdato anche Menelao, il quale, una volta ritrovata la moglie e scoperto l’inganno divino, sarebbe riuscito a ingannare a sua volta il nuovo re Teoclimeno, che avrebbe voluto farla sua sposa, e con lei tornare salvi a casa. Su questa base Livermore dirige uno spettacolo (di cui cura anche l’impianto scenico che vede  l’orchestra ricoperta d’acqua, tra i ruderi di una nave, una tomba e uno schermo in fondo) in grado di trascinare gli spettatori, mossi più volte ad applaudire perché riconoscono davvero come proprie e dolorosamente attuali alcune questioni. Alla lapidaria frase pronunciata da una vecchia, “qua da noi i porti sono chiusi”, Menelao – dichiarandosi esule, non re – reclama a forza il proprio diritto a essere accolto perché l’ospite è sacro; e quando scopre l’inganno si chiede: “Ma allora abbiamo combattuto per niente?”. E ancora, a Teoclimeno, arrogante, affettato egoista, viene ricordato come si dovrebbe essere re soltanto quando si è nella ragione. Di fronte a ciascuna di queste battute, il pubblico esplode in un applauso fragoroso, comunità unita che si rispecchia davvero, che ritrova nell’agorà teatrale una voce messa a tacere dalla politica fuori dal palco.

Foto Franca Centaro

I temi civili sono gli stessi, eppure, più che nella ligia e pulita regia di Mayette-Holtz, la scommessa di Livermore è quella di presentare una messinscena dai tratti accesi e dai ritmi dissonanti, che riesce a instaurare un reale dialogo con la sua platea. Per farlo mette in campo una esuberanza di segni scenici scientemente pacchiani ma a volte superflui: oltre che nella videoproiezione a fondo palco – decorativa ma poco incisiva nei suoi loop di dissolvenze tra onde, statue e il viso antico della protagonista – è soprattutto nella fase centrale, alla corte del re, che i toni volutamente grotteschi trascinano tutti in un gioco forse troppo patinato e frivolo. Eppure, a questi si accostano per contrasto la dignità di Menelao (degno di nota Sax Nicosia) che trascina la nave e, grazie a quel gesto reale, sa incanalare la tensione vibrante nelle parole; e poi ancora le danze mortuarie del coro, avvolto di neri veli, anche quelle affondano gli stivali nell’acqua, che diventano emanazione concreta delle emozioni che agitano i personaggi.

Foto Maria Pia Bellarino

Ma soprattutto – ed è questo il reale risvolto tragico – presenta il dramma di Elena, costretta tra una molteplicità di poli opposti a combattere tra l’immagine di sé e la propria vera forma. Laura Marinoni, elegantemente vestita di un abito pieno di paillettes dorate, è statuaria, resistente alle grinfie del figlio di quel re che l’aveva così bene accolta, mentre tutti quanti la chiamano empia, “cagna”, traditrice del letto coniugale e della patria. Si tratta di una tragedia prima di tutto interiore, per cui gli stasimi spesso diventano, pronunciati dalla sua voce fuori campo, estensione del suo pensiero. Allora la duplicità viene resa concretamente, moltiplicando l’immagine della protagonista in quella di altre donne che, vestite similmente, recano uno specchio di fronte al viso, così da perdersi nel riflesso infinito. Che cosa è reale, che cosa è finto? Questioni che al teatro stanno molto a cuore e che però acquistano altro senso quando, alla fine, il viso di Elena appare invecchiato, e attorno a lei tutto sembra essere sospeso, forse oramai un ricordo. Chi era quella presenza di cui abbiamo ascoltato la storia? E le anime che l’avevano mossa erano fantasmi del suo passato, speranza vivificata o concreta speranza? Elena sembra l’unica presenza tangibile, anche lei superstite, anche lei attorno a cumuli di macerie. Non le serve superare il velo d’acqua, chi l’ha vista ha capito la sua storia e l’ha fatta propria.

Viviana Raciti

Teatro Greco di Siracusa – giugno 2019

LE TROIANE
Opera di | Euripide
Traduzione | Alessandro Grilli
Regia | Muriel Mayette-Holtz
Poseidone | Massimo Cimaglia
Atena | Francesca Ciocchetti
Ecuba | Maddalena Crippa
Capo coro | Elena Polic Greco
Corifea | Clara Galante
Taltibio | Paolo Rossi
Cassandra | Marial Bajma Riva
Andromaca | Elena Arvigo
Astianatte | Riccardo Scalia
Menelao | Graziano Piazza
Elena | Viola Graziosi
Chitarrista | Fiammetta Poidomani
Capo coro di vecchie prigioniere troiane | Doriana La Fauci
Accademia d’Arte del Dramma Antico sezione Scuola di Teatro “Giusto Monaco”
Coro di prigioniere troiane | Giulia Antille, Beatrice Barone, Priscilla Bavieri, Virginia Bianco, Simona Caleca, Irene Cangemi, Serena Carignola, Serena Chiavetta, Federica Cinque, Benedetta D’Amico, Simona De Sarno, Ambra Denaro, Adele Di Bella, Giorgia Greco, Federica Gurrieri, Irene Jona, Giorgina Kezich, Valentina Lo Manto, Sveva Mariani, Sara Mancuso, Vittoria Mangiafico, Ornella Matragna, Giulia Messina, Silvia Messina, Irene Mori, Arianna Pastena, Francesca Piccolo, Daniela Quaranta, Isabella Sciortino, Alba Sofia Vella, Francesca Vignali, Gaia Viscuso, Gabriella Zito
Guardie di Taltibio | Alessio Iwasa, Davide Raffaello Lauro, Riccardo Livermore, Nicola Morucci, Andrea Pacelli, Gabriele Rametta
Accademia d’Arte del Dramma Antico sezione Scuola di Teatro “Fernando Balestra”
Guardie di Menelao | Salvatore Amenta, Massimo Marchese, Francesco Piraneo
Coro di vecchie prigioniere troiane | Maria Baio, Maria Gabriella Biondini, Cettina Bongiovanni, Carmen Cappuccio, Irene Di Maria, Lucia Imprescia, Rosamaria Liistro, Giusy Lisi, Maria Verdi
Regista assistente | Mercedes Martini
Progetto Scenico | Stefano Boeri
Costumi | Marcella Salvo
Musiche | Cyril Giroux
Disegno Luci | Angelo Linzalata
Drammaturgo | Cristiano Leone
Assistente per il progetto scenico | Anastasia Kucherova
Direttore del coro | Elena Polic Greco
Direttore di scena | Giuseppe Coniglio
Assistente volontario | Ginevra Di Marco
Coordinatore allestimenti | Marco Branciamore
Responsabile sartoria | Marcella Salvo
Progetto audio | Vincenzo Quadarella
Responsabili settore scenografico | Antonio Cilio, Carlo Gilè
Responsabile trucco e parrucco | Aldo Caldarella
Costumi | Laboratorio di sartoria Fondazione Inda Onlus
Scenografie | Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus
Area Comunicazione | www.indafondazione.org


ELENA
Opera di | Euripide
Traduzione | Walter Lapini
Regia | Davide Livermore
Elena | Laura Marinoni
Teucro | Viola Marietti
Menelao | Sax Nicosia
Una vecchia | Mariagrazia Solano
Primo Messaggero | Maria Chiara Centorami
Teonoe | Simonetta Cartia
Teoclimeno | Giancarlo Judica Cordiglia
Messaggero di Teoclimeno | Linda Gennari
Corifea | Federica Quartana
Coro e Dioscuri | Bruno Di Chiara, Marcello Gravina, Django Guerzoni, Giancarlo Latina, Silvio Laviano, Turi Moricca, Vladimir Randazzo, Marouane Zotti
Costumi | Gianluca Falaschi
Musiche | Andrea Chenna
Disegno Luci | Antonio Castro
Video Design | D-Wok
Assistente alla regia | Alberto Giolitti
Assistente scenografo | Lorenzo Russo
Assistente ai costumi | Anna Missaglia
Direttore di scena | Mattia Fontana
Assistenti volontari | Danilo Carciolo, Dario Castro, Eleonora Sabatini
Coordinatore allestimenti | Marco Branciamore
Costumista assistente e responsabile sartoria | Marcella Salvo
Progetto audio | Vincenzo Quadarella
Responsabili settore scenografico | Antonio Cilio, Carlo Gilè
Responsabile trucco e parrucco | Aldo Caldarella
Costumi | Laboratorio di sartoria Fondazione Inda Onlus
Scenografie | Laboratorio di scenografia Fondazione Inda Onlus
Area Comunicazione | www.indafondazione.org
Si ringrazia Crea Fx Effetti Speciali

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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