La prima assoluta di Glitter in My Tears di Enzo Cosimi, tra tragedia greca e studio delle pratiche sadomaso, appare nella rassegna Grandi Pianure, curata da Michele Di Stefano per il Teatro di Roma. Recensione.
Nella rassegna Grandi Pianure diretta da Michele Di Stefano, il Teatro India di Roma ospita la prima assoluta di Glitter in My Tears – Agamennone di Enzo Cosimi. Di fronte a una platea stracolma, il bianco tappeto in PVC è sormontato da due lunghe stecche di LED, sorrette da funi che le fanno abbassare e alzare. Alice Raffaelli, Giulio Santolini e Matteo De Blasio, rispettivamente Clitennestra, Agamennone ed Egisto, entrano in scena uno alla volta, mentre la loro voce fuori campo li descrive, come leggendo il testo di un annuncio di incontri sessuali, specificando come e perché infliggere e subire violenza generi piacere, portando esempi di turpi fantasie. Lo spettatore li osserva percorrere lo spazio vuoto, vestiti solo di biancheria intima.
La prima tragedia del ciclo eschileo dell’Orestea – cui questo spettacolo offre una nuova veste – narra il ritorno ad Argo dalla Guerra di Troia del re Agamennone. Con l’aiuto di suo cugino Egisto, la moglie Clitennestra lo ucciderà, per vendicare, al contempo, il sacrificio della figlia Ifigenia (perpetrato dieci anni prima su consiglio dell’indovino Calcante) e l’adulterio del sovrano, unitosi alla schiava troiana Cassandra.
Nella costruzione drammaturgica di Cosimi (ben spiegata nell’intervista pubblicata qui) la coreografia conquista un proprio ruolo preciso, lontano da ogni facile riferimento alle dinamiche proprie del sadomasochismo e più vicino al correlativo oggettivo di un testo: l’Agamennone, in grado da sé di realizzare un complesso apparato semantico, viene qui ritradotto in un linguaggio capace di rendere esplicite specifiche simbologie attraverso il movimento del corpo e il suo accordo con forme verbali altre dalla consegna delle battute originali. I versi di Eschilo e quelli contemporanei di Giulia Roncati e dell’inglese Genius P-Orridge si uniscono a dati biografici degli interpreti, a estratti teorici di stampo queer e a una spiegazione clinica (con tanto di stilizzata dimostrazione performativa) di come l’equilibrio tra dolore e piacere possa far fronteggiare la sfera del potere con quella della creazione di una pratica dal presunto valore estetico.
La studiosa Romana Byrne, infatti, intitola la propria storia letteraria del sadomasochismo con la locuzione «estetica sessuale», una ars erotica che in parte confuta le formulazioni teoriche di Michel Foucault, il cui pensiero, su tutti, sembra giungere a definire i contorni del ragionamento scenico di Enzo Cosimi. In particolare nei tre volumi della sua Storia della sessualità (1976), si parla del rapporto tra potere, sapere e sessualità: in Glitter in My Tears sembra proprio veder svolta la concezione di un corpo come costrutto socio-culturale controllato da dispositivi di sapere/potere che concretamente lo producono e lo modellano, attraverso una spinta “normalizzante” nei confronti delle pratiche sessuali.
Nel ciclo dell’Orestea la reazione a catena di violenza e vendetta investe i vari rami di un albero genealogico, portando in primo piano le relazioni famigliari, spargendo la macchia tragica su figli, sorelle, cugini, esplicitando una tendenza disfunzionale che vede l’alleanza tra Clitennestra ed Egisto (quest’ultimo frutto di un incesto tra padre e figlia) ai danni di un Agamennone che torna a Micene da eroe già sconfitto, spezzato, disilluso, quasi abbandonandosi al sacrificio senza neppure davvero comprenderne la causa.
Il testo è quasi sempre consegnato obbligando il parlato a sovrastare una colonna sonora portante (Cosimi giustappone Georg Friedrich Haas, Mika Vainio e Arvo Pärt), che passa da lugubri o poetici accordi di pianoforte a una partitura di archi in cui gli acuti quasi ultrasonici del violino volano sopra le note basse di violoncello e contrabbasso, lasciando nel mezzo un vuoto armonico destabilizzante.
Nella seconda parte, il bianco lattiginoso della scena si macchia di elementi neri: Clitennestra indossa un paraschiena e incornicia gli occhi con grandi segni che li rendono più profondi e minacciosi, gli interpreti maschili vestono maschere di pelle: i tre si fronteggiano muti, si annusano a vicenda con movimenti lenti e metodici. Leggendo da una cartellina (nera anch’essa), Alice Raffaelli si rivolge direttamente al pubblico per illustrare le “regole” della pratica sadomasochista, mentre gli altri due traducono le indicazioni in schematiche progressioni fisiche. Pur se a volte sdraiati al suolo e intrecciati in pose che richiamano l’amplesso, nei corpi non sopravvive alcuna reale tensione sessuale, gli sguardi si incrociano spesso, perché la relazione visiva è il primo passo verso la costruzione di un piacere basato su rapporti di potere.
I disastrosi equilibri tra i personaggi della tragedia prendono così forma in un racconto radicale e gelido, una coreografia apparentemente svuotata di ogni afflato lirico, fatta di camminate a quattro zampe, prese geometriche e pulite e un sinuoso lavoro a terra. «A questo punto la scena vibra di una violenza non ancora espressa», dichiara Raffaelli al microfono: strizzando l’occhio alla narrazione tragica, ogni evento è raccontato senza che mai venga mostrato davvero, se non per simboli. La forza dei termini e del disegno immaginifico delle situazioni di violenza esplode a un tratto in una scena in cui il massacro di Troia viene letteralmente portato sul palco, disseminando lo spazio di frammenti di manichini insanguinati.
Sotto l’ormai consueta cura luministica di Gianni Staropoli, in grado di mescolare chiarori sepolcrali a violenti tagli e note cromatiche, la morte di Agamennone avviene in piena esposizione (un festeggiamento con tanto di coriandoli glitter) e tuttavia, rispettando il ritmo blando e denso di un rituale, istituisce un nuovo tipo di catarsi. Il terribile lascia spazio a una ritrovata euforia bambina, che infine guida i due assassini fuori scena, come ninfe finalmente libere dal loro persecutore. Alla prima replica, un applauso spaesato spezza il quadro finale, che invece riserva un muto epilogo “fuori di maschera”, dove l’eroe sembra attraversare il limbo della perdita del potere.
In questo definitivo affondo nella materia sessuale – al centro della ricerca di Enzo Cosimi – il tocco si dimostra ancora una volta intelligente e complesso, nel creare un «montaggio architettonico tra corpo e parola», attivato però da una sorta di fredda camera di controllo. La disciplina scenica – finemente restituita e, si intuisce, creata insieme agli interpreti stessi – disegna uno stratificato lavoro fisico che alterna gesto fluido a repentini cambi di ritmo.
Senza abbandonarsi a estetismi di maniera e conservando un generoso spazio per un movimento non tirato a lucido né calligrafico, Glitter in My Tears propone, svolge e risolve una drammaturgia nuda e razionale, dove il riferimento alla tragedia di Eschilo non si limita al parallelismo con le pratiche sadomaso, è invece in grado di consegnare allo spettatore una potente temperie contemporanea. Trovando coerenza in un’esposizione oscena degli equilibri di potere, corpo, parola e musica tratteggiano con ferocia la decadenza intellettuale dell’oggi.
Sergio Lo Gatto
Teatro India (Grandi Pianure), Roma – maggio 2019
GLITTER IN MY TEARS – Agamennone
Orestea – Trilogia della Vendetta
regia, coreografia, scene e costumi Enzo Cosimi
interpreti e collaborazione alla coreografia e ai testi Alice Raffaelli, Giulio Santolini, Matteo De Blasio
testi Enzo Cosimi, Giulia Roncati, Genius P-Orridge
disegno luci Gianni Staropoli
colonna sonora a cura di Enzo Cosimi
musiche Georg Friedrich Haas, Mika Vainio, Arvo Pärt
organizzazione Anita Bartolini
Prima assoluta