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«Se siete venuti per vedere un attore, siete nel posto sbagliato». Uncanny Valley di Rimini Protokoll

Rimini Protokoll ha portato a Milano, negli spazi di FOG Triennale Milano Performing Arts, l’unica data italiana di “Uncanny Valley”. In scena un androide con le fattezze dell’autore. Recensione.

Una scena di Love, Death & Robots

Tra gli esperimenti narrativi più interessanti apparsi nel catalogo ormai ipertrofico di Netflix in questi ultimi tempi c’è di sicuro Love, Death & Robots; si tratta di una serie antologica composta da 18 brevissime storie in cui gli autori sperimentano le potenzialità del mezzo narrativo declinando trame futuristiche che per certi versi richiamano lo stile di Black Mirror ma lo superano per leggerezza. Love, Death & Robots però è inoltre una riflessione sul dispositivo stesso del racconto, sulle potenzialità del mezzo televisivo; la serie scandaglia la variabilità di riproduzione del reale attraverso l’utilizzo, più vario possibile, del cartoon: dal disegno bidimensionale stile anime, alla più evoluta computer graphic che emula sembianze e movimenti di noti attori in carne e ossa. Ecco, qui la visione ha qualcosa di straniante, di fronte a quel tipo di riproduzione della realtà la nostra comprensione vacilla: è un ambiente costruito in maniera totalmente digitale o l’essere che abbiamo di fronte è umano? I suoi movimenti sono dettati dalle sue scelte artistiche e interpretative, dal suo vissuto, dalla sua formazione di attore e di essere umano o da un sofisticato software? Nel momento in cui il nostro sguardo si piega alla possibilità della riproduzione della vita in forma elettronica avviene questo spaesamento, perché in definitiva c’è qualcosa che non torna del tutto, qualcosa che non convince. Gli scienziati giapponesi, all’avanguardia nel campo della sperimentazione robotica, hanno dato a questa sensazione di spaesamento una definizione molto iconica, uncanny valley, una valle sconosciuta, un mondo di mezzo, uno spazio incognito e perturbante nel quale i sensi si appannano eludendo una caratteristica per noi fondamentale e inviolabile: la capacità di distinguere ciò che è umano da ciò che non lo è.

Uncanny Valley – Rimini Protokoll. Foto www.rimini-protokoll.de

L’androide ha qualcosa che rimanda alla condizione dell’attore: una macchina con sembianze umane progettata per comportarsi come noi. Il collettivo tedesco Rimini Protokoll ha mosso un primo passo – almeno tra le sperimentazioni teatrali occidentali – in questo senso. Negli spazi della Triennale Teatro dell’Arte di Milano, all’interno del vivace contenitore di FOG dedicato alle sperimentazioni nelle arti performative, il pubblico ha potuto assistere a una pièce “recitata” totalmente da un robot, Uncanny Valley (Unheimliches Tal, il titolo in tedesco tra l’altro evidenzia, proprio nella parola “unheimliches”, il mistero, l’inquietudine di questa zona di mezzo, tra macchina e uomo). Nella messinscena, pensata dal regista Stefan Kaegi, l’androide ha le fattezze dello scrittore Thomas Melle: sotto il silicone della pelle finta conserva le espressioni dell’autore; la sua voce, di cui è riconoscibile la sorgente sonora situata nella laringe artificiale, si esprime con un sincronia abbastanza fedele rispetto al movimento labiale. Nei primissimi minuti la sensazione di spaesamento è evidente: appare nel buio un viso che accenna piccoli movimenti; eccola la “zona perturbante”, la percezione messa in crisi. Che cosa abbiamo davanti? È una macchina somigliante a un essere umano ma non abbastanza da ingannarci del tutto.

Uncanny Valley – Rimini Protokoll. Foto www.rimini-protokoll.de

Il testo di Melle incrocia la biografia dell’autore con la storia di Alan Turing per poi approdare a una sorta di making of in cui, anche grazie all’utilizzo di video proiezioni, viene raccontata e commentata la creazione dell’androide. Nella ricerca filosofica di Stefan Kaegi il celebre Test di Turing – con il quale dagli anni Cinquanta, (quando apparve sulla rivista Mind) viene misurata proprio la distanza tra l’uomo e la macchina – è uno dei dispositivi concettuali attorno al quale far ruotare l’intera riflessione. Da qui le scelte di mostrare la parte posteriore del cranio scoperta, con i circuiti elettronici a vista, di non preoccuparsi di quel brusio robotico che risuona a ogni movimento degli arti superiori o della staticità degli arti inferiori, sempre piegati nel medesimo accavallamento sedentario.

Uncanny Valley – Rimini Protokoll. Foto www.rimini-protokoll.de

Ma è la modalità di ancoraggio alla biografia dell’autore a essere funzionale: esponendo le fragilità di una vita costretta a relazionarsi con un disturbo bipolare e con evidenti difficoltà nei rapporti con gli altri, Melle spiega – non senza una leggera dose di ironia – quanto potrebbe essere salvifico essere sostituiti da un robot che riesca a sobbarcarsi proprio la fatica dello stare al mondo, nel suo caso la necessità di incarnare un personaggio pubblico; d’altronde Melle, prima di cadere in uno dei suoi momenti di difficoltà, stava lavorando proprio a una pièce teatrale su Alan Turing.

Uncanny Valley – Rimini Protokoll. Foto www.rimini-protokoll.de

E il pubblico? Noi, proviamo empatia per l’autore o per il suo avatar robotico? Il focus, come spesso accade nei lavori di Rimini Protokoll, non è tanto sul plot, che in questo caso rischia anche di essere tutt’altro che avvincente (bisogna aggiungere che il robot rimane seduto per tutta la durata), ma proprio nello spazio di relazione con gli astanti: il protagonista della performance/conferenza è lo spettatore; non a caso l’androide spesso si appella agli spettatori con una seconda persona che vorrebbe problematizzare questa relazione.
«If you came here to see an actor, you’re in the wrong place. But if you came to see something authentic, you’re in the wrong place, too. This is why, today, it’s not about me, but about you».

Andrea Pocosgnich

Leggi anche: Essere o non essere un robot. Teatro e nuove tecnologie

Triennale Teatro dell’Arte, Milano (FOG) – magigo 2019

UNCANNY VALLEY
concept, testo e regia Stefan Kaegi
testo / corpo / voe Thomas Melle
equipaggiamento Evi Bauer
animatronic Chiscreatures Filmeffects GmbH
manifattura e rifinitura artistica della testa in silicone / colorazione e capelli Tommy Opatz
drammaturgia Martin Valdés-Stauber
video design Mikko Gaestel
musica Nicolas Neecke
production management per Rimini Protokoll / touring Epona Hamdan
produzione Münchner Kammerspiele.
coproduzione Berliner Festspiele – Immersion, donaufestival (Krems), Feodor Elutine (Moscow), FOG Triennale Milano Performing Arts (Milano), Temporada Alta – Festival de Tador de Catalunya (Girona), SPRING Utrecht

Performing rights: Rowohlt Theater Verlag, Reinbek bei Hamburg

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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