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Sadomasochismo tragico. Intervista a Enzo Cosimi

Debutta in prima nazionale al Teatro India di Roma Glitter in my tears – Agamennone, prima creazione di un trittico che Enzo Cosimi dedicherà all’Orestea. Un’intervista al coreografo, protagonista della scena italiana.

foto di Daniela Zedda

È sufficiente soffermarsi sui nomi degli artisti le cui strade hanno incrociato il percorso di Enzo Cosimi, per comprendere cosa significhi per il coreografo romano definirsi «un outsider, magari di serie A»: da Fabrizio Plessi – con il quale crea Sciame, opera seminale per la videodanza italiana – ad Aldo Busi, da Miuccia Prada a Roberto Bolle, l’elenco dei collaboratori di una carriera più che trentennale sembra testimoniare un eclettismo gioioso e un’attitudine ribelle, capaci di abbattere schematismi e di sfidare qualsiasi consuetudine percettiva. Apprezzata alle origini quasi esclusivamente dalla critica militante del “nuovo teatro”, l’arte di Enzo Cosimi – grazie anche al progetto RIC.CI – Reconstruction Italian Contemporary Choreography anni ’80/’90, ideato da Marinella Guatterini, al quale si deve il riallestimento nel 2012 di Calore – ha incontrato progressivamente un crescente successo anche nell’ambiente, forse più rigido, della critica di danza: passando dal Premio Danza&Danza nel 2014 per Sopra di me il diluvio, alla partecipazione odierna al ciclo di documentari Why Do We Dance? prodotti da Sky Art International, Cosimi è adesso un protagonista della coreografia nazionale, e ciò nonostante una figura essenzialmente estranea alle correnti, ai movimenti, alle mode. Lo abbiamo raggiunto telefonicamente in occasione del debutto al Teatro India di Roma – nell’ambito della rassegna Grandi Pianure a cura di Michele Di Stefano – di Glitter in My Tears – Agamennone, primo capitolo di una trilogia dedicata all’Orestea e prima tappa di un focus che vedrà poi tornare in scena, al Teatro Vascello, i capitoli del trittico Ode alla bellezza.

Come fanno forse soltanto l’Amleto o i Sei personaggi, l’Orestea costituisce un’opera imprescindibile per qualsiasi artista: quasi una sfida di fronte alla quale si prova un desiderio, una necessità di confrontarsi e misurarsi. Come si è avvicinato al testo eschileo?

foto di Enzo Cosimi

Già quindici anni fa, e per circa un decennio, mi sono dedicato alla figura dell’eroe: già allora era forte la curiosità, la voglia di indagarla… All’epoca si era trattato di un’indagine muscolare, esito di una tensione mentale e fisica. Oggi ho sentito l’esigenza di rimettere in gioco questa figura, ma osservandola con un’ottica totalmente diversa, con un altro sguardo: l’eroe è adesso frantumato, rotto, in rovina, è il risultato di ciò che io sento della società, del momento che stiamo vivendo. L’eroe oggi prova una sensazione erotica, poi una sensazione di morte: per questo ho voluto inquadrare il lavoro in una prospettiva legata alla pratica sadomasochistica. In più, rispetto al passato, ho scelto di lavorare molto anche sul testo: allora era solo il corpo che agiva, mentre in Glitter in My Tears – Agamennone abbiamo un testo composto di vari elementi: l’originale di Eschilo, le riflessioni queer sul sadomasochismo, i testi della poetessa Giulia Roncati, e soprattutto riferimenti biografici dei danzatori stessi. 

Come si è declinata la relazione tra pratica sadomasochistica e tragedia?

foto di Enzo Cosimi

Per me la pratica sadomasochistica è principalmente un emblema del potere. Indago da anni il sesso, in una certa maniera ho sempre lavorato sulla sessualità, interpretandola anche come segno del contemporaneo. E credo anche che nel mio lavoro, soprattutto nel lavoro sul corpo, ci sia sempre stata l’attenzione al senso del tragico. Mi sono reso conto, durante la realizzazione di Glitter in My Tears, di quanto questi siano aspetti che rimescolo e rivivo da sempre, ma che inserisco adesso in una realtà contemporanea. In questo senso la parte più interessante è stata proprio la costruzione del testo: ho cercato proprio di creare una partitura architettonica tra corpo e parola. Credo, rispetto al mio percorso, che in questo lavoro ci sia veramente un equilibrio tra i due elementi: la cosa che più mi ha incuriosito nel lavorare con Alice Raffaelli, Giulio Santolini e Matteo De Blasio è stata la creazione della drammaturgia. Le fonti sono state tantissime, ma più interessante è stato il fatto di farle nostre, di rielaborarle: è venuto fuori un mix tra verità – attraverso il ricorso alle biografie dei danzatori – finzione, e riflessioni ulteriori; e nonostante i testi siano di una certa importanza, il risultato invece è molto fresco, molto leggibile. Importante è il lavoro sulla luce di Gianni Staropoli, e l’utilizzo della musica di Georg Friedrich Haas, un autore austriaco da noi ancora sconosciuto, ma considerato uno dei più grandi compositori viventi. Ho un aneddoto molto curioso al riguardo: dopo l’ascolto di un suo quartetto di archi meraviglioso ho cominciato a interessarmi del lavoro di Haas, e solo successivamente alla mia scelta di inserire le sue composizione in Glitter in My Tears ho scoperto del rapporto sadomasochistico che lo lega alla moglie (la studiosa queer nera Mollena Williams-Haas, ndr). Haas ne parla pubblicamente e racconta di quanto questo rapporto sadomasochista sia legato alla creazione delle partiture. Questa coincidenza mi ha fatto sorrider. La Siae ha confermato che sono il primo a utilizzare la sua musica: come nel 1992, quando fui il primo a utilizzare le composizioni di Giacinto Scelsi in uno spettacolo. Poi Scelsi è stato sdoganato, spero che lo stesso succeda con Haas.

Le creazioni della trilogia Ode alla bellezza – ma anche la prima versione di Calore – sono contraddistinte anche dal ricorso a interpreti non-danzatori. In un panorama coreografico che sempre più spesso si segnala per la compresenza di professionisti e amatori, di danzatori e cittadini Che cosa caratterizza il suo approccio nell’integrazione tra arte e sociale?

foto di Enzo Cosimi

Il mio percorso con non professionisti inizia proprio con Calore: pagai molto questa scelta. Il mio lavoro allora fu riconosciuto soltanto dalla critica del Nuovo teatro, del teatro sperimentale: la critica di danza non ammetteva un linguaggio coreografico espresso da non-danzatori… Eppure Calore è uno spettacolo ipercoreografico. Sono fiero di aver portato a conclusione la trilogia di Ode alla bellezza: sulla carta il progetto era bellissimo, ma la sua realizzazione non è stata semplice. Ho infatti indirizzato ognuno dei tre spettacoli su comunità molto lontane dalla mia realtà. Il primo lavoro, La bellezza ti stupirà, era dedicato alle persone senza fissa dimora; con la seconda creazione, Corpus Hominis, ho indagato l’omosessualità anziana, mentre I Love My Sister, che ha debuttato a novembre a Bologna nell’ambito del festival Gender Bender 2018, è un lavoro su una transizione da donna a uomo. Tre lavori che per me hanno significato immergermi in una realtà, soffrire, arricchirmi. Ho adesso l’occasione di presentare questa trilogia in una sola settimana, e sono curioso di scoprire come questi tre lavori funzionino insieme. Quello che cerco di fare è di dare la possibilità a queste figure di diventare dei principi, delle regine… Non mi interessa, come vedo fare da alcuni miei colleghi, mettere in scena le loro fragilità, e creare a partire da esse situazioni esilaranti o meno. Quando lavoro con un non professionista, cerco di farlo come con Egon Botteghi sulla sua esperienza di transizione FtM: cerco di raccogliere le storie degli interpreti ma naturalmente di non spingere questi all’autobiografia, di non proporre una mera documentazione della loro vita, bensì di inserire queste esistenze in una visione poetica. Cerco realmente di creare uno scambio. Purtroppo spesso vedo che molti espongono la loro fragilità, ma non è il mio caso.

Come ha ricordato, furono severi i giudizi che ricevette Calore, mentre oggi invece lei è l’unico coreografo italiano invitato a raccontarsi nel ciclo di documentari Why Do We Dance prodotta da Sky Art International. Qual è il suo giudizio sulla critica odierna, rispetto a quella dell’epoca?

foto di Enzo Cosimi

Il mondo del “nuovo teatro” negli anni Ottanta era straordinario: era una scena aperta, aperta anche al corpo, mentre così non era per la danza. Solo con l’avvento di Pina Bausch qualcosa è cambiato. Per fortuna all’epoca c’erano critici illuminati, come Giuseppe Bartolucci, Franco Cordelli, Nico Garrone, che videro il lavoro e anzi furono capaci di vederlo. Averlo riproposto dopo trent’anni ha significato comprendere quanto quello spettacolo potesse mantenere la freschezza di allora. Per me è stata una grande vittoria il fatto che dopo tutto questo tempo anche il contesto della danza ne abbia riconosciuto il valore. E tuttavia ho sempre fatto il mio percorso, il mio lavoro, senza seguire mode o trend. La coerenza è sempre stata un segno fondamentale del mio lavoro, e se non seguissi questa strada non sarei felice. Cambierei mestiere, piuttosto. 

Come si inseriscono le sue creazioni all’interno di questo paesaggio?

Io sono sempre stato un outsider, magari di serie A: sono ancora qui dopo 35 anni, mentre ho visto tanti miei colleghi scomparire… Ma va bene così: non mi ha mai interessato il rapporto con il potere, né l’ho mai inseguito. L’importante è che ancora io abbia una grande esigenza, abbia ancora voglia di creare e di misurarmi con le nuove generazioni. E infatti questa Orestea l’ho voluta sviluppare con alcuni giovani, cioè con Alice e Giulio – che lavorano con me da un po’ di anni – e con Matteo che lavora con me per la prima volta. Sono tre giovanissimi, e la curiosità di confrontarmi con loro ha determinato un travaso davvero interessante. A fine ottobre collaborerò inoltre a un progetto di Romaeuropa Festival, nel quale coinvolgerò giovani di alcune accademie. Sarà un lavoro collettivo, esito di un laboratorio della durata di un paio di settimane che terminerà con un evento a La Pelanda, e che avrà come oggetto l’eros, a partire da una primo studio di Estasi, lo spettacolo che andrà in scena a fine mese al LAC di Lugano. Anche questo sarà un momento di scambio con le nuove generazioni, una questione che mi sta molto a cuore. Credo che l’assenza di formazione costituisca un grave problema di questo paese.

Alessandro Iachino

Teatro India, Roma – 8 e 9 maggio 2019

GLITTER IN MY TEARS
Agamennone
Orestea – Trilogia della Vendetta
regia, coreografia, scene e costumi Enzo Cosimi
interpreti e collaborazione alla coreografia e ai testi Alice Raffaelli, Giulio Santolini, Matteo De Blasio
testi Enzo Cosimi, Giulia Roncati, Genius P-Orridge
disegno luci Gianni Staropoli
colonna sonora a cura di Enzo Cosimi
musiche Georg Friedrich Haas, Mika Vainio, Arvo Pärt
organizzazione Anita Bartolini 
produzione Compagnia Enzo Cosimi, MIBACT, Regione Lazio
in coproduzione con Teatro Stabile delle Arti Medievali
con il contributo di
Lavanderia a Vapore e L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
nell’ambito del progetto a sostegno delle residenze di
 ResiDance XL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche azione della Rete Anticorpi XL – Network Giovane Danza D’autore

Teatro Vascello, Roma – 11 e 12 maggio 2019 
CORPUS HOMINIS
ideazione, regia, coreografia Enzo Cosimi
performer Lino Bordin, Matteo Sedda
immagini Lorenzo Castore
disegno luci Gianni Staropoli
video Stefano Galanti
sound design Enzo Cosimi
montaggio del suono e delle immagini Niccolò Notario
cura spazio scenico Enzo Cosimi, Gianni Staropoli
organizzazione Anita Bartolini
in collaborazione con Festival Danza Urbana – Bologna, Festival Teatri di Vetro
con il sostegno per le residenze di Armunia

Teatro Vascello, Roma – 14 e 15 maggio, 
LA BELLEZZA TI STUPIRÀ
regia, video, coreografia Enzo Cosimi
costumi Antonio Marras
disegno luci Gianni Staropoli
violoncello Flavia Passigli
con la partecipazione di persone senza fissa dimora in collaborazione con le associazioni di volontariato
organizzazione Anita Bartolini
coproduzione MIBACT, Cagliari Capitale Italiana della Cultura 2015

Teatro Vascello, Roma – 18 e 19 maggio
I LOVE MY SISTER
ideazione, regia, coreografia Enzo Cosimi
regia video Stefano Galanti
drammaturgia video Stefano Galanti, Enzo Cosimi
testi Egon Botteghi e Enzo Cosimi
performer Egon Botteghi
video live Stefano Galanti
organizzazione Anita Bartolini
produzione Compagnia Enzo Cosimi, MiBACT
con il contributo di Armunia, nell’ambito del progetto a sostegno delle residenze di ResiDance XL – luoghi e progetti di residenza per creazioni coreografiche azione della Rete Anticorpi XL – Network Giovane Danza D’autore coordinata da L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino
e con il sostegno in residenza del Teatro Vascello di Roma
Produzione 2018

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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