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Tornare a Itaca. Per sempre? L’anti-epica di Baracco e Berardelli

Itaca per sempre dall’omonimo romanzo di Luigi Malerba diretto da Andrea Baracco, drammaturgia di Maria Teresa Berardelli, andato in scena al Teatro Argot Studio di Roma. Recensione.

foto di Francesca Ferrai

Possibile mai che Penelope non abbia riconosciuto Ulisse? Donna tessitrice di attesa, protettrice, per quanto le fu concesso, di un focolare violato ma mai abbandonato; come avrebbe potuto lei guardare negli occhi lo straniero e non vedervi lo sposo? Immaginiamo siano stati questi gli interrogativi dell’autore Luigi Malerba condivisi con la moglie Anna Lapenna, l’amico Pietro Pucci e raccontati nel post-scriptum di Itaca per sempre, romanzo pubblicato nel 1997 da Mondadori. Passato un po’ inosservato le scorse settimane, lo spettacolo omonimo del romanzo è andato in scena nello spazio del Teatro Argot Studio di Roma, di fronte una platea sparuta sì ma calamitata dall’azione scenica di Woody Neri e Maura Pettorruso diretti da Andrea Baracco su una drammaturgia di Maria Teresa Berardelli.

foto di Francesca Ferrai

Nell’intima prossimità della sala off di Trastevere, troviamo sulla scena “pezzi di mare”, porzioni di infinito racchiuse da Luca Brinchi e Daniele Spanò in acquari di diverse dimensioni, quadrate e rettangolari, in cui sono annegati oggetti simbolo appartenenti ciascuno a un tempo diverso. Il mare viene così racchiuso in un contenitore di cui prende forma e staticità: l’acqua è ferma, cristallizzata, quasi divenuta reperto. Ulisse (Woody Neri), tatuato e vestito con giacca di pelle, e Penelope (Maura Pettorruso), con indosso un abito classico nell’accezione di senza tempo, si ritrovano a condividere dopo venti lunghi anni lo spazio casalingo. Ognuno è a parte nei propri monologhi interiori, a tratti soliloqui, in cui l’uno parlando a se stesso si rivolge in realtà all’altra: entrambi sembrano viaggiare autonomamente su binari paralleli, tuttavia pur senza guardarsi si tendono e si ricercano.

Attraverso un’interpretazione attoriale volta a rispettare la letterarietà del testo originale dandole densità e concretezza d’azione, i due attori si muovono, delineandola, all’interno di una scrittura drammaturgica che riflette e interroga il ritorno a casa, le sue dinamiche individuali e relazionali. Pettorruso nei panni di Penelope è severa nella sua fragilità e nella paura di non ritrovare l’uomo perduto, desidererebbe non scoprirlo cambiato, pretende di riconoscere prima di tutto l’uomo e non l’eroe, perché ella ignora le imprese compiute dal padre di suo figlio e, forse, non se ne interessa. Neri invece è un Ulisse che calza anfibi massicci e che, nonostante l’involucro di durezza lasciatogli dal viaggio compiuto, ora tra le mura domestiche non si riconosce, si sente incapace di vincere su quel campo di battaglia famigliare e della cura ormai a lui distante, dirà infatti: «io non so più chi sono e chi sono diventato».

foto di Francesca Ferrai

L’epos, che collocherebbe questi due personaggi archetipici in un sovratempo lontano e senza effetti sul presente, è, nello spettacolo diretto da Baracco, rintracciabile solo durante la rappresentazione della prova dell’arco, agnizione per antonomasia attraverso la quale Ulisse si fa riconoscere, e resa scenicamente attraverso il dinamismo dei veli posti sul fondo e gli schizzi dell’acqua agitata con furia e fatta strabordare da una delle vasche. Quell’arcaicità malerbiana non ha nulla a che fare, del resto, con la tensione epica quanto piuttosto col quotidiano delle consuetudini amorose e delle loro conseguenze; ha a che fare con un uomo che torna a casa dopo venti anni di assenza e con una donna che non è pronta ad accettare incondizionatamente quello stesso ritorno. «Quello di Andrea è un lavoro di fino sulle parole, sullo stato emotivo, e soprattutto sulla verità. La prossimità col pubblico ti permette di lavorare sulle piccolezze», questo ci conferma l’attore Woody Neri, raggiunto telefonicamente per un confronto sullo spettacolo, ed è proprio la dimensione di vicinanza allo spettatore che in questo caso, e più degli altri, eleva tanto il lavoro di regia e scrittura che quello attoriale.

Privo di un’architettura spettacolare magniloquente, il tratto registico di Baracco si affina con delicatezza sulla scrittura puntuale e tensiva di Maria Teresa Berardelli rilevandone il teatro dei sottotesti più intimi, dei non detti manifesti e dei rimorsi mai sopiti. L’emotività, sia essa intellettuale o carnale, continua a scorrere nonostante la fissità del mare imprigionato nella forma ma mosso dalla recitazione complementare di Neri e Pettorruso. Viaggiatori solitari e amanti severi ma bisognosi di ritrovarsi l’uno nella parola dell’altro.

Lucia Medri

Teatro Argot Studio, Roma – marzo 2019

ITACA PER SEMPRE
dall’omonimo romanzo di Luigi Malerba
drammaturgia Maria Teresa Berardelli
regia Andrea Baracco
con Woody Neri e Maura Pettorruso
scenografia Luca Brinchi e Daniele Spanò
costumi Marta Genovese disegno luci Javier Delle Monache
organizzazione Daniele Filosi
con il sostegno del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, Provincia Autonoma di Trento, Regione Autonoma Trentino Alto Adige, Comune di Trento, Teatro Comunale di Pergine Valsugana, Spazio Off Trento
foto Francesca Ferrai

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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