Elena Arvigo è tornata a Roma: dopo centinaia di repliche, 4:48 Psychosis di Sarah Kane è andato in scena al Teatro Torlonia, all’interno di una trilogia interpretata dall’attrice ligure. Recensione.
C’è qualcosa di sciamanico nella performance attorale, nell’esaltazione di una tecnica e di un talento cristallini ma sempre, a ogni battuta, gesto o movimento, a servizio del testo. Bastano poche frasi, le primissime, per capire la qualità della recitazione di Elena Arvigo; il tempo di un paio di cambi fulminei di intenzione, colore, tono.
L’attrice genovese porta in scena questo piccolo gioiello da nove anni e ha collezionato circa duecento repliche. Abbiamo avuto modo di vedere 4:48 Psychosis di Sarah Kane, con la regia di Valentina Calvani, al Teatro Torlonia – dove Arvigo tornerà con Il dolore (23 e 24 marzo) e Una ragazza lasciata a metà (30 e 31 marzo). Uno spazio, quello gestito, dal 2015, dal Teatro di Roma, che per la sua struttura non potrebbe sembrare più lontano dall’intenso assolo drammatico scritto dall’autrice inglese nel 1999: il trompe l’oeil dai colori vivaci su tutte le pareti, gli stucchi, l’impostazione neoclassica…
E infatti le artiste hanno ben pensato di allestire la scena sotto al palco, troppo alto per una platea non rialzata. In ogni caso questo cavallo di battaglia, sul quale Elena Arvigo ha impresso il proprio nome e con il quale si è ritagliata meritatamente un piccolo spazio nella storia dell’arte teatrale contemporanea, non subisce la contraddizione spaziale, sembra anzi nutrirsi dell’atmosfera ritualistica che il teatro/museo può innescare.
L’interprete si muove all’interno di uno spazio scenico delimitato da una spianata di terra, carte da gioco e altri oggetti di uso quotidiano, disordinatamente sparsi, uno specchio e poi vetri rotti disseminati qua e là. È il luogo dell’abbandono, è il corrispettivo spaziale di quel verme che lentamente la divora dall’interno, la depressione. Di questo narra l’ultimo e più celebre testo della drammaturga inglese, morta suicida a 28 anni come i grandi del rock; una discesa negli inferi della malattia mentale subita lucidamente da una giovane donna che ha scelto di smettere di lottare. 4:48 è l’orario in cui l’insonnia sveglia gli incubi della mente, le lancette suonano la sveglia per la resa dei conti, senza appello. È l’orario in cui la «Cosa Brutta» (come David Foster Wallace chiamava quel disordine mentale che aggredisce tutto il corpo quanto una nausea totalizzante) viene a fare visita senza lasciare alternative alla scelta finale.
Dopo gli applausi ci sarà anche il tempo per esorcizzare l’impiccagione – immagine che più volte compare e che anche chiude il testo – con un documento audio nel quale la scrittrice parla della necessità imperitura del teatro, di quel bisogno umano di costruire e raccontare storie.
4:48 Psychosis in qualche modo racconta la fine di una storia, più che umana: nessun suicida vuole morire, fa dire Kane al proprio personaggio. Nel cammino verso la morte, percorso da questa giovane donna vestita di rosso, c’è una lucidità spaventosa, che chiede rispetto.
Una razionalità messa in evidenza dall’approccio dell’attrice, ma che già emerge alla lettura. La traduzione di Barbara Nativi è il principio ineludibile del lavoro: parliamo di un testo che nella versione originale abbonda di slang, ma che al contempo fa largo uso di immagini provenienti dalla lingua colta. D’altronde l’alternanza è presente anche nella presa di coscienza e il lirismo di alcuni passi complessi e barocchi è frantumato dall’incedere più razionale e oggettivo, dolorosissimo per la semplicità brutale con cui viene espresso: «Ho perso interesse negli altri / Non posso prendere decisioni / Non posso mangiare / Né dormire / Né pensare / Non posso superare la mia solitudine, la mia paura, il mio disgusto / Sono grassa / Non so scrivere / Non so amare».
Nella recitazione di Arvigo sembra esserci tutto: l’abbandono introspettivo che spinge verso un naturalismo mai didascalico, il distacco epico, fino quasi all’interpretazione postdrammatica, tutto corredato da una puntualità fonetica anche in questo caso a servizio del testo; quasi fosse una missione: emozionare facendo capire ogni sillaba, ché tutti i fonemi e le parole sono portatori di senso.
Andrea Pocosgnich
Teatro Torlonia, Roma – marzo 2019
4:48 PSYCHOSIS
di Sarah Kane
traduzione Barbara Nativi
regia Valentina Calvani
con Elena Arvigo
scene, costumi e luci Valentina Calvani e Elena Arvigo
musiche originali Susanna Stivali
foto Pino Le Pera
produzione SantaRita Teatro