Al Teatro Studio Uno abbiamo visto Bernarda, uno spettacolo di Giovan Bartolo Botta, a partire da La casa di Bernarda Alba di Federico García Lorca. Recensione
C’è La casa di Bernarda Alba, un dramma scritto negli anni trenta da Federico García Lorca, nella Spagna franchista, una tragedia familiare in cui alcuni dei temi classici della drammaturgia iberica vengono usati come specchio proprio della tirannia: l’amore portatore di libertà e progressismo e una figura matriarcale oppressiva che fa della tradizione l’arma con cui regolamentare e soggiogare tale libertà.
Poi però c’è una compagnia, un gruppo tra i più attivi del panorama off romano, chiamato Produzioni Nostrane – Ultras Teatro: è guidato da una personalità peculiare, schiva e debordante, Giovan Bartolo Botta. Qualche anno fa capitò di vedere una sua riscrittura di Antigone al Fringe Festival che ci lasciò sorpresi per il folle radicalismo di alcune soluzioni e di quel segno impresso dallo stesso Botta, così riconoscibile.
Il percorso dell’artista, cuneese di nascita, è in effetti fortemente legato ai classici, oltre al capolavoro di Lorca porterà in scena Otello, anche questo al Teatro Studio Uno – luogo che si dimostra ancora una volta ricettivo e pronto ad accogliere nuovi spunti. Il sodalizio di Botta con i classici della parola drammatica è inteso assecondando le possibilità di riscritture, spesso votate a una precisa volontà di creare dei veri happening teatrali, in cui quasi tutto potrebbe accadere mantenendo però la centralità del nucleo drammaturgico.
Anche nel caso di questo allestimento visto nello spazio di Torpignattara si ha la sensazione di essere spettatori di uno spettacolo non chiuso, ma vivo e portatore di riflessioni oltre che di puro divertimento.
Più che parlare di messa in scena nel caso di Botta e del suo gruppo potremmo parlare di “messa alla prova”: da una parte si respira quell’atmosfera tesa ma anche giocosa della sperimentazione pura che si può trovare in certi momenti laboratoriali, quelli in cui dopo un’improvvisazione o una prova riuscita rimane la soddisfazione di aver visto qualcosa di unico ma anche di inafferrabile, effimero e tragicamente irripetibile. Ecco, è come se Botta cerchi di sistematizzare quella materia così pulviscolare, e trovare la formula che permetta di portare in scena qualcosa che è relegato al di fuori dallo sguardo del pubblico. Rendere insomma teatrale, anzi proprio spettacolare, direi, il processo; o comunque tentare di cristallizzare qualcosa che arriva un attimo primo della chiusura definitiva.
Affascinante utopia per “nerd” del teatro e maniaci di teorie e pratiche della recitazione? In un certo senso sì, ma fortunatamente non solo: lo dimostra il pubblico che lo segue con costanza. Il “metodo Botta” non dimentica l’imprescindibile relazione con lo spettatore. Anzi c’è una tensione costante a vivacizzare questo rapporto utilizzando anche tecniche da avanspettacolo e approcci diretti che solletichino la superficie di quella relazione.
Nella riscrittura del classico spagnolo il regista e interprete è nello spazio di mezzo, tra la piccola platea e il palco, la sua attenzione si misura costantemente con i due piani: la scena e il pubblico. Come se fosse una sorta di guardiano di questa terra di mezzo, responsabile del flusso emotivo, misuratore umano di quella stessa relazione. Ma è anche un orchestratore invisibile (neanche troppo), emana piccoli segnali ai propri attori, è visibilmente in ascolto delle battute di tutti, anche quando apparentemente la scena non lo richiederebbe, proprio come un pedagogo farebbe con i propri allievi. È anche l’unico che in questo caso sembra poter fare i conti direttamente con l’improvvisazione, alcune volte mascherata, altre maggiormente palesata: può ad esempio capitare che interrompa lo spettacolo riproponendo uno scambio di battute perché non riuscito secondo i tempi o i modi sperati. Accanto a lui, nella stessa zona mediana c’è Maria Grazia Torbidoni, attrice puntuale nella restituzione del ruolo della Poncia, pronta ad assecondare i ritmi assennati.
Ma Botta è anche un attore con un talento brutale, qui piega al proprio stile il personaggio di Bernarda e, come accade al resto dei personaggi, la trasforma in un apparato emotivo bidimensionale. Anche le figlie (Krzysztof Bulzacki Bogucki, Isabella Carle, Claudia Salvatore), alle quali la regia sostanzialmente quasi nega qualsiasi possibilità di movimento scenico relativo ai canoni del teatro rappresentativo, vivono nelle battute spesso ad alto tasso emotivo, sono megafoni di certe intenzioni ed emozioni più che veri e propri personaggi.
La trama si spolpa di qualsiasi orpello e arriva diretta, sparata dai corpi in tensione degli attori (i quali indossano t-shirt con scritto Garcia Lorca Show) dando così al pubblico la possibilità di farsi cassa di risonanza ultima degli interrogativi di Lorca e di ragionare sui suoi archetipi drammaturgici.
Andrea Pocosgnich
Teatro Studio Uno, Roma – marzo 2019
BERNARDA
O IL CAOS DI BERNARDA ALBA
spettacolo teatrale in salsa punk
liberamente tratto da Federico Garcia Lorca
adattamento e regia di Giovan Bartolo Botta
con Giovan Bartolo Botta, Krzysztof Bulzacki Bogucki, Isabella Carle,Claudia Salvatore, Mariagrazia Torbidoni
progetto grafico Leonardo Spina
costumi SerigraFata di Francesca Renda
striscione Ultras Teatro Fuori Registro di Nicola Micci
produzione Sylvia Klemen Kolarič