Al Teatro Fontana di Milano ha debuttato l’ultima produzione di Elsinor, Sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello, con la regia di Michele Sinisi. Recensione. Nel 2024 in scena al Teatro Sala Umberto di Roma fino al 10 marzo.
Che Luigi Pirandello sia l’autore italiano più rappresentato sui nostri palcoscenici non è una novità – all’Eliseo di Roma è appena sbarcato il monumentale allestimento di Gabriele Lavia dei Giganti della montagna. È invece un nuovo orizzonte quello rappresentato dalle libere riscritture: l’autore siciliano come origine di un immaginario teatrale tutto da coltivare. D’altronde nel 2016 sono passati ottanta anni dalla morte ed è scattata la liberazione dei diritti: sarà probabilmente anche per questa ragione che si cominciano a vedere interpretazioni sempre più personali, sia dal punto di vista testuale che registico e recitativo. Basti pensare al taglio comico che Giancarlo Nicoletti ha impresso a L’uomo, la bestia e la virtù o al tentativo di Carlo Cecchi di riscrivere Enrico IV attorno al tema a lui caro e congeniale della vocazione teatrale.
Il banco di prova decisivo della filosofia teatrale pirandelliana è naturalmente rappresentato da I sei personaggi in cerca di autore, e probabilmente è anche quello maggiormente allestito nelle ultimissime stagioni: su queste pagine abbiamo incontrato la versione tutt’altro che innovativa di Luca De Fusco, l’assolo pensato da Roberto Latini per PierGiuseppe Di Tanno, la scrittura di Vico Quarto Mazzini; è in tournée anche una drammaturgia di Scimone-Sframeli e ora, al Teatro Fontana di Milano, ha mosso i primi passi la lettura di Michele Sinisi (regia) e Francesco M. Asselta (alla drammaturgia insieme a Sinisi).
C’è poi da dire che molti dei testi di Pirandello sono tutt’altro che universali, in quanto decisamente ancorati al tempo in cui furono scritti per le scene. I Sei personaggi per l’appunto consta di un grumo filosofico in grado di travalicare le epoche, parliamo ad esempio della riflessione sulla creazione artistica accostata alla creazione umana, della sempre affascinante questione relativa al binomio realtà-finzione, della frizione tra forma e contenuto, che è poi la contraddizione che ha determinato la genesi teatrale del dramma. Poi però vi è tutto un contesto che per gli spettatori di oggi è un apparato museale, perché è un documento (e una messa alla berlina) di un teatro dei primi decenni del secolo scorso che non esiste più: il capocomicato, la compagnia di giro che poteva permettersi il lavoro di un esperto suggeritore, le stilettate alla drammaturgia dell’epoca e a pratiche recitative e scenografiche cristallizzate tra la polvere di un teatro che già allora stava sparendo.
Michele Sinisi affronta con coraggio e radicalismo il problema di far risuonare i temi universali all’interno di una cassa di risonanza registica che sia corrispondente ai nostri tempi. Entrando al Teatro Fontana il pubblico può già vedere regista e attori che si muovono con una certa libertà tra platea e scena, lo stesso Sinisi accoglie gli spettatori e saluta amici e conoscenti. Sul palco un tavolo con un computer dal quale verranno selezionate accattivanti playlist musicali da Youtube, immagini a commento dei dialoghi e testi scritti sul momento; una sorta di scenografia multimediale dinamica che verrà proiettata su uno schermo. Sulla sinistra lo scenografo, Federico Biancalani, sta ultimando una scarpa da tennis gigante di cui inizialmente ignoriamo l’utilità.
L’idea è quella di una grande prova aperta, dunque non si rimane da subito stupiti o interdetti, si crede di capire: ci sono gli attori in scena, c’è Sinisi nella parte del Capocomico, gli abiti casual indicano l’ambientazione contemporanea, Gianni D’Addario nel ruolo del caratterista con la battuta pronta e stralunata, niente insomma da far gridare “Manicomio, Manicomio!” come accadde nel 1921 in occasione della prima al Teatro Valle di Roma. Dopo qualche minuto, però, sbuca dalla platea Stefano Braschi (voce densa e piglio del comando), bastano poche battute per capire che in realtà il Capocomico del testo pirandelliano è lui, ma Sinisi continua a essere visibile, dalla platea interrompe l’azione, spiega agli attori come interpretare la famosa scena di Leone Gala che sbatte l’uovo. Chi è allora? In un gioco di rifrazioni multiple, come tante matrioske, i ruoli e le istanze drammatiche si moltiplicano creando un paesaggio tutt’altro che semplice da osservare e fruire, ma che se guardato con attenzione si apre a una riflessione organica e politica. La rifrazione colpisce anche le nostre istanze sociali/virtuali, viene proiettata la pagina Facebook dedicata allo spettacolo e il pubblico viene avvertito di accendere i cellulari nel caso abbia voglia di interagire con una diretta video che sta iniziando. Si vedono due uomini e una donna attorno al tavolino di un bar. Chi sono? Qualcuno esperto e appassionato potrebbe già riconoscerli.
Intanto però la situazione in platea si complica: alcuni degli attori escono dalle porte laterali e rientrano poco dopo nelle vesti proprio dei sei personaggi. Ciro Masella è il Padre, uomo fragile e appassionato, misura la propria recitazione con l’obiettivo di far emergere con chiarezza e lucidità proprio quei temi universali di cui sopra. Il Figlio, colui che nel testo non può (per una sorta di magia nera del teatro) abbandonare il palcoscenico, si comporta qui in maniera opposta: Donato Paternoster non sale mai sulla scena, si aggira in solitudine per la platea, fino a quando, dopo una delle celebri tirate, si avvicina al palco e le luci in sala si spengono di colpo per qualche momento, dopo essere rimaste accese sin dall’inizio.
Sinisi lavora sulla forma e sul suo spostamento − il grido della madre è taciuto o al massimo traslato nell’urlo di impazienza di una delle attrici costretta a sorbirsi la storia patetica dei personaggi − confondendo così nello spettatore i piani del metateatrale. Come d’altronde sono assenti le scene in cui gli attori della compagnia provano goffamente la situazione del sordido incontro nel bordello tra la figliastra (è arcigna al punto giusto Stefania Medri) e l’uomo attempato: anche in questo caso il concetto e la sua forma vengono fatti slittare lateralmente con l’entrata in scena di ospiti a sorpresa. E qui viene la questione politica: per Sinisi è nell’incontro che deve vivificarsi la portata sociale dell’operazione. Tanto che in una breve battuta pronunciata dalla platea il regista espone un piccolo manifesto ideologico: «La vita in fondo non possiamo ingabbiarla, quando qualcuno pensa di poterlo fare si rende protagonista di un processo tragico. La vita sfugge immediatamente e quindi anche quello che noi proviamo a fare qui, ingabbiare la scena e farla diventare reale, è una follia assoluta. Quello del teatro è il tempo non della perfezione ma dello stare assieme».
Ecco allora la figurina di Paola Tintinelli e i suoi occhi sperduti, la maschera immutabile di Alberto Astorri e il tracotante vitalismo di Walter Leonardi. Erano loro in diretta Facebook dal foyer del teatro, preparavano l’improvvisazione a tema. I tre attori sono gli ospiti, ogni due giorni cambieranno fino a formare una lunga fila di matrioske, una folta comunità di artisti che accettano di attraversare, partecipando, qualcosa che forse è più di uno spettacolo, ma è anche un dispositivo aperto che sembra poter parlare a pubblici differenti grazie alla calibrata capacità di ascolto messa in campo dalla drammaturgia e dalla regia.
Eppure questo grande meccanismo, apparentemente caotico in alcune sue parti, è in grado di nutrirsi anche di momenti ad alta spettacolarità poetica: non è un caso se, lentamente, quando entrano i personaggi, la temperatura drammatica cominci a salire fino alla rottura successiva, come se la parola di Pirandello a un certo punto potesse imporre la propria presenza con una forza non arginabile. Oppure quando Madama Pace (Adele Tirante) appare a sipario chiuso come una diva dell’avanspettacolo, strappo magico proprio rispetto al qui e ora del dispositivo.
La postura dello spettatore è evidentemente sollecitata verso una posizione attiva, di partecipazione emotiva e cerebrale, fino a un colpo scenografico da grande regia in cui la scena del bordello viene ripetuta nella sua parte più scabrosa e irrappresentabile da due manichini giganti: si vedono solo le quattro gambe che spariscono sotto alla graticcia, è uno zoom fisico oltre che concettuale, nel quale riconosciamo la grande scarpa su cui lavorava lo scenografo.
I piani, le ellissi e gli spostamenti si moltiplicano: anche alla morte dei bambini è negata la rappresentazione drammatica, sostituita dal corrispettivo epico, il freddo racconto di Marco Cacciola che si esaurisce in un colpo di pistola a salve.
In ultimo, al pubblico viene chiesto di scegliere l’ascolto di una tra tre urla di madri selezionate, ma anche in questo caso il punto di vista è ribaltato; la scelta è castrata dalla scena – quasi a voler ribaltare l’assunto populista di certi meccanismi di adesione. Si compie così l’ultimo atto di uno spettacolo che in realtà ne contiene uno, nessuno e centomila. Sinisi consegna allo spettatore un oggetto complesso, prismatico, pronto a esplodere, nel quale la complessità e la partecipazione rappresentano l’innesco e l’obiettivo imprescindibili dell’esperienza.
Andrea Pocosgnich
Milano, Teatro Fontana, Marzo 2019
Repliche 2022: 16 – 27 marzo 2022 Teatro Fontana, Milano
SEI PERSONAGGI IN CERCA D’AUTORE DI LUIGI PIRANDELLO
di Luigi Pirandello
drammaturgia Francesco M. Asselta, Michele Sinisi
regia e adattamento Michele Sinisi
con Stefano Braschi, Marco Cacciola, Gianni D’Addario, Giulia Eugeni, Marisa Grimaldo, Ciro Masella, Stefania Medri, Giuditta Mingucci, Donato Paternoster, Michele Sinisi, Adele Tirante
aiuto regista in scena Nicolò Valandro
scene Federico Biancalani
assistente alle scene Elisa Zammarchi
direzione tecnica Rossano Siragusano
produzione Elsinor Centro di Produzione Teatrale