I giganti della montagna di Luigi Pirandello diretto da Gabriele Lavia è approdato al Teatro Eliseo di Roma. Recensione.
Tra i registi che lavorano nei grandi teatri Gabriele Lavia è uno di quelli che possono permettersi scenografie colossali, grandi apparati architettonici eretti a scopo puramente illustrativo (o al massimo, simbolico); accade anche in questo, monumentale, I giganti della montagna, approdato al Teatro Eliseo dopo le repliche milanesi del Piccolo Teatro e con la produzione del Teatro della Toscana e la coproduzione del Teatro Stabile di Torino, e del Teatro Biondo di Palermo. Quello che forse è il più astratto e metafisico testo (per altro incompiuto) di Luigi Pirandello si compie davanti alla ricostruzione di una sezione ampia di un teatro all’italiana. Occupa tutta la larghezza e altezza del palcoscenico: finti marmi e bassorilievi tipici della decorazione barocca e palchetti che, come grandi occhi svuotati, guardano direttamente il pubblico, tutto firmato da Alessandro Camera. È ciò che resta di un teatro lasciato crepare nell’incuria: una parte è crollata e mostra il nero del fondale sul quale poi all’occorrenza apparirà una luna. È una scenografia alla quale viene delegato anche un valore simbolico che dovrebbe moltiplicare la riflessione politica relativa alla lateralità della cultura teatrale nella nostra epoca. A questa riflessione, di certo già contenuta nel testo, si aggrappa con le unghie Lavia, insistendo su quell’opposizione salvifica tra il mondo magico, fantasioso e immortale contenuto nella villa degli Scalognati e la realtà di fuori, che può procedere anche facendo a meno del teatro.
In realtà a Pirandello, come per Shakespeare, potrebbe bastare la parola; vero poi che paradossalmente, per inscenare gli spazi e la vita degli Scalognati – gente che vive con poco, anzi con niente, in povertà materiale e ricchezza di spirito – qui si è prodotto uno degli spettacoli più ricchi e dunque costosi degli ultimi anni. Oltre alla questione scenografica va evidenziato un cast da musical per più di venti elementi con numerosi costumi e maschere che sono pezzi unici creati da Andrea Viotti e Elena Bianchini; per non farsi mancare nulla un nutrito gruppo di mimi assolverà il ruolo dei pupazzi animati, esemplari nei movimenti meccanici in uno dei momenti più spettacolari. Ma non è di certo il budget il problema di questo spettacolo, ben venga l’opportunità di investire in un cast nutrito e nel lavoro delle maestranze; è il segno quello che conta. E in questo senso siamo di fronte al solito spettacolo messo in scena da Gabriele Lavia attorno all’interpretazione di Gabriele Lavia.
Il settantasettenne interprete veste i panni di Cotrone – guida della comunità degli Scalognati, mago, regista, narratore – e, bisogna dirlo, lo fa con il solito talento: nutrendo il personaggio del guitto artigiano del teatro con la filosofia del raisonneur pirandelliano ma sempre con i piedi per terra e alla ricerca di una gestualità significante. Come però spesso capita nei suoi spettacoli – al di là dell’efficacia dell’idea registica – sembra lavorare per se stesso dimenticandosi gli altri, accontentandosi di performance non all’altezza della sua. Ogni volta la sensazione è quella di trovarsi di fronte a uno spreco di talento: quanto potrebbe dare al teatro un interprete come questo diretto da qualcuno con le medesime qualità dal punto di vista della regia?
Gli altri personaggi non hanno l’efficacia di Lavia o addirittura sembrano abbozzati: è così per il Conte di Clemente Pernarella, appiattito sul carattere di un uomo incapace di reagire, tutto piagnistei per la moglie; Ilse, appunto, interpretata da Federica Di Martino, mostra qua e là qualche sprazzo di credibilità ma troppo poca rispetto alla complessità di un personaggio che in definitiva è una sorta di alter ego di Cotrone. È lei che non vuole rinunciare alla realtà del mondo fuori, innamorata dell’autore di cui sta portando in giro la pièce, giunta qui con la sua compagnia ormai decaduta e in cerca di qualche replica.
Il testo è incompiuto e in quel vuoto finale si racchiude un mistero, ma anche una possibilità per la fantasia del regista, un’opportunità creativa. Lavia sceglie una via minimalista: si sente un rumore di sottofondo, sono i giganti che dalla montagna scendono al galoppo verso la villa: tutti, attori e Scalognati, vivi e morti si voltano verso il teatro sventrato, «Io ho paura! ho paura!», silenzio.
Andrea Pocosgnich
Marzo 2019, Teatro Eliseo, Roma
Tournée, date in calendario
Milano prima nazionale Teatro Strehler 27/2 – 10/3/2019
Roma Teatro Eliseo 13 – 31/3/2019
Viterbo Teatro dell’Unione 3 – 4/4/2019Milano
I GIGANTI DELLA MONTAGNA
di Luigi Pirandello
con Federica Di Martino, Clemente Pernarella, Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis, Federico Le Pera, Luca Massaro, Gabriele Lavia, Nellina Laganà, Ludovica Apollonj Ghetti, Michele Demaria, Daniele Biagini, Marika Pugliatti, Beatrice Ceccherini, Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Grossi, Davide Diamanti, Debora Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Antonio Di Pofi
luci Michelangelo Vitullo
maschere Elena Bianchini
coreografie Adriana Borriello
regista assistente Francesco Sala
assistente alla regia Angelica Fei Barberini
regia Gabriele Lavia
produzione Fondazione Teatro della Toscana
in coproduzione con Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo
con il contributo della Regione Sicilia
con il sostegno di ATCL Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio, Comune di Montalto di Castro e Comune di Viterbo