HomeArticoliElio Germano. La mia battaglia, da Hitler a noi

Elio Germano. La mia battaglia, da Hitler a noi

La mia battaglia è il titolo dello spettacolo scritto da Chiara Lagani ed Elio Germano, regista e interprete di un monologo che prende le mosse dal Mein Kampf di Hitler. Recensione.

foto di Margherita Cenni / Riccione Teatro

E se accadesse proprio a te? Tu, sì tu che ti sei indignato per l’habitat dei pappagalli, anche tu che mangi solo prodotti a chilometro zero e manifesti per un diritto diverso tutti i giorni; ma certo parlo anche a te che alla fine l’hanno condonato quel villino dentro un pezzo di parco comunale, anche a te che invece di politica non parli e a te che tra votare e la domenica allo stadio, in fondo, non fa nessuna differenza. Chi di noi può dirsi libero di pensare con la propria testa? È un meccanismo perverso quello che lega insieme il potere di uno solo su una comunità di altri e quello dell’individuo sulla massa che sembra partecipare attivamente a un movimento e che non si accorge di essere inerte. È in questo nucleo che si annoda La mia battaglia, testo tatto dal Mein Kampf di Adolf Hitler, scritto da Chiara Lagani e Elio Germano, con quest’ultimo solo (o quasi) in scena su palco del Teatro Ambra Jovinelli di Roma.

foto di Margherita Cenni / Riccione Teatro

Il dispositivo teatrale è piuttosto delicato, pur semplice nella forma è ricco di strati di letture possibili. Pertanto da principio qui chi scrive cercherà di non oltrepassare il limite di quello che può dire e ciò che invece dovrà restare solo alla fruizione.
C’è un uomo – questo si può dire – che emerge dalla platea, è un uomo della folla, sta in mezzo agli altri e a tutti sembra parlare; un po’ li rappresenta, questi che tra il pubblico sono venuti proprio stasera per vedere uno spettacolo; e di tutti parla, eroici per aver lasciato il divano ed essersi spinti fino a una sala dove la comunità si dà appuntamento, per riflettere insieme sulle questioni che affliggono la società civile. L’uomo inizia, con una sorta di stand up comedy, a raccogliere su di sé un’attenzione scanzonata e ridanciana, battute e piccoli vezzi che avvicinano ognuno all’immagine di sé più leggera, magari un po’ goffa, che si vuole intravedere lì sul palco.

La struttura parte dunque da un coinvolgimento pieno degli spettatori, chiamati a raccontare un po’ di sé stessi a un microfono che gira nella platea; ma la dinamica è subdola e, pian piano, quello che appare come uno stimolo aggregativo senza finalità nascoste rivela invece di essere un raffinato congegno ideologico che ribalta il campo del giudizio, attraverso uno spostamento che dapprima utilizza la logica per avvicinare consenso, poi la tradisce quando ormai non c’è spazio di manovra per contrastare il dilagante strumento persuasivo.

foto di Margherita Cenni / Riccione Teatro

Elio Germano, che molto spesso ha abituato il pubblico teatrale a esperimenti complessi (sua la presenza in due lavori come Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline con Teho Teardo e il Thom Pain di Will Eno), interpreta con padronanza un testo difficile, senza molte possibilità di appiglio agli imprevisti, che sfrutta una retorica affilata e diretta nella relazione con il pubblico. La scrittura del testo rivolge alla sofisticazione del dispositivo la maggiore attenzione, ma certo non si priva di una scelta linguistica che lentamente, ma inesorabilmente, si condensa e cambia forma. La co-autrice Chiara Lagani, del resto, drammaturga della storica compagnia ravennate Fanny & Alexander, non è nuova a un’indagine simile sui linguaggi del potere; basti ricordare il non troppo lontano nel tempo Discorso grigio (parte di un più ampio “ciclo”), con un altro grande attore come Marco Cavalcoli. Un dubbio risiede invece nell’idea registica che accompagna il testo, perché se l’ingranaggio è da sé affascinante, il rischio è che proprio per questo sia estremizzato oltre i limiti, che cioè il buon carico di tensione che si avverte, progressivamente minaccioso, si dilegui per troppa insistenza; viene da dire che la minaccia abbia forse maggiore sostanza se non si concretizza e, dunque, resti tale.

foto di Margherita Cenni / Riccione Teatro

Il valore più grande del testo è che il processo di composizione del discorso pubblico sulla scena, falsamente induttivo, è in realtà deduttivo nella peggiore delle accezioni, parte cioè da assiomi precostituiti a cui arrivare non per esperienza ma per postulati ideologici. La seduzione tuttavia vi si annida in modo meno categorico, si nasconde sotterraneamente nell’operazione attraverso la quale convincere la massa di avere le stesse idee dell’individuo, perché le dovrà difendere come, appunto, fossero proprie. Perché pensare con la propria testa non è un diritto di nascita, ma un dovere da conquistare con partecipazione e intelligenza. Dunque siamo sicuri non possa accadere proprio a noi? E se stesse già accadendo?

Simone Nebbia

Teatro Ambra Jovinelli, Roma – marzo 2019

LA MIA BATTAGLIA
di Elio Germano e Chiara Lagani
con Elio Germano
regia
Elio Germano
scene e costumi Katia Titolo
luci Alessandro Barbieri
produzione Infinito srl con il sostegno di Artisti 7607

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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