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Anna Bolena di Donizetti con la regia di Andrea De Rosa. Una diva in gabbia

Anna Bolena di Gaetano Donizetti è andato in scena con la regia di Andrea De Rosa al Teatro dell’Opera di Roma. Recensione.

Foto Yasuko Kageyama

Semi buio, pareti bordeaux. Solo la fioca luce delle candele illumina la severa corte della regina. Un’atmosfera da veglia funebre, quella che apre l’Anna Bolena di Gaetano Donizetti in scena al Teatro Costanzi, per la prima volta dopo quaranta anni. Tutto così cupo e severo da far sembrare, per un attimo, di essere spettatori dell’ultimo film di Yorgos Lanthimos, La favorita: anche qui una regina tormentata e due donne seduttrici sul palco, anche se una delle due rappresenta Smeton (Martina Belli), il paggio di corte. Un collegamento che, per quanto affascinante, è unicamente dettato da una coincidenza di atmosfere e dal condiviso tema della lotta al trono. Le donne, qui, sono solo due, impegnate in intrighi e guerre di corte per assicurarsi la supremazia del potere.

Donizetti e il librettista Felice Romani, nel 1839, partono dalla realtà storica, per drammatizzarla. La loro Anna Bolena (Francesca Dotto) ha già completato la propria ascesa al potere e si trova oggi a dover affrontare la se stessa più giovane: il re si è invaghito di un’altra donna e progetta di rinnegare le nozze con Anna, così come fece con Caterina d’Aragona. L’altra donna in questione è proprio la damigella della regina, Giovanna Seymour (Paola Gardina), che, pur con qualche senso di colpa, tradirà la sua padrona per diventare regina. Anna, nonostante venga tentata dal ritorno del suo ex amante Riccardo Percy (Giulio Pelligra), rimane fino alla fine fedele al re. Sarà accusata quindi, ingiustamente, di tradimento e verrà imprigionata nella Torre di Londra, per essere poi condannata a morte.

Foto Yasuko Kageyama

Se per il librettista e il compositore Anna diventa una vittima, contrariamente a quanto ci racconta la storia, il regista Andrea De Rosa ne accentua «Il lato più “frivolo”, più erotico, quasi mondano», si legge nel programma di sala. Ma la prima caratteristica che colpisce è lo stretto legame con la regia di Maria Stuarda, in scena due anni fa, sempre a Roma. Sul piano dell’ambientazione, sembra quasi la stessa corte: i colori cupi, il bordeaux, la penombra, ogni elemento ci comunica le medesime sensazioni di tragica austerità e perfino la simbologia della “donna intrappolata” figura in entrambe le regie. Se nella Maria Stuarda la scena si costruisce all’interno di alte mura, ricoperte da vetri rotti e filo spinato, anche in questo caso Anna Bolena è sempre circondata da pareti reticolate di varie forme, che, di volta in volta, diventano gabbie. Per finire poi con il dichiarato collegamento operato dal regista: in entrambe le scene finali della decapitazione Maria Stuarda e Anna Bolena indossano lo stesso vestito bianco e gli stessi guanti rossi.

Anna è in prigione, condannata fin dall’inizio, circondata dall’incombente gabbia dorata sempre presente in scena. Il coro, del resto, è da subito già a lutto: i componenti della corte sono sempre vestiti di nero, si muovono come un unico blocco e non guardano mai la regina negli occhi. Oltre alla grande prigione che delimita il palco, durante la scena settima del primo atto fa ingresso un albero con i rami recisi, anch’esso ingabbiato, con un profondo squarcio sul tronco, dal quale sembra uscire carne viva. A partire dalla scena nona fino alla fine del primo atto, la regina occupa lo spazio di un lussuoso letto a baldacchino, che non è altro che una graziosa cella dorata, chiusa su tre lati. Quando poi la regina verrà accusata di tradimento dal re, i servi porteranno in scena la quarta parete e “rinchiuderanno” Anna nel suo letto. Infine, la torre di gabbie che occupa le ultime scene, una torre di ferro tripartita, che intende riprodurre la Torre di Londra dove venne imprigionata Anna Bolena.

Foto Yasuko Kageyama

Oltre all’aspetto simbolico, relegato alla scenografia di Luigi Ferrigno, la regia di Andrea De Rosa non riesce però del tutto a vincere la fida dell’“Immobilità drammatica”, insita nella struttura dell’opera. La concatenazione di arie e duetti, la massiccia presenza della “solita forma” e la quasi totale assenza di recitativi  non facilitano per nulla la progressione drammaturgica della storia. Questo, più evidente nel primo atto, va migliorando nel secondo, nel quale infatti assistiamo ad alcune interessanti scelte registiche. Il bacio tra Anna e Percy attraverso la tenda del letto a baldacchino, rende la protagonista più vicina a noi, perché più incline all’errore umano, in questo caso il tradimento. Allo stesso modo il rapporto tra Giovanna e Anna viene certamente problematizzato dal regista, come si vede bene nella scena terza del secondo atto. Qui, entrambe chiuse nell’angusta cella della Torre, le due donne sembrano due leonesse in gabbia: lo spazio della cella, che è quello della corte, è troppo piccolo per contenerle entrambe.

Foto Yasuko Kageyama

L’opera va in scena senza tagli, le arie sono tutte complete di “da capo”, un notevole impegno per i cantanti del secondo cast. Francesca Dotto, dal punto di vista vocale totalmente in parte, non si risparmia e non sbaglia una nota, rimanendo la più applaudita. Al contrario di altre sue interpretazioni però, forse la sua consueta carica vocale rende questa Anna Bolena un po’ troppo “diva”, facendo venire meno l’emotività del personaggio. Ottima Paola Gardina, alle prese con l’impegnativo ruolo di Seymour, meno efficace Dario Russo, nella parte di Enrico VIII, e Giulio Pelligra, che non riescono a reggere l’inevitabile confronto con il cast principale.
L’esecuzione musicale si rivela in linea con il razionalismo della scena. La direzione di Riccardo Frizza è asciutta, particolarmente interessata a rendere omaggio alla tecnica musicale di Donizetti, piuttosto che all’aspetto emozionale della partitura.

Flavia Forestieri

Teatro Costanzi Teatro dell’Opera di Roma – febbraio 2019

Anna Bolena
Musica Gaetano Donizetti
Tragedia lirica in due atti
Libretto di Felice Romani
Prima rappresentazione
Milano, Teatro Carcano, 26 dicembre 1830
direttore Riccardo Frizza
regia Andrea De Rosa

maestro del coro Roberto Gabbiani
scene Luigi Ferrigno da un’idea di Sergio Tramonti
costumi Ursula Patzak
luci Enrico Bagnoli

PRINCIPALI INTERPRETI

Enrico VIII Alex Esposito / Dario Russo 28 febbraio, 1 marzo
Anna Bolena Maria Agresta / Francesca Dotto 1 marzo
Giovanna Seymour Carmela Remigio / Paola Gardina 1 marzo
Riccardo Percy René Barbera / Giulio Pelligra 22 febbraio,1 marzo
Smeton Martina Belli
Sir Hervey Nicola Pamio
Lord Rochefort Andrii Ganchuk *

* dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma

Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma

Nuovo allestimento
In coproduzione con Lithuanian National Opera and Ballet Theatre

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Flavia Forestieri
Flavia Forestieri
Flavia Forestieri ha studiato all’Università “La Sapienza” di Roma, laureandosi in Letteratura, Musica e Spettacolo, con una tesi in storia della musica sull’opera di Bertolt Brecht “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”, e, successivamente, in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi sulla regia lirica contemporanea, analizzando quattro regie de “La traviata” di Verdi. Dopo aver vinto il bando Luiss “Generazione cultura”, ha lavorato in ambito della comunicazione come addetta e stampa e social media manager alla Reggia di Caserta. Attualmente frequenta il Master in “Drammaturgia e Sceneggiatura” all’Accademia Nazionale “Silvio d’Amico” di Roma. Dal 2017 collabora con Teatro e Critica occupandosi di recensioni di spettacoli d’opera.

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