IN TEATROSOFIA, RUBRICA CURATA DA ENRICO PIERGIACOMI – collaboratore di ricerca post-doc e cultore di storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Trento – CI AVVENTURIAMO ALLA SCOPERTA DEI COLLEGAMENTI TRA FILOSOFIA ANTICA E TEATRO. OGNI USCITA PRESENTA UN TEMA SPECIFICO, ATTRAVERSATO DA UN RAGIONAMENTO. Il numero 88 prosegue il ragionamento sul potere, questa volta associato alla musica, secondo il sofista Damone di Atene
Si è avuto modo di accennare, studiando l’apologia della sofistica nel Protagora di Platone, come Protagora guardasse ad Agatocle e Pitoclide di Ceo come sofisti mascherati da musici, ossia come figure che coltivavano l’arte musicale per arrivare in realtà a esercitare la politica. Tale opinione trova conferma in alcune fonti. Lo prova, anzitutto, l’Alcibiade primo di Platone, che dichiara che Pitoclide fu maestro di Pericle. In secondo luogo possiamo verificare la plausibilità dell’opinione di Protagora introducendo l’interessante e controversa figura di Damone di Atene.
Egli fu a sua volta allievo di Pitoclide e Agatocle e ammaestrò Pericle, stando soprattutto alla Vita di Pericle plutarchea, che a sua volta attinge da Aristotele. Plutarco chiama infatti Damone un «insigne sofista» e, ponendosi tacitamente sulla scia di Protagora, ne fa un intellettuale che usò la musica come un velo per nascondere la propria attività politica, tuttavia presto portata allo scoperto. Damone si rivelò essere un fautore delle scelte politiche ed economiche di Pericle, che lo portarono al potere tirannico. Per tale ragione, egli venne ostracizzato da Atene e subì per questo la satira politica dei poeti comici.
Sull’applicazione della musica alla politica siamo poi largamente informati da diversi testimoni antichi. Il libro IV del trattato Sulla musica di Filodemo riferisce che Damone pronunciò davanti al consiglio dell’Areopago di Atene un discorso, chiamato appunto Areopagitico, per convincere gli anziani della città che lo studio dell’arte musicale si addice alle persone intelligenti, ossia a quelle che molto probabilmente si troveranno a governare. L’insegnamento della musica andava allora incentivato nella città. Filodemo cita questo episodio, a dire il vero, con il dubbio che l’Areopagitico sia un falso storico, o meglio chiedendosi se questo discorso sia stato effettivamente pronunciato. Nessun’altra fonte antica conferma in effetti quanto leggiamo nel trattato Sulla musica. Tenendo però conto che l’omonimo Areopagitico di Isocrate – che secondo alcuni studiosi attingerebbe al discorso di Damone – attesta che il consiglio dell’Areopago era deputato al controllo della temperanza dei cittadini e in generale del buon ordine morale dei giovani, possiamo presumere che la notizia di Filodemo possa essere ritenuta plausibile. Se Damone voleva fare un uso politico dell’insegnamento musicale, il suo obiettivo sarebbe stato raggiunto ben più agevolmente e rapidamente convincendo uno dei gruppi più potenti di Atene a farne uso per reggere lo Stato.
Ma perché ricorrere proprio alla musica? La risposta ci è fornita da numerose testimonianze antiche, che riferiscono come il sofista avesse in effetti argomentato, attraverso un complesso ragionamento l’efficacia educativa – e per estensione politica – di quest’arte. Damone parte dalla premessa che l’anima umana contiene in sé la propensione sia alla virtù che al vizio. I bambini sono come una tabula rasa in cui possono essere generate delle disposizioni virtuose o viziose ancora assenti. Di contro, gli anziani contengono in sé i germi della virtù e del vizio, che presumibilmente restano latenti sotto il carattere, mai completamente acquisito perché sempre modificabile. Un vecchio intemperante conserva, ad esempio, dentro di sé ancora la propensione all’autocontrollo, mentre un bambino per natura coraggioso può sempre acquisire l’abito morale di un codardo.
Ora, la musica costituisce per Damone uno dei più potenti veicoli per liberare quasi tutte le virtù e tutti i vizi, perché alcune melodie influenzano di più le propensioni innate a passioni viziose (paura, lascivia, ecc.) e altre alle sollecitazioni virtuose contrarie. La ragione sta nella sua ulteriore credenza che i modi musicali imitano i moti e i caratteri dell’anima, sicché una musica di qualità “coraggiosa”, “temperante”, “giusta” avvia l’ascoltatore verso il coraggio, la temperanza, la giustizia. È interessante riferire a tal riguardo un aneddoto di Galeno, che sostiene che Damone curò alcuni giovani resi intemperanti dal vino ordinando a una flautista, che stava suonando una melodia secondo il modo Frigio, di intonare una melodia del modo Dorico, rendendo di colpo il loro comportamento più quieto e composto. Le melodie che guidano alla virtù possono essere così introdotte nel “curriculum educativo” per rendere i cittadini moralmente migliori.
La conferma che la musica potesse essere usata ai tempi di Damone per rendere gli ascoltatori più giusti è poi nel trattato di un anonimo studioso di musica, conservato in un papiro di Hibeh (n. 13, 1906). Databile al III secolo a.C., il testo sembra attaccare una teoria musicale analoga a quella del nostro sofista. A detta dell’anonimo autore, sarebbe assurdo credere che vi siano melodie in grado di condurredi per se stesse alla virtù o al vizio, come dimostrabile attraverso alcune prove empiriche. Si osserva, ad esempio, che Etoli e Dolopi che sono soliti ascoltare canti di genere cromatico, ossia che secondo il suo avversario dovrebbero rendere vili, sono invece più coraggiosi degli attori tragici, che sulle scene sono soliti cantare con canti di tipo enarmonico, presumibilmente in grado di rendere gli uomini più amanti del coraggio. Una simile critica non sarebbe esistita, se non ci fossero state teorie musicali secondo cui la musica può migliorare il carattere morale; tra queste, quella di Damone.
Per completare il quadro, è forse lecito aggiungere all’insieme di queste fonti un passo del libro VIII della Politica di Aristotele. Il filosofo menziona che alcune persone (entro cui potremmo includere Damone) discutevano degli effetti delle melodie frigie, melodie doriche e melodie miste, notando in più che le forme di governo imitano questi modi musicali. Ne può seguire che, selezionando i canti che educano i cittadini alle virtù, questi teorici della musica potevano capire quali fossero in grado di condurre alla forma più perfetta di Stato.
Non è un caso che questo stesso programma orienterà anche il progetto politico di Platone; questi, nel terzo libro della Repubblica, si pone esplicitamente sulla scia di Damone ed elabora un programma educativo che induce i bambini ad amare il bello, a fuggire il vizio e a diventare cittadini i quali, da adulti, obbediranno incondizionatamente a coloro che sanno governare, permettendo così la fondazione della città perfetta. Anche il nostro sofista poteva aver forse cercato di indurre sia l’Areopago che Pericle a usare la musica per creare quella che riteneva essere la migliore costituzione di governo tra quelle possibili.
È per il resto curioso constatare che Damone ritenesse che la musica può orientare l’ascoltatore solo a quasi tutti gli abiti virtuosi, senza specificare quali tra questi non possano essere generati. Il silenzio delle fonti su questo aspetto induce alla cautela. Non si andrebbe però troppo lontano dal vero supponendo che il sofista escludesse la saggezza o la virtù del saper comandare dal novero delle virtù che la musica può sollecitare.
Se del resto si può osservare che un bambino diventa più giusto, temperante e coraggioso, quando ascolta una melodia dotata di queste qualità, pare non esistano melodie che lo rendano di colpo più saggio e capace di governare – anche perché non è ancora nell’età adatta per diventare un politico. Questa ipotesi è peraltro compatibile con la sopraddetta testimonianza del Sulla musica di Filodemo, secondo cui le persone già intelligenti non devono tanto ascoltare la musica, quanto studiarla. La saggezza deve insomma essere già data in partenza per chi vuole governare, perché questa virtù ha forse il vantaggio di far capire come usare la musica per creare dei buoni cittadini e uno Stato giusto, coraggioso, temperante. Ciò non toglie, comunque, che la musica possa corroborare in individui cresciuti e già saggi la loro disposizione a quella saggezza. Anche se certe melodie non possono dare saggezza un bambino, esse possono almeno accrescere quella di un vecchio e di un adulto che ha il grave compito di gestire lo Stato.
Damone teorizzava così il potere della musica per mettere in risalto la musica quale strumento di potere. In altri termini, il sofista era un musicologo politico che coglieva come l’ascolto musicale possa trasformare l’anima dei cittadini e sceglieva i canti adatti allo Stato per imporre il governo che desiderava. Come dunque dalle melodie possono derivare sia il buono che il cattivo carattere individuale, così da queste può anche scaturire una città retta e una malvagia. Sta a coloro che governano riuscire a capire quali canti possono creare la costituzione politica più vicina alla morale, alla pace, alla perfezione. La musica è di per sé, invece, un “puro neutro”: può indifferentemente costruire una comunità di angeli e far degenerare la città in una congrega di pazzi selvaggi.
Enrico Piergiacomi
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Si dice, Socrate, che egli [Pericle] sia diventato saggio non con le sue sole forze, ma che abbia frequentato molti uomini saggi, Pitoclide, Anassagora e ancora oggi, alla sua età, frequenta Damone per questo stesso motivo (Platone, Alcibiade primo, passo 118c3-6 = Damone, fr. A 4 Wallace; trad. Giannantoni)
Proprio per me, poco fa, introdusse uno straniero come maestro di musica di mio figlio, Damone, discepolo di Agatocle, uomo raffinatissimo non soltanto nella musica, ma anche degno di insegnare ai giovani di questa età in qualsivoglia argomento (Platone, Lachete, passo 180c9-d3 = Damone, fr. A 2 Wallace; trad. Giannantoni)
Pitoclide era un esperto di musica, maestro di musica seria e pitagorico, di cui fu discepolo Agatocle e di questi Lamprocle e di questi Damone (Scolio all’«Alcibiade primo» di Platone, passo 118c3-6 = Damone, fr. A 3 Wallace; trad. Giannantoni)
Quasi tutti affermano che suo [scil. di Pericle] maestro di musica fu Damone, il cui nome essi dicono che deve essere pronunciato abbreviando la prima sillaba. Aristotele asserisce che egli abbia studiato musica presso Pitoclide. Ma Damone sembra essere stato un insigne sofista, il quale si rivestì della fama nel campo della musica per celare la sua capacità, e fu in rapporto con Pericle, come maestro e istruttore di un atleta di gare politiche. Ma non rimase a lungo nascosto che Damone si serviva della lira come di uno schermo e perciò per il suo ingerirsi negli affari e per il suo favorire l’avvento di un regime tirannico fu condannato all’ostracismo e offrì materia agli attacchi dei comici. Platone [il comico], infatti, rappresenta un personaggio che gli chiede: «Innanzi tutto dimmi, ti supplico: tu infatti, / come dicono, novello Chirone, hai allevato Pericle» (Plutarco, Vita di Pericle, cap. 4 = Damone, fr. A 9 Wallace; trad. Giannantoni)
Pericle, che non aveva mezzi sufficienti per questa coregia [di Cimone], ricevette da Damonide del demo di Oa (il quale sembrava essere l’ispiratore della maggior parte delle azioni di Pericle; ragion per cui alla fine fu condannato all’ostracismo) il consiglio di dare al popolo quanto ad esso spettava, dal momento che le sue personali ricchezze erano sufficienti; ed istituì un’indennità per i giudici (Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, cap. 27, § 4 = Damone, fr. A 8 Wallace; trad. Giannantoni)
In principio infatti, come si è detto, Pericle cercava il favore del popolo nel tentativo di conseguire una fama pari a quella di Cimone; ma a Cimone egli era inferiore per ricchezza e mezzi, con i quali quell’altro si conciliava gli indigenti offrendo ogni giorno un pasto agli Ateniesi che ne avessero bisogno, e dando vestiti agli anziani, e abbattendo le siepi che cingevano i suoi campi, affinché chi lo voleva potesse cogliere i frutti della terra; svantaggiato di fronte al popolo, Pericle si dà a distribuire risorse dello Stato, seguendo il consiglio di Damonide di Oio, come dice Aristotele (Plutarco, Vita di Pericle, cap. 9, § 2 = Damone, fr. A 10 Wallace; trad. Magnino)
Molti sono dell’opinione che si addica alle persone di fine intelligenza occuparsi o essersi occupati di musica… e Damone, se espresse queste idee davanti ad areopagiti veri e non immaginari, li ingannò in modo funesto (Filodemo, Sulla musica, libro IV, colonne 147.37-148.5 = Damone, fr. B 13 Wallace; trad. Giannantoni, ed. Delattre)
Gli Ateniesi di allora non avevano, nella loro educazione giovanile, molti precettori, per godere poi, una volta ammessi tra gli adulti, la libertà di fare ciò che volessero, ma nel fiore dell’età erano oggetto di maggior cura di quando erano fanciulli. I nostri antenati si preoccupavano così vivamente della temperanza, che incaricarono il consiglio dell’Areòpago d’invigilare sul buon ordine morale. E di questo consiglio non potevano far parte se non i nobili per nascita che nel corso della vita avessero dato chiara prova di virtù e temperanza; perciò naturalmente esso si distinse fra tutti i consessi dell’Ellade (Isocrate, Areopagitico, § 37 = Damone, fr. 2 Lasserre; trad. Marzi)
[I governanti] si curavano dunque di tutti i cittadini, ma specialmente dei giovani. Vedevano infatti che a questa età gli uomini sono molto inquieti e pieni di innumerevoli passioni, e che le loro anime hanno estremo bisogno di essere educate mediante l’esercizio di nobili attività e di fatiche comportanti piacere, perché solo a queste può dedicarsi chi è stato allevato liberalmente e abituato ad un alto sentire (Isocrate, Areopagitico, § 48 = Damone, fr. 12 Lasserre; trad. Marzi)
Damone chiarì che con la loro omogeneità i suoni formano melodie continue che suscitano nei giovani inclinazioni non ancora formate e nei vecchi inclinazioni latenti nel loro intimo (Aristide Quintiliano, Sulla musica, libro II, cap. 14 = Damone, fr. B 5 Wallace; trad. Giannantoni)
A chi dunque chiedeva se la musica incitasse a tutte le virtù o solo ad alcune, Damone il musicista a sua volta disse che, a suo avviso, essa incita a quasi tutte. Diceva infatti che al fanciullo che canta e che suona la cetra diventa non solo più coraggioso e più temperante, ma anche più giusto (Filodemo, Sulla musica, libro IV, colonna 22.4-15 = Damone, fr. B 10 Wallace; trad. Giannantoni, modificata)
Non a torto dicevano i seguaci di Damone ateniese che necessariamente i canti e le danze implicano un certo moto dell’anima, e che i canti e le danze liberi e belli rendono tali le anime, mentre quelli contrari, contrarie anche le anime (Ateneo di Naucrati, I sofisti al banchetto, libro XIV, § 25 = Damone, fr. C 1 Wallace; trad. Giannantoni, modificata)
Damone musicista, essendo una volta presente quando una suonatrice di flauto suonava secondo lo stile frigio ad alcuni fanciulli i quali, ebbri per il vino, compivano atti insensati, le ordinò di suonare secondo lo stile dorico: ed essi subito cessarono quel loro agitarsi sconsideratamente (Galeno, I lasciti di Ippocrate e Platone, libro V, § 453 = Damone, fr. B 7 Wallace; trad. Giannantoni)
Infatti, essi sostengono che alcuni canti rendono temperanti, altri assennati, altri giusti, altri valorosi, altri vili, sebbene non abbiano una chiara idea che né il genere cromatico potrebbe rendere vili, né quello enarmonico coraggiosi coloro che ne fanno esperienza. Chi non sa che gli Etòli, i Dòlopi e tutti coloro che si radunano alle Termopili usano la musica diatonica, ma sono più valorosi degli attori tragici, i quali sono continuamente soliti a cantare secondo il genere enarmonico. Ne segue che né il genere cromatico rende vili, né quello enarmonico valorosi (Anonimo trattato sulla musica, in Papiro di Hibeh, n. 13 anno 1906, colonne 1.13-2.23; trad. Untersteiner)
Un caso simile si dà a proposito dei modi musicali, come dicono alcuni: anche qui ne considerano due tipi, il dorico e il frigio e le altre combinazioni ne chiamano alcune doriche, altre frigie. E soprattutto riguardo alle costituzioni sono soliti pensare così (Aristotele, Politica, libro IV, passo 1290a19-24 = Damone, fr. 15 Lasserre; trad. Laurenti)
Ma su questo… ci potremo consigliare con Damone, quali [sono] cioè le basi ritmiche conformi a illiberalità, a superbia, a follia e ai vizi, e quali ritmi vanno riservati alle qualità contrarie. Ho l’impressione di averlo sentito, ma non mi è chiaro, chiamare composto un certo verso enoplio e discutere di un dattilo e di un eroico, ma non so bene come li strutturava e poneva eguali l’alto e il basso del tono e l’uscita in breve e lunga; e così pure di un giambo, mentre ad altro verso dava il nome di trocheo, applicandovi quantità lunghe e brevi. E di alcuni di questi biasimava o lodava, credo, i tempi del piede e gli stessi ritmi o qualche loro composto. Non sono in grado di dirlo. Ma, come dicevo, queste cose lasciamole a Damone: non è possibile in poche parole esaminarle (Platone, Repubblica, libro IV, passo 400b1-4 = Damone, fr. B 1 Wallace; trad. Giannantoni)
[La raccolta pressoché completa delle fonti su Damone è ora accessibile nel volume di Robert Wallace, Reconstructing Damon: Music, Wisdom Teaching, and Politics in Perikles’ Athens, Oxford, Oxford University Press, 2015. A ciò si aggiunga le fonti che forse attingono all’Areopagitico del sofista messe insieme da François Lasserre, Fragments de l’aréopagitique, in François Lasserre (éd.), Plutarque: De la musique, Olten & Lausanne, Urs Graf-Verlag, 1955, pp. 74-79. Le altre edizioni e traduzioni usate sono le seguenti:
• Daniel Delattre (éd.), Philodème de Gadara: Sur la musique. Livre 4, 2 voll. Paris, Les belles lettres, 2007;
• Domenico Magnino (a cura di), Plutarco: Vite parallele. Volume secondo: Pericle e Fabio Massimo, Nicia e Crasso, Alcibiade e Gaio Marcio, Demostene e Cicerone, Torino, UTET, 1992;
• Gabriele Giannantoni (a cura di), I Presocratici: testimonianze e frammenti, Roma-Bari, Laterza, 1969;
• Mario Marzi (a cura di), Opere di Isocrate. Volume primo, Torino, UTET, 1996;
• Mario Untersteiner (a cura di), I sofisti: testimonianze e frammenti. Vol. III: Trasimaco, Ippia, Anonimo di Giamblico, Ragionamenti duplici, Anonimo intorno alle leggi, Anonimo intorno alla musica, Firenze, La Nuova Italia, 1967;
• Renato Laurenti (a cura di), Aristotele: Politica, Roma-Bari, Laterza, 1996]