Francesco Mandelli protagonista nell’adattamento di Leonardo Lidi del testo Proprietà e Atto (esilio permanente) di Will Eno al Taetro Biblioteca Quarticciolo. Recensione
Francesco Mandelli, il Nongio’ della MTV di fine millennio, mente e icona (assieme a Fabrizio Biggio) degli sketch de I soliti idioti, passa i suoi primi vent’anni artistici tra radio, tv, cinema (qualche cinepanettone), band musicali, la pubblicazione di due romanzi per approdare l’anno scorso al teatro con Proprietà e atto (esilio permanente) del drammaturgo statunitense Will Eno – finalista al Premio Pulitzer nel 2005 con Thom Pain. Mandelli, che si definisce anche lui un esule come il personaggio di Eno, guardato come “estraneo” qualsiasi nuovo linguaggio affronti, caratterizza la propria carriera con due termini antitetici, ma quella che chiama prima «incoscienza» è, neanche tanto in fondo, una profonda «curiosità», un approccio comico la cui radice ancestrale, ci rivela, arriva da una «rielaborazione del dolore». Gli chiediamo di unirsi al nostro laboratorio di visione al Teatro Biblioteca Quarticciolo anche noi un po’ incoscienti e curiosi, per farci raccontare il suo percorso poco prima che salga sul palco con l’assolo diretto da Leonardo Lidi. Scopriamo una generosità a tutto tondo, mentre ci racconta di come questa proposta – fortemente voluta da Marcella Crivellenti di BAM Teatro che insieme a La Corte Ospitale produce lo spettacolo – fosse quasi la cartina di tornasole della sua condizione attuale: estraneo lui, estraneo il personaggio, in un confronto che diviene necessario.
«Questa “bolla creativa” è nata in me quando a undici anni ho scoperto il teatro, attraversato da una sensazione strana: c’era sì il piacere di stare sul palco, il senso di gioco, di condivisione, di grande legame con gli altri, di rigore, il vedere la gente che rideva, che era stupita, ma la cosa che mi ha colpito di più è stato il senso di estrema malinconia che la fine di quello spettacolo mi ha creato. Il vuoto che ha lasciato quell’esperienza mi ha fatto l’effetto di una sbornia, qualcosa di mai provato prima».
Poi arrivano i casi fortunati, i riconoscimenti, il successo, «ciò di cui hai bisogno per essere “messo sulla mappa” e non sparire», ma anche la stanchezza: «Arriva il consenso popolare, gli anni tra il 2011 e il 2014, periodo i in cui I soliti idioti incassano una valanga di soldi, li ricordo come i meno divertenti della mia carriera. Il gioco si era rotto, arrivi a quel punto e non ritrovi più quello che ti aveva spinto da bambino, solo una sensazione di disagio, di mera etichetta». Allora cosa bisogna fare per ritrovare quel prezioso vuoto? «Disimparare completamente tutto quello che avevo fatto». La comicità era diventata rassicurante, bisognava ritornare a spiazzare, o forse, ancora meglio, a sentirsi spiazzati. Ecco che l’incontro con Leonardo Lidi, che lo guida «a fare il meno possibile», e il testo – che rappresenta «quasi un grado zero della comunicazione» – nella traduzione inedita di Chiara Maria Baire, diventa occasione rivelatrice, per “spogliarsi della battuta” e ritrovare, appena accennato, un sorriso che invita l’altro ad accostarsi più da vicino…
Entrando in sala, la scena buia è riempita soltanto da una scatola di legno aperta di fronte allo spettatore, vicinissima alla platea, aggettante sul proscenio, illuminata con un piazzato fisso per tutta l’ora dello spettacolo. Al centro di quella scatola, una sedia, una qualunque sedia che potrebbe accogliere un qualunque uomo, in qualunque parte del mondo. Il testo di Will Eno appartiene a quel filone di teatro minimalista per il quale il fatto scenico è dato, esplicito nel suo rappresentarsi senza alcuna ridondanza concettuale alcuna. L’accadimento si espone allo spettatore, che è in grado di riceverlo perché immerso in una dimensione dell’ascolto sofisticata e perfetta, prossima all’uomo. L’uomo Francesco Mandelli è lì davanti a noi e ci parla, è vestito come fosse un militare in trasferta: zaino sulle spalle, camicia con colletto a punta, pantaloni e mocassini, consumati sulle punte. Pettinato, pulito, sorridente e con gli occhi illuminati da un guizzo scaltro, furbo sì ma leale. Lealtà che ritroviamo in quella sua postura rivolta a un destinatario qualunque, la cui presenza è però necessaria a sorreggere il codice di un messaggio sospeso, esterno, migrante e in viaggio. Il moto del distacco non è reso scenicamente, l’attore resterà seduto e si alzerà solo in alcuni momenti, tuttavia la stasi è momentanea, ha una durata, allo scadere della quale muterà in partenza. Ma prima, ascoltiamo di un Esilio permanente abitato da digressioni, come fosse una casa del ricordo nella quale incontriamo Lisa, l’amore, la vita e le sue malinconie. Un passato di certo non risolto, rispetto al quale il protagonista è forse arrabbiato, non totalmente privo di rancori, i quali sembrano ora affiorare con discreta rilevanza e volontà di risoluzione.
Il segno registico di Leonardo Lidi – vincitore alla Biennale College del 2017 – per questo Monologo per un uomo leggermente straniero, è pressoché invisibile, tuttavia presente nel disegno scenico volto a creare una precipua situazione nuda, tanto nell’interpretazione di Mandelli che nell’allestimento. Grazie a questa “eclissi registica”, testo e attore diventano totalizzanti e dimostrano tutta la loro purezza: Mandelli non possiede alcuna sovrastruttura, libero nella propria azione di racconto procede con familiarità rivolgendosi al pubblico, del quale controlla reazioni e presenza con caparbietà impeccabile, senza quell’invadenza da sterile coinvolgimento che creerebbe imbarazzo. Al contrario, lo spettatore è messo nella condizione di intervenire in autonomia sollecitato non dalla domanda diretta e spiazzante ma dalla dimensione di coinvolgimento creata drammaturgicamente.
Ascoltiamo l’uomo perché ci restituisce un tempo ormai perduto al quale lui stesso cerca di rimanere attaccato servendosi delle parole e del loro significato, «sensato». Lo ascolteremo finché anche noi destinatari del suo racconto non percepiremo una certa stanchezza della parola, estranea, e capiremo che quel lasso del racconto sta per terminare, e sì, un po’ timorosi e colpevoli nel pensarlo, vorremmo che quell’uomo andasse via, che continuasse il suo viaggio.
Adesso basta, è tempo di salutarci.
Lucia Medri e Viviana Raciti
Teatro Biblioteca Quarticciolo – febbraio 2019
PROPRIETÀ E ATTO
(esilio permanente)
Monologo per un uomo leggermente straniero
di WILL ENO
traduzione Chiara Maria Baire
revisione Elena Battista
con FRANCESCO MANDELLI
regia Leonardo Lidi
luci Stefano Valentini
foto di scena Luca Del Pia
illustrazione originale di Pietro Nicolaucich
produzione BAM Teatro, La Corte Ospitale
Testo inedito – prima rappresentazione in Italia