La commedia di Gaetanaccio con Giorgio Tirabassi e Carlotta Proietti. Di Luigi Magni, regia di Giancarlo Fares. Recensione dal Teatro Eliseo
Roma. Esterno sera. Quando la città si ammanta di una luce che prima, prima non c’era. E la luna, d’un quarto appena o piena, s’appende al nero dell’oscurità, leggera. È fuori da un teatro dove la realtà decide ogni volta, per ogni replica, di abdicare, lasciare il regno sul cui trono sta ora la meraviglia, che un bambino tiene per la mani una fionda d’artigiani, un ramo teso dall’elastico fino al limite dell’estensione, punta i passanti, finge di sparare, ma spara mai. È questa l’immagine – per la verità ancora in dubbio se reale o presunta – della Roma che rintocca, dall’alba all’imbrunire della storia, lo stesso immoto dindon di campana. È la Roma ironica, sferzante, dispettosa, che libera parole come cani randagi dispersi per i vicoli e gli androni, la Roma dei poeti raso i muri, dell’amore stradaiolo ed affamato, del porpora sacrale e papalino. È Roma, quella che Luigi Magni ha ritratto in tanti film e in questo testo: La commedia di Gaetanaccio, rimesso in scena al Teatro Eliseo (che produce) dopo quarant’anni dalla prima edizione con Gigi Proietti, per la regia di Giancarlo Fares e con Giorgio Tirabassi, inseme a Carlotta Proietti co-protagonista, nei panni dell’attore squattrinato e pur verace che dà titolo all’opera.
La città dei poteri forti, del sopruso legalizzato, la città sempre oltre il proprio limite, conosceva nell’Ottocento la sua massima espressione di impeto rivoltoso contro una società soverchiante, antilibertaria. È questo il contesto che Luigi Magni, autore della commedia, non sapeva di consegnare a un tempo come questo, oscuro e tenebroso forse più del tempo in cui l’ha scritta. C’è un attore, Gaetanaccio forse ritenuto fra i maggiori, che inizia la commedia avvinto in ceppi, imprigionato dai gendarmi per aver tentato di far teatro, in barba all’ordinanza imposta dal Santo Padre che ne vietava ad ogni livello la messa in scena. Ma Gaetanaccio sa, fin dal principio, che la vita dell’artista va in pari con la strada, che la rappresentazione è menzognera per chi non ne conosce l’intenzione, ma è verità per chi sa farne incanto e ribellione.
Innamorato, della vita e di Ninetta, vive di espedienti e attende alla luce delle gelosie ove l’amata si nasconde, è senza futuro se non di ore o di minuti, come un inviato della storia misura la distanza dei guitti e i poveracci dalla Roma del potere sovrumano, divino per mandato o per destino. Ma vive una società che costringe e pertanto crea una continua separazione tra chi si china di fronte al potere e chi reagisce e si dibatte, tuttavia creando una genia di personaggi ribelli non per vocazione ma per necessità.
La scrittura di Magni si avvale di un linguaggio allusivo e ironico, solo a volte troppo caricato sul piano della volgarità; la regia di Fares, che mescola al teatro la musica in scena e alcuni elementi di danza, è classica, come classica è la scenografia che riproduce un vicolo romano; il regista, che tuttavia la disperde un po’ verso il finale non molto a fuoco, propone una lettura pulita e priva di contenuti sperimentali che non sembrano necessari a una simile operazione stilistica, contando sulla vena di Giorgio Tirabassi, abile a non cadere nella trappola del macchiettismo verso l’esempio Proietti (o di Manfredi, pensando al cinema di Magni) ma vitale e sapiente nel gestire lo spazio con il corpo e la voce, e sulla presenza di Carlotta Proietti che incarna un difficile ruolo di tradizione, senza perdere l’arduo confronto. Entrambi si caricano sulle spalle anche un repertorio di canzoni che corroborano la commedia rendendola briosa e talvolta emozionante. Discreto, non altissimo, il livello del cast più allargato, con una punta di rilievo in Daniele Parisi cui spetta il prologo e il ruolo di governatore della città.
Cos’è l’attore nella società? Sembra questa la domanda, perfettamente attuale, che passa per il corpo disgraziato di Gaetanaccio, come degli altri guitti vittime dell’ordinanza, un vinto dalla fame che però nell’amore riscopre una vitalità ulteriore, un nutrimento che può pure bastare all’esistenza. L’attore è un interprete del mondo, colui che sa acquisire i caratteri dell’esistenza per poi restituirli compiuti in una storia esemplare, in cui è definito il senso dell’essere al mondo. E di attori ne avrebbe bisogno questa società non più in grado di definire se stessa, che attraverso il passaggio in arte e l’impegno della trasformazione sarebbe rinfrancata, se non rinnovata. Ma se di artisti di teatro avrebbe bisogno, alimentati fin dalle fasi di ideazione e creazione dell’opera, stupisce un po’ trovarsi di fronte questo testo in un teatro di recente discusso per aver chiesto e ottenuto un grosso fondo ministeriale aggiuntivo, da utilizzare per la sola messa in scena e molto di rado per il monitoraggio e il sostegno alle compagnie più giovani e indipendenti, vittime di una indigente condizione che tanto somiglia alla vicenda di Gaetanaccio. Il teatro è un luogo di grande unità, di comunità tra gli uguali, ma c’è chi è un po’ più uguale degli altri.
Simone Nebbia
Produzione Teatro Eliseo presenta
Giorgio Tirabassi e Carlotta Proietti in
LA COMMEDIA DI GAETANACCIO
di Luigi Magni
musiche originali Gigi Proietti, Piero Pintucci, Luigi Magni
con Carlo Ragone, Elisabetta De Vito, Daniele Parisi, Marco Blanchi, Enrico Ottaviano, Matteo Milani, Pietro Rebora, Martin Loberto e Viviana Simone
musicisti in scena Massimo Fedeli (piano e fisarmonica), Diego Bettazzi (clarinetto/flauto), Stefano Ratchev (violoncello), Claudio Scimia (violino/chitarra), Alessandro Vece (violino/mandolino/piano)
costumi e burattini Santuzza Calì
scene Fabiana Di Marco
light designer Umile Vainieri
sound designer Manuel Terralavoro
vocal coach Maestro Massimo Fedeli
coreografie Ilaria Amaldi
regia Giancarlo Fares