Quinta di copertina. In occasione della Giornata della Memoria, rileggiamo Ridere rende liberi. Comici nei campi nazisti, della studiosa Antonella Ottai, edito per Quodlibet.
Non è un caso che un volume su un periodo tra i più bui della nostra storia contemporanea parta dalla memoria personale e dal passaggio, dunque, della sua testimonianza. Nel suo Ridere rende liberi. Comici nei campi nazisti Antonella Ottai parte dall’incontro con il contesto storico attraverso una minuziosa presentazione di fonti storiche (testi critici, romanzi, archivi, testimonianze varie) e i racconti del padre che nella Repubblica di Weimar aveva vissuto e studiato. Il volume, edito da Quodlibet nel 2016, ha del romanzo autobiografico l’intimità del tono; il piacere della lettura fa scorrere fluidamente all’interno di capitoli che non sono sordi all’orrore, ma nemmeno ciechi di fronte all’arte, facendo sì che un aspetto racconti l’altro e viceversa. «Fra “l’Ora di Berlino”, di casalinga memoria e l’ecatombe della Shoah di memoria storica i comici avevano continuato a fare i comici […]. Anche nei campi di internamento e deportazione, perché non avevano altra scelta e la vita teatrale significava soprattutto vita».
Un altro dei meriti lo si trova, fin dal prologo, nella capacità di rievocare attentamente quell’atmosfera precisa, di passare dalle gioie della scoperta, le sperimentazioni e la promiscuità dei Kabarett berlinesi, fino allo sgomento e, ciononostante, alla comicità delle riviste dentro i campi di internamento e deportazione. Emergono così dalle testimonianze, puntualmente riportate e commentate, la possibilità di trovare dentro le occasioni di spettacolo un motivo di salvezza seppure momentanea e però anche il rifiuto di esibirsi (mettendo così a repentaglio la propria vita) mentre i propri compagni stanno per essere portati nelle camere a gas.
Ottai ci guida nei capitoli centrali in due luoghi emblematici, dentro alle loro mutazioni, le contraddizioni e gli orrori che li segnarono: Westerbork e Theresienstadt. Campi di accoglienza, poi di smistamento, concentramento; dimensioni che vennero spacciate come “l’eccellenza”, come soggiorni termali, strutture per cui valeva la pena fare dei film che ne riprendessero il “modello virtuoso”. Restano immagini sia di Westerbork che di Theresienstadt (diversi film venivano, poi, bloccati o rifatti per «eccesso di realismo»). Si tratta di contesti in cui finirono per esibirsi stelle dello spettacolo come Kurt Gerron, Karl Valentin, Paul Morgan, il pianista Martin Roman, per nominare alcuni di cui l’autrice del libro segue le vicende.
Non viene mai meno la contraddizione, né il suo impossibile risanamento, ma l’elemento comico è per sua natura mutevole: denigratorio, irrisorio, distraente, salvifico, liberatorio. Se durante un numero satirico si rideva, chi erano gli oggetti di derisione, chi era lo sbeffeggiato e chi lo sbeffeggiatore? Accettare di partecipare alle Riviste significava essere considerati Buffoni del comandante? Accettare “gli esercizi di umorismo” implicava la possibilità di sopravvivere? L’umorismo viene scoperto come «ontologia del mondo» e, verso la sua fine, scopre anche di essere sopravvissuto all’uomo, ma non all’umano.
Viviana Raciti
editore Quodlibet Studio. Lettere
anno 2016
pagine 240
formato 140×215 mm, brossura
prezzo € 18,00