Durante Osservatorio Màntica al Teatro Comandini di Cesena, abbiamo visto Monsieur Teste di Chiara Guidi. Un ragionamento sul suono e sul silenzio, tra voce e musica.
Ci sono lavori che più di altri portano a riflettere su determinati aspetti della scena. A volte è attitudine, inclinazione da studiosi, o più semplicemente un rivolo sotterraneo e personalissimo che trova il modo di risalire. Accade allora che, negli ultimi tempi, la questione del silenzio (che più spesso attiene alla sfera socio-antropologica) venga suggerita da alcuni lavori teatrali (e non solo) che si concentrano prettamente sul suono. Mi riferisco ai due appuntamenti conclusivi di Osservatorio Màntica | Inganno a Cesena con Monsieur Teste. Una prosa filosofica per contrabbasso, percussione e voce ideato da Chiara Guidi e il DJ-set di Black Fanfare. Se, come dice David Le Breton in Sovranità del silenzio, «il silenzio costringe alla metafisica persino gli uomini più concreti», a teatro può evocare presenze nascoste, rendere visibile la finzione o esplicitare la condizione d’assemblea della quale facciamo parte.
Nelle note che accompagnano il lavoro su Monsieur Teste, Chiara Guidi si chiede: «Come vedere e capire quel che c’è in noi di più nascosto […] l’oscura sostanza che siamo senza saperlo…». Paul Valéry in questo testo raffinato che dà il titolo allo spettacolo, che val la pena considerare più di un semplice compendio, si sdoppia nel suo alter ego e intraprende un dialogo interiore attorno alla coscienza, al peso e al ruolo dell’intelligenza: «Tutto quello che io faccio e penso è solo prova del mio possibile. L’uomo è più generale della sua vita e dei suoi atti […] il mio possibile non mi abbandona mai». Ci sono suoni che invadono lo spazio e lo rendono una possibilità, prima di scomparire e cancellare quasi il ricordo che abbiamo di essi. Anche gli spettacoli spesso agiscono nello stesso modo, sono la possibilità di un mondo che vive per un attimo prima di sparire.
È in questa zona di potenzialità che si sviluppa il lavoro di Chiara Guidi e dei musicisti Michele Rabbia (percussioni e elettronica) e Daniele Roccato (contrabbasso e elettronica). Guidi di spalle, per quasi l’intera durata dello spettacolo, ricama le parole di Paul Valéry e solo per un attimo, verso il finale, si volta: ha un viso dipinto di nero e un cappello a falda larga, ci guarda in parte con sospetto, ma quando torna nella posizione iniziale abbiamo la certezza di essere la scia di quella parola detta, esercito silente, custode e amplificatore delle sue possibilità.
Le parole che a teatro spesso cerchiamo come risposta alle nostre domande in realtà ci privano dell’inquietudine che è propria del silenzio. La complessa drammaturgia sonora del Monsieur Teste emerge allora come da una crisalide, a dirci che l’appuntamento con la risposta è una trappola che priva dell’immaginazione chi ascolta e guarda: le domande che Valéry rivolgeva a se stesso e all’umanità tutta rimangono allora come “parole ghiacciate” immerse tra strati di silenzio (a tal proposito c’è tutta una letteratura su questo topos a partire dal Gargantua e Pantagruel di Rabelais).
Le metafore con cui ci riferiamo al silenzio sono spesso consunte, è la pratica dell’esperienza a renderle sempre attuali. Spesso diciamo “rompere il ghiaccio”, e così ci riferiamo al superamento di una barriera di silenzio imbarazzante che oltretutto fa da specchio alle parole del filosofo Emmanuel Levinas per cui «l’essenza del suono è una rottura».
In questo senso il DJ-set di Black Fanfare (Demetrio Castellucci) al Teatro Comandini di Cesena ha sciolto molte questioni ed è apparso come vera e propria performance stratificata. Il lavoro di Demetrio Castellucci, cui ho accennato altrove, meriterebbe uno studio a parte: laddove molte drammaturgie sonore provano a riprodurre il pulsare umano e della natura, ma con la sola forza e violenza dell’energia acustica, qui il suono perimetra una liturgia del silenzio, sempre in tensione con quelle zone di magma acustico e sorprendentemente mobile. Gli scarti tra uno strato sonoro e l’altro impongono di prestare ascolto alle diverse dimensioni del silenzio, che non è tanto assenza e vuoto, quanto scia di un suono che si è dissolto un attimo prima. «Ho riconosciuto uno per uno i rumori impercettibili da cui era nato il silenzio» per dirla con parole di Camus in Noces, 1958.
Questo “neo primitivismo digitale” (l’espressione sintetizza il lavoro di Black Fanfare, ma non lo esaurisce di certo) ci dice che il silenzio non cessa mai davvero, conosce solo variazioni di cui il suono è solo una delle forme in cui trattenersi, per un attimo, finché ci troviamo trasportati in altri orizzonti, lontano da luoghi abitabili, senza aver davvero compreso la strada percorsa.
A teatro è forse quello il silenzio più importante, il nostro. Il silenzio degli inizi e della fine che spesso si accompagnano al buio. Quando non lo si percepisce come solo imbarazzo sta tutto lì l’incantesimo. C’è da chiedersi se valga davvero la pena interromperlo con l’applauso.
Doriana Legge
Teatro Bonci, Cesena – dicembre 2018
MONSIEUR TESTE. UNA PROSA FILOSOFICA PER CONTRABBASSO, PERCUSSIONE E VOCE
Ideato da Chiara Guidi
Testo Paul Valéry
Voce Chiara Guidi
Percussioni e elettronica Michele Rabbia.
Contrabbasso e elettronica Daniele Roccato.
Produzione Socìetas
In collaborazione con Associazione Culturale LSD-Controchiave
Teatro Comandini – Black Fanfare live set