La stagione operistica del Teatro dell’Opera di Roma (Teatro Costanzi) si inaugura con il Rigoletto di Giuseppe Verdi, firmato da Daniele Abbado e diretto da Daniele Gatti. Recensione
Il sipario di Rigoletto si apre su uno spazio cupo, buio, come il periodo storico in cui Daniele Abbado decide di inquadrare la vicenda: gli anni Quaranta della Repubblica di Salò. Come ci racconta il regista, l’intento di questa trasposizione è quello di «far coesistere tragedia personale e senso morboso della storia della politica». Quello che il regista crea è così un universo a sé stante, dove il tempo sembra sospeso e la vita scorre indifferente sotto gli occhi di tutti, senza passare per il filtro della capacità di distinzione tra giustizia e ingiustizia; un luogo dove un manipolo di giovani soldati si diverte alle spalle del più debole, sia esso il vecchio Monterone, le giovani ragazze del paese o il buffone Rigoletto.
Le Roi s’amuse, «il re si diverte», era per Hugo nel 1832, un re che Giuseppe Verdi è stato costretto a sostituire nel 1851 con un Duca e che qui diventa il comandante in capo della milizia. In sostanza, però, si tratta sempre dello stesso personaggio: un uomo di potere che ordina e dispone, che pretende di avere tutte le donne che desidera rimanendo impunito. E ci rimane per davvero, perché, oltre ad avere la legge dalla sua parte, ha anche il destino: sarà proprio una delle sue conquiste, la piccola Gilda, a salvargli la vita dando in cambio la propria. Nonostante tutti i tentativi di Rigoletto di preservare la propria amata figlia, arrivando a chiuderla in casa, la «maledizione» di questo universo cinico e maschilista si fa strada tra le porte sbarrate e colpisce a morte.
Rigoletto (Sebastian Catana) è un attore di avanspettacolo che indossa una scintillante giacca nera di paillettes e il cui compito è quello di allietare il piccolo esercito del Duca di Mantova (Ivan Ayon Rivas). La sua deformità non è fisica, ma tutta interiore e lo porta a concepire un omicidio per vendetta: Rigoletto è vittima della maledizione, sì, ma di quella auto-inflitta, innescata da scelte estreme e ingiustificabili, dal troppo amore. Gilda (Claudia Pavone) è una ragazza eterea, l’unica ad essere vestita di bianco poiché è l’unica ancora non contaminata dal torbido mondo esterno. Non uscendo mai, non ha idea di che cosa sia l’amore e finisce per cadere facilmente vittima dell’inganno del Duca.
Fra il buio e la nebbia si sviluppa una massiccia scenografia verticale (opera di Gianni Carluccio), che vuole riprodurre un’asfissiante città: un’intricata rete di impalcature mobili, costruita per permettere ai personaggi di entrarvi, uscirvi e nascondervisi. Anfratti scomponibili e ricomponibili, che rispecchiano in pieno la trama di inganni sulla quale l’opera verdiana è costruita. Lo sguardo si fa spazio solo attraverso le fioche luci dei lampioni, tra la fitta nebbia di ghiaccio secco che invade il palco e la platea e che rende particolarmente suggestivi alcuni momenti, tra cui il duetto tra Rigoletto e Sparafucile (Riccardo Zanellato).
Nel corso dell’opera assistiamo a un processo di semplificazione e di spoliazione: dal realismo del numero iniziale della festa, affollato di personaggi e di componenti sceniche, si passa a una progressiva eliminazione di elementi del secondo e terzo atto, fino ad arrivare a uno slancio simbolico nel finale ultimo. Il duetto padre/figlia diventa un atto metafisico: una volta aperto il sacco e scoperto il doloroso inganno, Gilda si alza e canta la propria parte in piedi, in proscenio, illuminata da un fascio di luce bianca, come se fosse già morta e parlasse al padre dall’aldilà. Poi la luce va progressivamente spegnendosi: Gilda è andata, lasciando Rigoletto solo, disperato.
Il grande successo della recita si deve però al maestro Daniele Gatti: rapidissimo, preciso e dritto al punto, coglie e esalta i momenti drammaturgicamente essenziali, mantenendo un ritmo sempre sostenuto e proiettato in avanti. Dalla sua bacchetta escono colori freddi, taglienti e atmosfere notturne, tutto in perfetto accordo con la regia pensata da Abbado. È lui il più applaudito della serata, a pieno diritto. Buona anche la performance del secondo cast, in particolare quelle di Catana e di Pavone che si guadagnano applausi e “Bravo” a scena aperta.
Flavia Forestieri
Teatro Costanzi (Teatro dell’Opera) – Roma, dicembre 2018
RIGOLETTO
di Giuseppe Verdi
libretto Francesco Maria Piave
direttore Daniele Gatti
regia Daniele Abbado
maestro del coro Roberto Gabbiani
scene e luci Gianni Carluccio
costumi Francesca Livia Sartori ed Elisabetta Antico
regista collaboratore Boris Stetka
movimenti coreografici Simona Bucci
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
principali interpreti
IL DUCA DI MANTOVA Ismael Jordi / Ivan Ayon Rivas 13, 18 dicembre
RIGOLETTO Roberto Frontali / Sebastian Catana 13, 18 dicembre
GILDA Lisette Oropesa / Claudia Pavone 13, 18 dicembre
SPARAFUCILE Riccardo Zanellato
MADDALENA Alisa Kolosova
GIOVANNA Irida Dragoti *
IL CONTE DI MONTERONE Carlo Cigni
MARULLO Alessio Verna
MATTEO BORSA Saverio Fiore
Il CONTE DI CEPRANO Daniele Massimi / Antonio Taschini 11, 13, 15, 18 dicembre
LA CONTESSA DI CEPRANO Nicole Brandolino
USCIERE DI CORTE Leo Paul Chiarot / Fabio Tinalli 11, 13, 15, 18 dicembre
PAGGIO DELLA DUCHESSA Michela Nardella / Stefania Rosai 11, 13, 15, 18 dicembre