Un comitato informale di artisti, organizzatori e critici pubblica il Manifesto per un Teatro Indiano. Introduciamo i punti raccolti da questo comitato con un commento.
Dopo la rinuncia all’incarico da parte di Antonio Calbi, passato alla guida dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico (Inda), il Teatro di Roma è in procinto di rendere nota la nomina della nuova direzione artistica.
Ci sarebbe poco da aggiungere alle locuzioni, ai termini, ai toni utilizzati nel Manifesto Indiano che qui condividiamo e che raccoglie i desiderata di artisti e pensatori appartenenti alla scena teatrale romana, accanto ai quali anche questa redazione aveva già firmato una lettera aperta. Da essi emerge quell’urgenza che una comunità autoconvocata che racchiude gran parte delle maggiori realtà artistiche della Capitale vorrebbe ribadire, dopo troppi anni di dialoghi interrotti, di “ignorabimus”, di rimandi “a data da definire”, la propria idea di teatro pubblico.
Riuscendo anche a conquistare attenzione sulle pagine del quotidiano la Repubblica, l’aspettativa nei confronti della nuova direzione artistica sta occupando tempo di riflessione nelle aspettative di individui e di gruppi. Si attende il nuovo progetto che doni una “nuova testa” all’ariete dell’istituzione di settore per eccellenza, il Teatro Nazionale.
Le comunità del teatro sono ormai da tempo – inutile negarlo – in attesa di un programma solido e consapevole, di una visione di presente e di futuro che veda nel Teatro Nazionale di questa città l’espressione delle reali emergenze della società degli artisti e degli spettatori.
La migrazione del Direttore ha lasciato questa istituzione fondamentale – almeno per tutti noi – nelle mani di strategie burocratiche e strategiche finora quasi mai a dovere trasparenti e che ora dovrebbero prendersi la responsabilità di sanare conflitti e quella di riportare, nel tessuto dell’azione culturale di un’istituzione come il Teatro di Roma, il seme di una speranza verso una gestione consapevole e attenta degli spazi e delle opportunità.
Il Teatro di Roma è stato di certo punito dalle assegnazioni del Mibac e da una situazione politica locale costantemente instabile la quale, tuttavia, ci sembra abbia avallato alla direzione uscente un movimento di conversione in numeri e statistiche (giornate lavorative, alzate di sipario, etc.) preferendolo a una missione ben più complessa, quella di farsi punto cardine per le reali esigenze della società artistica e della comunità di spettatori già appassionati e assidui. In particolare, però, come denuncia – in maniera tuttavia costruttiva – il Manifesto che stiamo per consegnarvi, la responsabilità da riconfermare e rilanciare dovrebbe essere quella relativa a uno spazio creato appositamente per dare respiro alla ricerca, alla progettazione, all’utopia, finalmente. Perché un teatro pubblico torni a farsi garante dell’indipendenza delle forze creative.
Lo spazio del Teatro India – ancora ridotto a recipiente secondario – deve (e può, soprattutto!) farsi luogo per la ricostruzione di una vocazione comunitaria.
Ci auguriamo che le istituzioni che governano le nomine del Teatro di Roma possano prendersi cura di queste istanze, accettando di rinunciare – laddove necessario – a vincoli di bilancio e di attestazione di preferenza elettorale e invece dedicando attenzione e cura a un progetto che, lo dimostra questo Manifesto, vive o sopravvive ormai da anni, nel tentativo di riconnettere la ricerca artistica e politica del teatro a un orizzonte di partecipazione locale. E, forse, nazionale.
Andrea Pocosgnich
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UN MANIFESTO INDIANO. APPUNTI PER UN NUOVO TEATRO INDIA
«Come possiamo fare in modo che un’istituzione ormai invecchiata si renda libera e torni a dare respiro a un’urgenza realmente contemporanea? Che torni a fare di se stessa un osservatorio che vagli le leggi del mondo?».
Milo Rau, Ghent Manifesto
Il momento che stiamo vivendo, per il contesto politico e sociale del nostro Paese e per le condizioni di emergenza in cui versa il teatro romano, accelerate dall’incertezza istituzionale a seguito delle improvvise dimissioni del direttore del Teatro di Roma, ha portato un gruppo di artisti, intellettuali e professionisti dello spettacolo a domandarsi quali debbano essere lo spazio e la funzione di uno dei teatri principali della città. Il confronto tra le nostre molteplici esperienze artistiche ha suscitato una prima riflessione su quella che dovrebbe essere la missione e la fruizione del teatro oggi.
Abbiamo cercato di immaginare un rilancio, un nuovo futuro per il Teatro India, luogo storicamente e architettonicamente vocato alla scena contemporanea. Un teatro che, però, non abbiamo mai pensato come a sé stante, ma sempre in relazione con gli altri spazi teatrali e culturali della città e dello stesso Teatro di Roma.
Crediamo innanzitutto che il teatro contemporaneo debba aprirsi alla polis, alla città, uscendo dai canoni con cui viene da sempre fruito, avventurandosi in zone di imprevisto, mostrandosi anche come processo e non solo, sempre, come prodotto.
Lasciare che la città, e con lei il pubblico, vi si mostri, si trasformi, raccontandosi di nuovo come soggetto di una visione identitaria e, al contempo, collettiva.
Da queste riflessioni sono nati dei desideri concreti.
Cinque domande che sono anche i primi punti di quello che abbiamo chiamato “Un Manifesto Indiano”.
1. Immaginiamo il Teatro India sempre aperto, dalla mattina alla sera, un luogo dedicato a residenze, alla creazione, allo scambio e all’incontro tra gli artisti, ma anche aperto al quartiere e alla città. Un luogo accogliente e abitabile, da vivere prima, dopo e al di là degli spettacoli. Per questo motivo, riteniamo che India necessiti di una adeguata opera di manutenzione e di restyling. Che preveda l’apertura di un bar, di una zona ristoro, di una biblioteca, un WIFI gratuito, e un playground per bambini.
2. Immaginiamo India al centro di una visione poetica e artistica che rispetti le diverse esigenze di programmazione e di creazione. Questo è l’unico modo per garantire la convivenza tra l’andamento delle prove e la proposta spettacolare, permettendo al pubblico di vivere, lo ribadiamo, gli spettacoli come un processo di produzione complesso e non esclusivamente come un prodotto finito.
3. Immaginiamo India come uno spazio aperto alla sperimentazione, alla ricerca e allo sguardo delle nuove generazioni; un luogo che accolga letture sceniche, studi, work in progress, nuove drammaturgie. E che permetta la realizzazione di laboratori di studio, di approfondimento, di lettura permanente di testi letterari e teatrali, di creazioni aperte ad altre arti, anche in collaborazione con progetti di formazione teatrale e con soggetti istituzionali già operanti a Roma e, in particolare, nel quartiere.
4. Immaginiamo il Teatro India come il luogo di un’identità forte e di una visione poetica precisa e singolare. Per questo crediamo sia necessario che nella programmazione delle stagioni sia lasciato spazio – anche economico – all’ideazione e alla programmazione “istantanea”. Spazi liberi per accogliere progetti imprevisti, in eventuale contrapposizione con la tendenza a programmare intere stagioni senza tener conto delle esigenze, delle trasformazioni e delle opportunità che nascono dalle realtà sempre in movimento nelle nostre città contemporanee.
5. Immaginiamo India come un «teatro della città» che si apra allo scambio internazionale e interculturale, non limitandosi a ospitare produzioni italiane e straniere, ma avviando dei veri e propri processi di coproduzione, consapevoli delle urgenze del tempo presente.
Firmatari
Roberto Latini, Fortebraccio Teatro, lacasadargilla (Lisa Ferlazzo Natoli, Alessandro Ferroni, Alice Palazzi, Maddalena Parise), Accademia degli Artefatti, Daria Deflorian, Antonio Tagliarini, Luca Brinchi / Daniele Spanò, Teatro delle Apparizioni, Attilio Scarpellini, Teatro e Critica, Roberto Scarpetti, Vinicio Marchioni, Muta Imago (Claudia Sorace, Riccardo Fazi), Graziano Graziani, Davide Carnevali, Daniele Timpano, Elvira Frosini, Matteo Angius, Compagnia MK, Lorenzo Pavolini, Gianni Staropoli, Andrea Baracco, Compagnia Biancofango, Compagnia MusellaMazzarelli, Diana Arbib, Gianluca Falaschi, Luigi Biondi, Bartolini / Baronio, Roberta Nicolai, Amendola/Malorni