Debutta a Carrozzerie n.o.t. di Roma Works of Worship. 4 Atti di Adorazione – Primo atto. Ispirato ai libri di Yukio Mishima, di Dante Antonelli. Recensione.
A Romaeuropa Festival 2017, nella rassegna Anni Luce curata da Maura Teofili, Dante Antonelli aveva portato una trilogia sui Drammi fecali di Werner Schwab (con i titoli Fäk Fek Fik, SSKK- Santo Subito + Kova Kova e Duet), un lavoro di affondo verticale nella scrittura nera e sfacciata del drammaturgo austriaco morto per overdose a 35 anni.
Parte di quello che era il Collettivo Schlab torna oggi in scena a Carrozzerie n.o.t., presentando il primo dei Quattro Atti di Adorazione (Works of Worship), un’operazione drammaturgica intorno ad alcuni scritti di Yukio Mishima, uno degli autori più famosi della letteratura giapponese contemporanea, che si era tolto la vita pubblicamente nel 1970, compiendo un suicidio rituale, il cosiddetto seppuku, dopo aver occupato l’ufficio del generale Mashita dell’esercito di autodifesa.
Ora la compagnia si presenta come Gruppo W.O.W. (acronimo di Works of Worship).
Quella perseguita da Antonelli è un’insolita modalità produttiva, che non coincide tanto con l’esigenza di creare dei gruppi effimeri, ma che invece risponde – come ci spiega al termine del debutto – a quello che per lui è l’unico modo di lavorare. «Non ho mai fatto dei provini», sostiene. È sempre arrivato a comporre il cast a partire da lunghi laboratori di ricerca che, per due anni di seguito, hanno trovato spazio proprio a Carrozzerie n.o.t., ancora una volta luogo di resistenza per la creatività romana.
In altre occasioni ci siamo trovati a sottolineare come la creazione indipendente nata in questi ultimissimi anni stia faticando a lasciar emergere alcune chiare scelte di linguaggio. Senza voler troppo generalizzare, di certo anche a causa di condizioni produttive asfissianti, una città come Roma, che in passato aveva visto emergere una vera e propria “scuola”, lascia oggi gli spettatori in attesa di risultati artistici coraggiosi e firmati.
Il teatro di Dante Antonelli è passato – negli ultimi anni – attraverso quella che si direbbe un’ossessione per la ricerca. Piuttosto che dedicare energie a laboratori incentrati su aspetti specifici della recitazione o dell’espressività scenica, dopo il diploma in Regia all’Accademia Nazionale “Silvio d’Amico” si è impegnato a comporre attorno a sé gruppi di corpi e di voci in grado di portare sul palco una meticolosa analisi sulle strutture del racconto letterario e sulla potenza delle biografie.
Le storie portate dai tre giovani attori (Claudio Larena, Giovanni Onorato e Pietro Turano) e dall’altrettanto giovane attrice Arianna Pozzoli si smarcano dal dialogo e si intrecciano organizzandosi piuttosto per monologhi frontali: da uno si genera l’altro, certe parole ritornano come segnalibri a uso di un lettore esterno, che possa ritrovarsi nel complicato intreccio di questa drammaturgia originale. In verità quei segnalibri si rivelano piuttosto essere un codice che l’autore del testo ha fatto propri, per innestare il materiale originario (in questo caso le controverse e geniali narrazioni di Mishima) sui racconti portati dai performer in sede di laboratorio.
Nel buio della regia si poteva vedere Dante Antonelli spostarsi da un lato all’altro della sala, posizionarsi di fronte a uno o all’altro attore per guardarlo negli occhi, a volte alzando le braccia o incitandolo con una sorta di linguaggio gestuale; comandando addirittura gli inchini.
Sul fondo della scena Mario Russo commenta il parlato accanendosi su una batteria a creare una sorta di commento in tempo reale di sinapsi e battiti cardiaci. Il racconto di un incesto tra fratello e sorella e della conseguente impotenza e frigidità dei due – raccolto dal romanzo Musica – si mescola, cambiando quadro, con l’odio di un figlio orfano di padre verso la figura della madre; la scoperta del sesso genera esplosioni di insofferenza, marcando ancora il confronto tra le generazioni. Questo primo Atto di Adorazione porta una drammaturgia non lineare, divisa tra sfacciataggine e ironia, che ha forse ancora bisogno di essere meglio limata, rinunciando a un certo indugiare su temi che troppo ricorrono.
Per quanto sia potente e generosa la consegna performativa di alcuni degli attori (in particolare la tenace frenesia di Arianna Pozzoli), i toni oscillano quasi sempre tra la rabbia cieca, lo sfogo emotivo e una nevrosi invincibile, lanciando tirate furiose che tendono a stancare l’orecchio e che invece beneficerebbero di un più sofisticato lavoro sull’emissione vocale.
Rispetto alla precedente trilogia, però, il lavoro sulla coreografia si fa più complesso, rielaborando dei katà del taekwondo in disegni visivi che potrebbero farsi ancora più eloquenti, ma che nell’unisono e nell’impostazione marziale trovano la strada per un sottotesto fisico di pregevole intenzione. Le figure si spezzano, qua e là, in gesti più quotidiani, spesso improntati a una sintesi iconica dell’atto sessuale e riassumono le tonalità del petto nudo maschile in piccole sculture semoventi, avvolte in intrecci di baci profondi e atteggiamenti erotici, a commento di una drammaturgia davvero irrefrenabile.
Va riconosciuto che l’essenzialità dello spazio scenico e un deciso accento impresso su una parola fluviale, su un testo fuori formato, sull’equilibrio di prossemica composto dalle figure umane e sui toni appariscenti dei costumi (di Valentina Beotti) compongono i primi elementi di un linguaggio teatrale schietto, frontale e lontano dalla semplice ricerca di novità. Ancora prima del risultato d’insieme, ciò che certo colpisce del pensiero registico di Dante Antonelli è la caparbietà con cui la somma tra testo, dizione e uso dei corpi si consegna allo spettatore. Ciascun lavoro sembra rimandare all’altro e ribadire che ogni indicazione di sintassi e di semantica dello spettacolo si inserisce in un progetto più ampio, per il quale occorre tempo, sforzo, tensione all’errore e, appunto, una lunga gestazione laboratoriale. Una modalità di creazione nata dall’emergenza di questi anni che, lottando per uno spazio e per un tempo dilatati, finalmente non si arrende alla bulimia di un sistema in decadenza. E a questo va reso merito incondizionato.
Sergio Lo Gatto
Carrozzerie n.o.t., Roma – novembre 2018
PRIMO ATTO – Works of Worship | 4 Atti di Adorazione
di Dante Antonelli | gruppo W.O.W.
con Claudio Larena, Giovanni Onorato, Arianna Pozzoli, Pietro Turano
alle percussioni Mario Russo
drammaturgia Dante Antonelli
musica Pierluigi Orlando
luci Francesco Tasselli
costumi Valentina Beotti
training e movimenti Antonio Ricci
aiuto regia Edoardo Camilletti
aiuto drammaturgia Euridilla Scarponi
con il sostegno di Romaeuropa Festival, Carrozzerie_n.o.t, 369gradi
e con il supporto di
Periagogè – Centro Studi Educativi e Pedagogici, Ma.Te.Mu