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Contact Improvisation. Una danza open-source e open-minded

Quinta di Copertina. Il libro in cui Cynthia Novack racconta i miti di fondazione e le evoluzioni della contact improvisation esce per la prima volta in traduzione italiana, pubblicato da Dino Audino Editore.

foto di Renata Savo

«Contact Improvisation is everything that is in your life and everything that isn’t», “è tutto ciò che c’è e che non c’è nella tua vita”. Queste parole le scriveva la coreografa e performer Laurie Booth a Steve Paxton, considerato l’inventore della contact improvisation, pratica di danza basata sull’improvvisazione in cui il contatto fisico fra due partner costituisce il punto di partenza per un’esplorazione dei rapporti tra corpo, movimento e spazio.

Quando fu presentata al pubblico nel 1972 da un gruppo di studenti dell’Oberlin College (Ohio) a New York, la “contact” apparve infatti come una tecnica alla portata di tutti, ma anche in grado di promuovere quei valori sociali di cui si avvertivano un bisogno profondo e una dolorosa mancanza nella società: democrazia, uguaglianza, rispetto per la diversità. Non così distante dal nostro sentire, dunque, la contact improvisation, all’inizio degli anni Settanta, periodo ancora pieno di spirito rivoluzionario, progettava uno stile di vita, un microcosmo in cui “improvvisazione” stesse per libertà e “sostegno” per fiducia e cooperazione. Questa danza non veicolava soltanto il messaggio – che Paxton aveva ripreso da Merce Cunningham – secondo cui qualsiasi movimento era degno di entrare nella danza e qualsiasi corpo portatore di un significato estetico; rivoluzionario era che tutte le parti del corpo fossero reputate uguali tra loro e venissero coinvolte nel tocco, eterno tabù sociale.

Dev’essere per queste ragioni che la contact improvisation non ha mai smesso di affascinare e di avvicinare curiosi, danzatori esperti e non esperti, e che un saggio uscito nel 1990 come Sharing the Dance: Contact Improvisation and American Culture (Madison, University of Wisconsin Press) della studiosa e contact improviser Cynthia Novack, prematuramente scomparsa nel 1996, raggiunge ancora a testa alta gli scaffali delle nostre librerie. Lo fa, finalmente, in una prima traduzione italiana (Sergio Lo Gatto), nell’edizione a cura di Francesca Falcone e Patrizia Veroli per Dino Audino Editore.

Novack affianca la contact improvisation a molte altre esperienze storiche, coreutiche e non solo, tracciando distanze e similitudini; la ritrae nella sua natura più ibrida e open source, seguendola con il proprio duplice sguardo di studiosa e contact improviser, tra geografia e cronologia. Esiti fortemente attuali hanno implicato sia un utilizzo della tecnica come metodo di ricerca empirica di nuove forme e modelli coreografici, sia la pratica in campo terapeutico, dove la contact improvisation viene di buon grado adottata per incrementare la fiducia in se stessi e nell’altro.
A distanza di molti anni, il saggio di Cynthia Novack, tradotto quasi integralmente «(con l’eccezione di appena poche righe) – specificano le curatrici – al fine di preservare lo sviluppo del pensiero che lo guida», resta una delle più esaustive ricerche su questa versatile pratica di danza.

Renata Savo

Contact Improvisation. Storia e tecnica di una danza contemporanea
di Cynthia Novack
a cura di Francesca Falcone e Patrizia Veroli
traduzione Sergio Lo Gatto
editore Dino Audino Editore
anno di pubblicazione 2018
159 pagine
prezzo 19 euro (acquista dal sito dell’editore)
ISBN 978-88-7527-389-7

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