Oscar De Summa torna al Teatro Biblioteca Quarticciolo con “Soul Music – Dal lato opposto, il 3 e 4 novembre. Intervista. Contenuto realizzato in media partnership.
Soul Music – Dal lato opposto è l’ultimo monologo di Oscar De Summa, autore e attore tra i più apprezzati della scena teatrale italiana, vincitore del premio Hystrio Anct 2016, premio Hystrio/Mariangela Melato 2017 e, con la Trilogia della provincia, del premio Rete Critica 2016, una produzione La Corte Ospitale. Soul Music è la storia della formazione di un gruppo di musica soul nella Puglia degli anni ‘90. Dopo la Trilogia della Provincia, De Summa torna alle atmosfere e ai colori del sud con un racconto di conflitti e passioni intenso, corale e generazionale.
Quale potrebbe essere un esempio contemporaneo di una band che si è formata per andare “in direzione ostinata e contraria”? Quale è stata la spinta propulsiva di questa idea?
Non ho un esempio. Orma il il sistema è diventato complesso, è difficile individuare la cultura dominante e la controcultura perché quest’ultima ormai fa parte del mercato culturale esattamente come la cultura tradizionale.
Non abbiamo più questa distinzione netta che semplificava anche le cose, mantenendo uno schieramento o da una parte o dall’altra come è stato fino alla fine dell’ultimo ventennio del secolo scorso. Un esempio che faccio spesso rispetto alla sociologia e alla capacità di assorbire la contestazione è che mentre negli anni 70/80 uno si metteva un paio di jeans strappati per contestare la società, adesso gli stessi jeans strappati ce li vendono a duecento euro, ciò significa che il mercato ha assorbito la contestazione.
In questo momento credo sia difficile anche all’interno del teatro capire cosa sia il teatro tradizionale e cosa il teatro di ricerca, ormai è la stessa cosa senza più una precisa distinzione. Spesso succede che la ricerca faccia parte del mercato molto di più del teatro tradizionale.
Da qui la virata verso la musica?
Sì, la musica è più immediata come passaggio: ho sempre avuto il riferimento di un teatro immaginato come un concerto rock, l’idea di alzare da subito il livello di energia della sala per arrivare al dunque. La musica è immediatezza, mi sembrava autoreferenziale parlare del teatro, il rischio è, come succede molto spesso, che il teatro parli di se stesso, la musica ha una portata diversa, è presente nella vita quotidiana.
Quando abbiamo chiesto a Lodo Guenzi perché sotto al palco della musica capita che ci siano mille anime in più rispetto a quello del teatro, rispose che non vedeva nessuna urgenza nella maggior parte degli spettacoli teatrali, ma solo il meccanismo appartenente a quella intellighenzia che gode nel sofisticare su cose che non si capiscono, perché le immagini sono tutte sospese lontane senza alcun correlato oggettivo con il reale. Nessuno aveva voglia di parlare alle persone.
Il target delle persone a cui mi riferisco è talmente vasto che prende come riferimento un momento della vita, nel caso specifico la tarda adolescenza, il punto in cui tutti siamo chiamati a scegliere la direzione della nostra esistenza. Questo è arrivare alle persone, e alle persone nel caso specifico si arriva attraverso la musica, che sì, è un veicolo più facile, più comunitario. Da adolescenti ognuno di noi ha avuto tutte le possibilità aperte. Quello che spero è che risuoni quella nota in ognuno di noi, spero che qualcuno attui la stessa riflessione su di sé e sul fatto che abbia o meno seguito i desideri profondi della giovinezza, portandosi a casa la possibilità o l’idea di poter cambiare ancora, di poter andare più verso se stesso e meno verso quello che il mercato ci impone.
Lavori spesso da solo in scena, qual è la tua formazione teatrale? Nel momento di creazione dello spettacolo, ti senti protetto in scena perché sei da solo?
Non lavoro soltanto da solo, ho anche lavorato ne La cerimonia con quattro attori, l’anno prima Riccardo III e le regine, alterno il lavoro da solista a quello in compagnia. Sono due esperimenti completamente diversi, da solista mi permetto di prendermi dei tempi di produzione, per scrivere una cosa mi prendo il lusso, per esempio, di poter studiare canto, avere una scrittura lunga un anno, un anno e mezzo, lunghi periodi di prove per capire cosa funziona: c’è per esempio tutta una parte di ricerca che abbiamo fatto sul suono per capire se potevamo dare la quadrifonia sul palco in questo nuovo lavoro…
Conterraneo, coetaneo e soprattutto musicista, in un’intervista del settembre dello scorso anno Caparezza ha detto che le nuove generazioni come le vecchie sono in realtà molto simili, ci saranno sempre ragazzi che ameranno agire nel sociale ma anche, e sono la maggior parte, ragazzi più frivoli, che determinano un ritorno ai paninari, un ritorno agli huppies: i tuoi di ragazzi rifiutano nettamente i paninari, rifiutano “l’andamento del flusso di massa per andare controtendenza…”, allora a chi parla questo spettacolo? Credi che i ventenni di oggi possano riconoscercisi?
Il desiderio è quello di utilizzare la storia come un pretesto per catturare qualcosa di invisibile e più sottile. Quando ho scritto Stasera sono in vena, pur parlando di eroina, che sembra una droga degli anni 80, in realtà il confronto coi ragazzi era sulla solitudine profonda da tutti percepita. In questo caso il link che io lancio ai ragazzi è l’incontro col proprio daimon, è come se nella nostra vita le cose si ripetessero all’infinito e noi non capissimo perché ci ritroviamo sempre nello stesso tipo di guai e gli altri no. Metto a fuoco il fatto che se non prendi in carico il tuo demone è lui a gestire te e non tu il tuo demone.
Questo nostro tempo è un salto mortale e “stupefacente” nella storia di cinquant’anni fa?
No è diverso nella sostanza. Mentre negli anni Settanta chi si drogava lo faceva per uscire fuori dalla struttura sociale ora, spesso, la droga serve per rimanerci dentro. La società non si è evoluta, non riesce a mettere a disposizione strumenti per prendersi in carico il proprio disagio, ovvero il demone. Siamo fatti male, abbiamo sempre questa sensazione di essere fuori luogo o nel posto sbagliato, di non essere all’altezza e adeguati; ma questa percezione è connaturata all’essere umano. Non può essere semplicemente ignorata, la società non dovrebbe portarci dei modelli di perfezione irraggiungibili ma degli strumenti per indagare questo disagio e questa mancanza. Come dice Jacques Lacan, la mancanza è il nostro motore primario. Di contro la società ci offre un lavoro di cui ci accontentiamo e tutte le soluzioni possibili alle nostre semplici domande, la società semplifica i bisogni dell’essere umano sull’andamento del mercato perché così è molto più gestibile. In questo spettacolo mettiamo in campo l’unicità del cantante, uno fuori dalle regole, inaffidabile e che vive dei momenti terribili. È fuori dalle regole ma riesce a mostrarci una terra ignota e sconosciuta che possiamo attraversare e andare a scoprire senza essere puniti a priori, come ogni artista.
Dal 3 al 4 novembre al Teatro Biblioteca Quarticciolo. Cosa distingue il pubblico di un teatro di quartiere da quello di un teatro nazionale? Credi che la percezione del tuo spettacolo cambi da uno all’altro?
Non nel pubblico ma nella gestione. Veronica Cruciani sta facendo un ottimo lavoro in relazione al luogo ma anche in relazione alla città, Roma ormai è deficitaria di spazi dove poter fare il teatro e essere ospitati: il Teatro di Roma è senza direttore artistico, il Teatro dell’Orologio è stato chiuso. Nel tempo ho appurato che tutto il territorio italiano non è che una provincia senza metropoli, in Italia ogni paese crede di essere più sfigato degli altri. Il primo spettacolo che ho portato in scena parlava di un ragazzo che vuole cambiare le cose, le figure che venivano raccontate non erano che degli archetipi. Forse la mentalità è la medesima sia nei piccoli centri del Nord che nei paesini più sperduti della Puglia. In italia, ognuno è portato a sentirsi distante dal centro culturale, questo essere fuori dal centro degli avvenimenti è il motivo per cui praticamente tutti i cosiddetti provinciali partecipano ai miei spettacoli.
Redazione
SOUL MUSIC – dal lato opposto
di e con Oscar De Summa
progetto luci e scene Matteo Gozzi
realizzazione scene Maurizio Tell
arrangiamenti musicali Davide Fasulo
produzione La Corte Ospitale
info: http://www.teatriincomune.roma.it/events/soul-music-dal-lato-opposto_oscar-de-summa/