Muta Imago ha curato regia e libretto di Lontano da qui, nuova opera lirica musicata da Filippo Perocco. Visto al teatro Caio Melisso di Spoleto. Recensione
«Natura è tutto ciò che noi vediamo: / il colle, il pomeriggio, lo scoiattolo, /l’eclissi, il calabrone. […] Natura è tutto quello che sappiamo /senza avere la capacità di dirlo, /tanto impotente è la nostra sapienza /a confronto della sua semplicità».
Lo sguardo di Emily Dickinson sul regno della natura: ravvicinatissimo, quasi di studiosa, e allo stesso tempo trasfigurante. Questo grado di osservazione (testimoniato anche dal recente rinvenimento del suo Herbarium nei fondi della biblioteca di Harvard) e questa tensione costituiscono un nucleo di poetica, poderoso e disarmato, al quale Claudia Sorace e Riccardo Fazi si rifanno in Lontano da qui, nuova opera lirica di Filippo Perocco, della quale i due di Muta Imago hanno curato rispettivamente regia e libretto.
L’opera è stata commissionata dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto ‘A. Belli’, con il supporto della Ernst Von Siemens Music Foundation in coproduzione con i Teatri di Reggio Emilia e ha debuttato a settembre, in prima esecuzione assoluta, al Teatro Caio Melisso.
Lo spettacolo è dedicato al terremoto che ha trafitto la Valnerina nell’estate del 2016 ma sceglie di parlarne utilizzando una speciale angolatura prospettica. La lontananza alla quale si allude nel titolo sembra essere quella di uno spazio/tempo traumatizzato, un altrove segnato dall’irreparabilità: il cataclisma viene trattato in scena con una cauta dolcezza che si occupa della tragedia senza esteriorizzarla, osservando gli attimi che la precedono e il tempo, dilatato e incomprensibile, che la segue. La scelta radicale di negare visibilità diretta all’attimo trasformativo, oltre a creare una narrazione miracolosamente libera di ogni accenno pornografico al dolore, espande il confine della comprensione, spostandola su di un livello alogico.
L’ambiente scenico è semplice eppure cangiante: tagliato dalle geometrie stilizzate che alludono a un interno domestico che somiglia a un non luogo, delimitato da due velatini che – appannando la visuale, ospitando il videomapping naturalistico (di Maria Elena Fusacchia), facendosi schermo per le poche parole fluorescenti – evocano, con la più semplice delle tecnologie, il senso del fantasmatico, e dell’ulteriore.
Le esecuzioni dell’Ensemble Strumentale del Teatro Lirico Sperimentale e dell’Ensemble L’arsenale, dirette da Marco Angius, accompagnano lo svolgersi dell’azione scenica che vede due soli corpi – quelli del mezzosoprano Daniela Niveva (la madre) e del soprano Livia Rado (la figlia) – muoversi ricorsivamente sul tracciato musicale, interpolandovi le rispettive interpretazioni vocali. Le due donne sono impegnate in piccole azioni ordinarie, in un reciproco accudimento fatto di lievi esasperazioni e di premure. A contrappuntare le loro voci sarà quella della Natura (il soprano Emanuela Sgarlata), intrecciata profondamente alla linea melodica, come a definire la stabile coerenza degli elementi, il loro dominio, laddove gli affaccendamenti umani si stagliano invece per la concisione del fraseggio: una sinteticità dolce e terrestre che si inserisce nell’armonia più alta di un tutto prossimo ma insondabile. L’elemento musicale assiste l’evoluzione degli eventi senza sovrastarla ma conferendo densità e potenza al discorso condotto dalle interpreti vocali.
Il terremoto è presentato in scena solo attraverso un sollevarsi lieve delle polveri e un disordine della geometria d’ambiente, accompagnato dal sovratitolo “Un mese dopo”. L’effetto è quello di definire la duplice qualità dell’evento: disastro nella prospettiva umana, trasformazione tra le trasformazioni nel regno della natura. Quando lo spazio viene squassato, è sulla seconda dimensione che viene trasferito il sentimento della frattura: la circolarità del tempo e la fragilità della mente che tenta di gestirlo, filtrandolo insieme al senso dell’irreparabile, sono convocati in scena attraverso una rievocazione a ritroso dei frammenti di vita che hanno preceduto la catastrofe. Deponendo ogni enfasi e de-linearizzando la narrazione, si raggiunge un grado di evocazione complessa e diretta insieme.
Tenendo insieme tanti linguaggi, Lontano da qui fa apparire, con vera grazia, una sola istanza, simile a quella espressa in Joan Didion ne L’anno del pensiero magico. Il “pensiero magico” è capace di riavvolgere il tempo, di utilizzare la materia vulnerabile del ricordo per strutturare un piano di irrealtà, una bolla protetta dove la tragedia non si è compiuta. È forse un tempo infinitesimale e inconscio quello consentito a questo processo prima che divenga negazione, ed è di questo attimo dilatato e sospeso che Lontano da qui si prende cura, raccontandolo senza tentare di declinarlo in un monito. Lasciando – con la stessa sapienza, dura ma benigna, che trapela nella lirica di Emily Dickinson – che il sovrannaturale si disperda nelle pieghe del naturale, come è sempre.
Ilaria Rossini
Teatro Caio Melisso, Spoleto – settembre 2018
LONTANO DA QUI
musiche di Filippo Perocco
libretto di Riccardo Fazi
regia, scene e luci di Claudia Sorace
direttore Marco Angius
realizzazione scene e video Maria Elena Fusacchia
con Daniela Nineva (madre), Livia Rado (figlia), Emanuela Sgarlata (Natura) e i cantanti del Teatro Lirico Sperimentale ‘A. Belli’
Ensemble strumentale del Teatro Lirico Sperimentale e Ensemble L’arsenale
coproduzione Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto ‘A. Belli’ e Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, con il supporto della Ernst Von Siemens Music Foundation.