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Tra videomapping e cinema muto Il flauto magico di Kosky e Andrade

Arriva al Teatro dell’Opera di Roma il Die Zauberflöte prodotto dalla Komische Oper di Berlino con la regia di Barrie Kosky e Suzanne Andrade, dopo il grande successo raccolto in tre continenti e 23 teatri del mondo.

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Foto Antoni Bofill
Foto Antoni Bofill

Qui a Roma, alla sesta replica di domenica pomeriggio, il teatro è ancora sold out. Certo, il Flauto magico è notoriamente un’opera popolare, nata per esserlo; ma in questo a caso a stabilirne e ribadirne il largo consenso è proprio il suo particolarissimo allestimento.
Quello diretto da Barrie Kosky e Suzanne Andrade è un Flauto magico mai visto, nel vero senso della parola, dato che più che a teatro sembra di essere entrati in un cinema. Un cinema che sembra insieme antichissimo, come lo è per noi il cinema muto, e modernissimo, come uno spettacolo di realtà aumentata. Su di una parete verticale vengono proiettate animazioni in videomapping con le quali i cantanti interagiscono e delle quali fanno parte. La realtà tridimensionale si fa bidimensionale e, viceversa, le immagini proiettate diventano la realtà scenica, creature di pixel e colori, inesistenti ma vive: Papageno accarezza un gatto virtuale, la regina della notte è una gigantesca donna ragno che si muove sulle sue otto zampe, Monastros porta al guinzaglio delle terribili fiere nere.

Se il videomapping, realizzato da Paul Barritt, ha moltissimi riferimenti grafici di ogni epoca (dagli elefanti rosa di Dumbo, ai videogiochi Arcade anni ’80) l’idea registica di base è quella di omaggiare il cinema muto. Le parti recitate vengono sostituite da didascalie in campo nero, accompagnate da un fortepiano che suona brani mozartiani. Un’operazione artistica radicale, che fa soffrire l’ultra tradizionalista in sala, ma che si rivela perfettamente calzante con l’intento principe dell’opera.

Foto Antoni Bofill
Foto Antoni Bofill

Spiegare in poche righe di cosa tratti il Flauto magico è un’impresa tanto ardua quanto improduttiva. Meglio definibile come Singspiel, ossia un’opera musicale in tedesco composta di parti cantate e parti recitate, lo Zauberflöte nasce per essere messo in scena in un teatro minore, il Theater auf der Wieden e destinato quindi a un pubblico più eterogeneo rispetto a quello operistico. Nella sua ultima opera Mozart fa rientrare così tanti elementi e così eterogenei da mandare in confusione critici e accademici. Un’interpretazione univoca non esiste: riferimenti all’Illuminismo, ai riti massonici di iniziazione, all’Oriente e all’Egitto; la complessità musicale del pluristilismo mozartiano, che scivola dal buffo al solenne al lirismo senza farci battere ciglio; la misoginia ricorrente nell’opera mozartiana, dove la donna è un’inaffidabile tentatrice e l’uomo è sapienza e saggezza.

Un intricato sottotesto che però ai nostri registi non interessa affatto. Ciò che prepotentemente emerge da questo allestimento è invece l’attenzione dedicata alla natura popolare dell’opera. Come riuscire a rendere in teatro una storia ambientata in luoghi fantastici con creature magiche, dovendo superare l’intrinseco realismo del teatro? Creando un mondo digitale, da zero, ma utilizzando un medium estremamente familiare allo spettacolo operistico, come può esserlo il cinema muto, fatto di emozioni e azioni, più che di parole.

Foto Antoni Bofill
Foto Antoni Bofill

Ma c’è ancora di più. Non è un caso che Barrie Kosky si rivolga proprio a Suzanne Andrade e Paul Barritt, come ci rivela lui stesso nell’intervista pubblicata nel programma di sala. Il gruppo “1927”, del quale i due artisti fanno parte, è così intitolato in riferimento ad un momento chiave della storia del cinema: il passaggio da muto a sonoro. Oltre alla creazione di un immaginario di fantasia dunque, come sottolinea il dramaturg Ulrich Lenz, questa regia esalta, così come l’opera, il potere del sonoro e quindi della musica. È soprattutto “l’oggetto flauto magico”, in questo caso una libellula antropomorfa, ad essere protagonista dell’opera che prende il suo nome, tanto che una delle le punizioni più dure inflitte ai personaggi è proprio l’imposizione del silenzio. Il regno di Sarastro, fatto di circuiti, macchinari e forme geometriche (e tanto che sembra la Metropolis di Fritz Lang) non è altro che il progresso, contrapposto all’oscurità del regno della Regina della notte: buono o cattivo che sembri, per poter crescere e raggiungere l’agognato amore, Tamino e Papageno devo attraversarlo, per potersi riconoscere come uomini.

Di fronte a questo eccezionale risultato registico, la performance musicale, corretta ma non memorabile, riesce a passare in secondo piano. Rapiti dall’immersività di una tale costruzione scenica, non ci rendiamo immediatamente conto di ciò che in realtà accade in scena: una vera prova fisica per i cantanti, che, oltre a seguire le indicazioni del direttore devono anche interagire con il flusso delle immagini digitali e interagire con queste, il tutto sospesi a 8-10 metri d’altezza.

Flavia Forestieri

 

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IL FLAUTO MAGICO
di Wolfgang Amadeus Mozart
Direttore Henrik Nánási
Regia Barrie Kosky e Suzanne Andrade

Maestro del Coro Roberto Gabbiani
Video Paul Barritt
Ideazione «1927» (Suzanne Andrade e Paul Barritt) e Barrie Kosky

Scene e Costumi Esther Bialas
Dramaturgie Ulrich Lenz

Luci Diego Leetz

Principali interpreti

Pamina Amanda Forsythe / Kiandra Howarth 10, 12, 17
Tamino Juan Francisco Gatell / Giulio Pelligra 10, 12
La regina della notte Christina Poulitsi / Olga Pudova 10, 12, 14, 17
Sarastro Gianluca Buratto / Antonio Di Matteo 10, 12, 14, 17
Monostatos Marcello Nardis

Papageno Alessio Arduini / Joan Martín-Royo 10, 12, 13, 17 
Papagena Julia Giebel
Prima dama Louise Kwong*
Seconda dama Irida Dragoti*
Terza dama Sara Rocchi*
L’oratore Andrii Ganchuk*
Primo armigero Domingo Pellicola*
Secondo armigero Timofei Baranov*

* Dal progetto “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma
Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera di Roma
con la partecipazione della Scuola di Canto Corale del Teatro dell’Opera di Roma
Allestimento Komische Oper di Berlino
in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese

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Flavia Forestieri
Flavia Forestieri
Flavia Forestieri ha studiato all’Università “La Sapienza” di Roma, laureandosi in Letteratura, Musica e Spettacolo, con una tesi in storia della musica sull’opera di Bertolt Brecht “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”, e, successivamente, in Arti e Scienze dello Spettacolo con una tesi sulla regia lirica contemporanea, analizzando quattro regie de “La traviata” di Verdi. Dopo aver vinto il bando Luiss “Generazione cultura”, ha lavorato in ambito della comunicazione come addetta e stampa e social media manager alla Reggia di Caserta. Attualmente frequenta il Master in “Drammaturgia e Sceneggiatura” all’Accademia Nazionale “Silvio d’Amico” di Roma. Dal 2017 collabora con Teatro e Critica occupandosi di recensioni di spettacoli d’opera.

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