La crisi vissuta da Terni Festival lo ha ridotto a tre dense giornate. Gli artisti si sono esibiti a titolo gratuito, per tentare di salvaguardare questa importante realtà della ricerca delle arti sceniche. Uno sguardo generale e un commento.
In poche parole, che un festival di teatro muoia per motivi politici è davvero il segno di un fallimento, di qualcosa che è andato inesorabilmente storto e rispetto al quale si è fatto poco, male e sbagliando. Nei mesi scorsi ci siamo interrogati, in questo articolo, sulla messa a rischio dell’edizione 2018 del Terni Festival; lo abbiamo fatto ascoltando due diretti protagonisti della vicenda e i ragionamenti ci hanno portato a sperare nell’intervento della Regione Umbria a salvaguardia della continuità, almeno di quella relativa a quest’anno. Dieci giorni prima dell’inizio è arrivata la comunicazione definitiva: il Terni Festival si farà, anche se per poco tempo.
Soltanto venerdì scorso – e dopo la chiusura di questa breve edizione che porta il titolo, provocatorio e beffardo, di The End of Now – sono state pubblicate le graduatorie per il finanziamento regionale, ma per i risultati effettivi, e per conoscere il corrispettivo economico, bisogna ancora aspettare. Quindi come è stato possibile questo sforzo congiunto di più forze in campo senza una preventiva copertura delle spese? In primis per e con la volontà di ribadire una presenza territoriale in una città che ha ostacolato lo svolgimento stesso degli spettacoli in programma durante il penultimo weekend di settembre: «L’occupazione di suolo pubblico non è stata concessa da Palazzo Spada», riferisce Il Messaggero locale, e le attività previste il secondo giorno sono state spostate da Piazza Tacito al Caos, Centro Arti Opificio Siri, «da sempre quartier generale degli eventi legati a Terni Festival».
Quasi a ribadire che se si vuole fare il festival che lo si faccia pure, ma mi raccomando, senza disturbare. Farlo sì e «farlo apposta» allora, e in maniera funzionale, questa è stata la risposta della direttrice artistica Linda Di Pietro e di tutto lo staff, volontari compresi, che anche in questa situazione di apparente impossibilità ha offerto nuovamente alla comunità ternana una proposta artistica di livello interdisciplinare e internazionale, che si pone in dialogo con gli altri festival estivi confermando di essere tappa imprescindibile per spettacoli e progetti di giro.
Tra questi Little Fun Palace di OHT (Office for a Human Theatre) nato da un’idea di Filippo Andreatta, Babilonia Teatri con Calcinculo sulla Luna, Muta Imago nel nuovo lavoro Combattimento, Sotterraneo nel progetto Talk Show. Non è mancata, a ribadire lo sguardo ampio e di confine del cartellone, la presenza della scena internazionale: la proiezione del documentario The Congo Tribunal del regista Milo Rau, la cui transmedialità di linguaggio è in grado di affrontare la crisi di un paese in guerra da oltre vent’anni portandola e processandola, performativamente, in tribunale; il gioco dialettico, curioso e allo stesso tempo complesso e difficile di The Imaginary Symposium della rigorosa e ambiziosa performer e ricercatrice Danae Theodoridou; l’indagine antropologico-sociale trasposta in chiave installativa di Cases della scenografa Xesca Salvà Cerdà, che dà voce (in cuffia per lo spettatore/fruitore) alle donne intervistate, prostitute, senzatetto e anziane signore bisognose di raccontarsi, costruendo per loro tre modelli di casa che lo spettatore poi sarà invitato a modificare e reinventare secondo indicazioni e oggetti forniti.
Ma è attorno a Eclissi e alle sue azioni creative dallo spazio che si scopre, delineandosi, la natura tematica di questa, sopravvissuta, edizione. “Dialoghi-azioni” ospitati in Welcome to the New Planet, «uno spazio soglia creato dal collettivo Parasite 2.0 in cui voci e azioni degli artisti invitati si confondono, creano uno spazio multi-prospettico e immaginano il futuro rispondendo a due semplici domande: Come parlare con gli alieni? Come tornare a casa?». Sono intervenuti con i loro “messaggi nello, e allo, spazio”: Opera Bianco, Silvia Costa, Menoventi, Livia Massarelli e Anna Borini, Andy Field, Cristina Kristal Rizzo, il coro LGBT Stranivari_EsedomaniTerni, il critico Graziano Graziani, gruppo nanou, Lucia Guarino, Friso Wiersum, Fosca, Andrea Abbatangelo & Adia Sykes, e Strasse // Sara Leghissa.
Se consideriamo le tematiche e lo spazio originario al quale era stato affidato questo momento, non risulta poi tanto incoerente che sia stato proprio Eclissi a essere sfrattato dalla piazza cittadina al Caos… Chi sono dunque gli alieni nostri destinatari? Quale casa deve difendere e abitare un festival se poi è proprio questa stessa casa a non accoglierlo? Sembra giusto ricordare inoltre che alcuni tra gli artisti coinvolti nel progetto hanno deciso di essere presenti nonostante non abbiano ricevuto compenso alcuno, oltre alle spese di viaggio e all’ospitalità.
Difficile è già solo ipotizzare di poter replicare il prossimo anno una simile, ma bellissima per determinazione, “fatica”, come è altrettanto difficile ammettere che sono stati commessi degli errori che hanno compromesso una consuetudine attiva da dodici anni. Preso atto di tale, triste, evidenza non possiamo che auspicare, qualora non ci fossero le possibilità, un ripensamento del Terni Festival che possa adattare la sua natura ad altri contesti, che siano essi di produzione o promozione, continuando a distinguersi per la propria offerta interdisciplinare e internazionale relativa alla creazione contemporanea: «Un nuovo conto alla rovescia è già partito…».
Lucia Medri
Terni Festival – settembre 2018