Muta Imago con The River completa l’ultimo dei tre Racconti Americani, al Teatro Quarticciolo di Roma. Tratto da Il nuotatore di John Cheever. Recensione
E se la vita esistesse per possibilità. E se la vita fosse tra gli interstizi di affermazione e negazione, il plausibile e l’inammissibile. E se la vita, quella piena e ricca che valga la fatica di vivere, fosse tra le onde di una piscina e il cielo sotterraneo di una città sotto la pioggia. Saremmo tra le pagine in cui John Cheever ha conchiuso Il nuotatore, racconto scritto nel 1964, in un mondo in profondo cambiamento tra l’idea di una guerra esplicita e dilagante e la sommessa privazione di pace che si insinuava fino a intridere il quotidiano. Cheever si spinge a camminare in equilibrio sul limite tra evoluzione e sviluppo, raffina in un personaggio l’inquietudine nascente del secondo Novecento e la plasma nel viaggio, l’avventura di un ignoto scavato nel noto tra le case borghesi di famiglie di amici, che il protagonista attraversa a nuoto, piscina dopo piscina, per tornare, forse, a casa propria. È in questo solco che Muta Imago, al Teatro Quarticciolo di Roma, inserisce il terzo e conclusivo capitolo della trilogia dei Racconti Americani, dedicando a Cheever un minuzioso The River, dopo aver indagato il Bartleby di Herman Melville e Fare un fuoco di Jack London.
È un dialogo, come nei precedenti capitoli, tra la voce fuori campo (che mai davvero è fuori dal campo percettivo) e l’apparato di immagini e suoni che appaiono dallo schermo e nello spazio attorno; se ne avverte l’estate accaldata di una città indecisa, in cui si annida un conflitto tra uomo e società ma palesato in una lotta dell’individuo con sé stesso, senza che se ne avverta coscienza nella comunità invece impegnata a festeggiare, a bordo piscina. È in quel conflitto che la parola prende corpo effettivo, è una immersione nel liquido di quel viaggio in cui lo sforzo fisico del nuoto diminuisce pian piano le energie dell’uomo che, di casa in casa, perde orientamento, perde quasi il senso di un cammino iniziato un po’ per caso e inabissato nelle relazioni impossibili con il proprio contesto sociale.
La complessità del nucleo teatrale in cui è custodito il racconto offre stimoli su diversi piani percettivi, amplificando in direzioni diverse la scelta di Cheever di costruire la narrazione su un piano invece unitario, che sfrutta unicamente la direzione orizzontale, sia pur nella trasversalità dell’attraversamento di quartiere. Il disegno dell’installazione scenografica in proiezione sfrutta il linguaggio dell’acquarello, definendo come sia dunque l’acqua l’elemento che permette di compiere questo passaggio da una geometria piana a una geometria solida, immersiva; è così che la memoria dell’individuo illanguidisce nella continuità dei passaggi tra le abitazioni, tra le relazioni umane sempre più ispide, affaticando il respiro dell’uomo che non ce la fa, procede ansimando in avanti mentre però qualcosa di non definito gli impedisce di proseguire.
Nell’intero impianto visivo, diretto dalla visione composita di Claudia Sorace, è dunque mescolata la parola – la voce piana e asciutta di Riccardo Fazi – con la creazione originale sia di immagini (di Maria Elena Fusacchia) che di suoni (ideazione di V. L. Wildpanner). Ma soprattutto c’è il ricorso, attraverso un linguaggio plurale, alla necessità invece primaria, essenziale, di veicolare storie per un ascolto arricchito ma non sofisticato, come se il nuovo corso di Muta Imago suggerisse di nutrirsi con materie prime pregiate, la cui complessità non è nella raffinazione ma nell’intimità di un legame esclusivo, addensato dalla nobiltà di quel rintocco tra anime riconoscibili che sappiamo chiamare teatro.
Simone Nebbia
Teatro Quarticciolo, Roma – Ottobre 2018
THE RIVER
ideazione Muta Imago
drammaturgia e voce narrante Riccardo Fazi
regia Claudia Sorace
video Maria Elena Fusacchia
musiche originali V. L. Wildpanner
Muta Imago | Festival Notafee (EE) | residenze Q-02 (Brussels) | Studio Bertie (Brussels)