“La classe. Un docupuppets per marionette e uomini”, è il nuovo spettacolo di Fabiana Iacozzilli/CrAnPi, che ha debuttato a La Pelanda per Romaeuropa Festival, sezione Anni Luce. Recensione.
I personaggi di Tadeusz Kantor, volutamente promiscui, sporchi, maldestri e con un ghigno quasi disumano, venivano di peso riesumati dal pantano maleodorante della memoria. Gli uomini si mescolavano con i manichini, simulacri di morte. Il maestro era in scena, sempre. Aggiustava una posizione, raddrizzava un oggetto, teneva il ritmo dei valzer in cui si scioglievano i ricordi, immagini corrotte di un passato di cui non siamo più certi, ché il tempo è una macchina di morte.
A poco più di metà spettacolo, nella serata che per lei rappresenta sia il culmine che il principio di un percorso, Fabiana Iacozzilli entra in scena; attraversa lo spazio e cambia il ramo impugnato da uno dei suoi performer. Ora quel ramo ha perso le foglie verdi; alcune, grigie, cadono. Intanto la regista torna in scena con sciarpe e cappellini di lana: veste i suoi pupazzi, protegge la versione bambina e artificiale di se stessa dal freddo, dalle intemperie della vita. Gli attori de La classe morta giravano a suon di valzer, invecchiati attorno ai banchi di scuola, portando sulle spalle i bambini che erano stati, propaggini di un passato incancrenito.
Ne La classe messa in scena dalla regista romana c’è anche la necessità di fare i conti con quel passato: Iacozzilli ha pescato a piene mani nella propria biografia di bambina riesumando fatti e persone di trent’anni fa; ha aperto una piccola porta dietro la quale si celava un antro misterioso, quella stanza dell’infanzia e della memoria tanto cara proprio a Kantor. Si è immersa in una terza dimensione, infantile, riemergendo con una storia toccante e sincera, dando vita a uno spettacolo che già alla prima replica è un piccolo capolavoro; passaggio prezioso di una carriera più che decennale, meteora rara nel panorama teatrale nazionale e soprattutto romano per l’uso che fa del teatro di figura.
La regista della compagnia LaFabbrica compie un salto di qualità: dalla scrittura di scena dei primi lavori (La trilogia dell’attesa), passando per il lavoro corale nel Gabbiano di Anton Čechov, fino alla recente attenzione per la drammaturgia contemporanea, il suo è un percorso da sempre pronto ad attraversare modalità e linguaggi differenti con una indomita curiosità e con la volontà di trovare la forma più adatta per i temi di cui sente l’urgenza. Attitudine non semplice da gestire dentro un “mercato” del teatro contemporaneo d’arte, abituato a riconoscere con maggiore velocità e disinvoltura quegli artisti in grado di vestire i propri spettacoli con caratteristiche precise e riconoscibili per originalità e continuità. Iacozzilli invece dimostra di maneggiare le possibilità del teatro attraversandone le molteplicità linguistiche. E questo passaggio ulteriore nel territorio nuovo della scena di figura è un’ulteriore dimostrazione, che ci racconta anche delle capacità curatoriali e dell’intuito di chi questo spettacolo lo ha voluto nella sezione Anni Luce di Romaeuropa Festival, di Maura Teofili e del lavoro di scouting di Carrozzerie n.o.t.
Il risultato (lo studio fu al Premio Dante Cappelletti 2017) è un’opera in cui si incrociano, a metà strada, il genere documentaristico e la favola di formazione. In scena cinque marionette (create da Fiammetta Mandich) dalle teste grandi e dagli arti leggeri e altrettanti manovratori a vista. Il dispositivo scenico si nutre della relazione efficace ed emotivamente partecipata istituita tra i performer e quei bambini artificiali dagli occhi grandi per la paura e lo stupore; tutti abitano la bolla sonora creata da Hubert Westkemper che, grazie alla microfonazione degli oggetti di scena, restituisce un’atmosfera leggermente onirica.
«Le bambole mi parlano», afferma a un certo punto la voce della regista fuori scena, opponendo al trauma la salvifica scoperta del teatro avvenuta proprio durante una recita in quella scuola. A chiederle un segreto e a spingere la bambina alla prima regia era stata la cattiva Suor Lidia, personaggio realmente esistito nella scuola elementare frequentata dalla regista; maestra violenta in grado di tenere intere generazioni di bambini sotto un’educazione talmente rigorosa da manifestarsi attraverso le maniere forti. Iacozzilli ha ricostruito i fili della memoria erosi dal tempo: mentre i pupazzi affrontano tremanti le sfide di un potere manesco, il pubblico ascolta un montaggio delle interviste fatte dall’autrice ai suoi compagni di classe, tra rabbia, risate nervose e la sorpresa di chi si trova a dissotterrare un ricordo sepolto più di trent’anni prima.
C’è qualcosa di catartico nell’entrata in scena di Iacozzilli, in quei gesti di premura, il simbolo di un percorso interiore attraverso il quale l’autrice ha guardato negli spazi più bui e profondi di se stessa fino a trovare una materia oscura, un dolore lacerante da trasformare in materia viva, brillante e commovente agli occhi umidi degli spettatori. Quel «baffo nero di Suor Lidia incastrato nel cuore», che la voce fuori scena cita più volte in uno dei momenti più toccanti e dolorosi, è il correlativo oggettivo di un trauma che diventa universale, è l’uomo nero che tanti di noi hanno visto da bambini o da adulti e poi hanno richiuso in un posto nascosto.
Andrea Pocosgnich
LA CLASSE
Uno spettacolo di Fabiana Iacozzilli
Collaborazione artistica Lorenzo Letizia, Tiziana Tomasulo, Lafabbrica
Collaborazione alla drammaturgia Marta Meneghetti Giada Parlanti Emanuele Silvestri
Performer Michela Aiello, Andrei Balan, Antonia D’Amore, Francesco Meloni, Marta Meneghetti
Scene, Marionette Fiammetta Mandich
Luci Raffaella Vitiello
Suono Hubert Westkemper
Fonico Jacopo Ruben Dell’Abate
Foto di scena Tiziana Tomasulo
Consulenza Piergiorgio Solvi
Organizzazione, Comunicazione Giorgio Andriani, Antonino Pirillo
Coproduzione CrAnPi, Lafabbrica, Teatro Vascello, Carrozzerie | n.o.t
Supporto Residenza IDRA, Teatro Cantiere Florida/Elsinor nell’ambito del progetto CURA 2018 e con il supporto di Settimo Cielo/ Residenza Teatro di Arsoli e di Nuovo Cinema Palazzo