Muta Imago presenta l’intera trilogia dei “Racconti Americani” per la prima volta a Roma, 13 ottobre ore 20.00 e 14 ottobre ore 18.00 al Teatro Biblioteca Quarticciolo; “The River” in prima nazionale. Intervista.
Riccardo Fazi, fondatore della compagnia insieme a Claudia Sorace, parla con noi di questo progetto sulla letteratura americana e rivela i punti di contatto tra i tre autori coinvolti: London, Melville, Cheever.
Qual è stato il punto di partenza che vi ha spinto a lavorare su Fare un fuoco di Jack London? Di che tipo di lavoro si tratta?
L’idea iniziale è stata quella di instaurare un dialogo con dei racconti importanti per la formazione dei componenti di Muta Imago, come se questo riunirci attorno a una storia narrata da qualcuno fosse il principio base proprio di un racconto. C’è stata fin da subito la volontà di restituire un’opera di narrativa nella traduzione in un altro linguaggio di suoni e immagini: il nostro desiderio era passare del tempo con quel tipo di atmosfera, quelle parole scandite da un ritmo che le rende quasi inscalfibili, come se per esporle fosse necessario proprio passare attraverso un linguaggio che comunque prevede l’esecuzione dal vivo.
Tutti e tre i racconti (Fare un fuoco, Bartleby e Il nuotatore) condividono questa stessa tensione: c’è un protagonista, un’avventura, una sfida da superare che si declina in maniera diversa. Fare un fuoco contiene tutto ciò che una storia dovrebbe avere: Jack London lo scrive nel 1902: c’è un uomo che deve raggiungere un rifugio e decide di farlo malgrado sia egli che il cane abbiano il sentore di una tempesta in arrivo. È soltanto il tentativo di un uomo e un cane di raggiungere questo rifugio. E la natura intorno.
Bartleby di Herman Melville è invece un uomo che precorre il tempo. Sembra quasi già un uomo del Novecento…
Tutti questi racconti hanno un protagonista in anticipo rispetto ai tempi, ci siamo chiesti ogni volta quali racconti in contesti diversi conservassero lo stesso tipo di conflitto. Bartleby è l’opposto del protagonista di Fare un fuoco, il quale sperimenta il tentativo di superamento di sé, la non accettazione dell’inazione, la volontà tutta nuova per il tempo di sconfiggere la natura. Bartleby, almeno in apparenza, è un uomo che, all’esatto contrario, rifiuta qualsiasi tipo di azione di fronte a un mondo che invece inizia a essere un esemplare di una modernità già iper-produttiva che condurrà ai nostri tempi. Bartleby non ci sta. E si ferma.
Come concludono il percorso uno scrittore e un racconto contemporanei, come Il nuotatore di John Cheever, che spostano ancora più avanti l’asse?
Cheever è stato meno immediato, mentre durante gli studi il riferimento più forte è stato Raymond Carver. Volevamo però che ci fosse la dimensione dell’avventura e il protagonista di Cheever – anche se siamo negli anni Sessanta del Novecento, nel contesto signorile di una languida domenica pomeriggio di mezza estate – è un uomo che, durante un party da amici in piscina, decide di tornare a casa attraversando tutte le piscine di tutte le ville che in quel momento lo separano da casa. Sarà l’occasione per affrontare uno spostamento attraverso i propri viaggi, i propri fallimenti, le proprie menzogne. Anche questo personaggio incarna un passaggio epocale: è il prototipo dell’uomo contemporaneo che crolla di fronte alle proprie menzogne, si guarda indietro e scopre che il proprio sistema di valori è totalmente vuoto.
La stagione è intitolata Cosa può un teatro (?). Ti giro la domanda…
La questione può essere rigirata all’intero mondo dell’arte. Ma è interessante sia stato usato il verbo “potere” e non “dovere”, perché credo che l’arte debba necessariamente affrontare tutte le questioni urgenti, prima fra tutte l’inclusione, verso la quale ha la grande responsabilità di far deflagrare possibilità che altrimenti non esisterebbero, tenere vicino ciò che normalmente si trova lontano, che siano forme linguistiche, persone o, come in questo caso, racconti che incontrano linguaggi inesistenti nel tempo in cui sono stati scritti.
Questa è la riflessione alla base anche dell’incontro che ci sarà in teatro sabato 13 alle 18.30; ha come titolo programmatico Contro e abbiamo deciso di invitare tre figure non propriamente letterarie – o non nella funzione per cui le abbiamo chiamate. Si tratta di Adelaide Cioni, anche traduttrice dell’opera forse più bella di Cheever che è la raccolta dei diari, e di Cesare Pietroiusti, provenienti entrambi dal mondo dell’arte; il terzo partecipante è invece Christian Raimo, scrittore che però soprattutto negli ultimi tempi sta attivando una serie di pratiche politiche per creare, a partire proprio dal reale, delle concrete possibilità. Ognuno di loro ha un rapporto particolare con questi personaggi, ci sarà un tavolo orizzontale sull’importanza del conflitto nella vita e nell’arte.
Redazione