Una panoramica sull’ultima edizione del festival Attraversamenti Multipli e un’intervista ai direttori artistici Alessandra Ferraro e Pako Graziani (Margine Operativo) a cura di Spettatori Migranti/Attori Sociali.
Il Quadraro, il quartiere “che non abbozza” lo chiamano, oppure “nido di vespe” dicevano i nazisti, perché quando qualche ricercato vi spariva dentro si perdeva nell’alveare: l’aiuto del quartiere era assicurato. Su questa storia Margine Operativo ci ha fatto anche uno spettacolo, una sorta di reading-concerto scenico interpretato da Tiziano Panici, il quale si fa voce narrante proprio del rastrellamento del Quadraro in Operazione balena. Ma, soprattutto, il quartiere con la sua piazza pubblica di Largo Spartaco è da qualche anno il centro nevralgico di Attraversamenti Multipli, il festival arrivato alla “maggiore età” ideato da Alessandra Ferraro e Pako Graziani. Per i due artisti la progettualità legata al festival ha un senso politico preciso: si avverte nella volontà di occupare uno spazio pubblico, nella ricerca continua di una pratica legata all’accessibilità dell’arte e della cultura. Gli spettacoli hanno un prezzo popolare, ma non c’è controllo o transenne, tutti possono accedervi, compresi i ragazzi perennemente seduti sui muretti che perimetrano lo spazio su due lati. In Italia i festival urbani dedicati alle arti performative contemporanee (a esclusione del circuito dei buskers) sono cosa rara.
Da diciotto anni Attraversamenti Multipli assolve questo compito tra periferie, sottopassaggi, stazioni della metropolitana, piazze, tra gli sguardi degli appassionati, la sorpresa dei curiosi, nel caos cittadino di passaggio e sotto a cieli silenziosi. Alessandra e Pako chiedono agli artisti di abitare lo spazio, di inventare o ricreare le proprie azioni partendo dall’asfalto di quella piazza, dalle facce dipinte di curioso imbarazzo dei ragazzetti. In questo senso vanno letti anche gli approcci più radicali come Pezzo orbitale – dedicato a chi cade, la performance di Balletto Civile, nella quale gli interpreti guidati da Michela Lucenti, vestiti di tute bianche, hanno scelto una porzione di spazio a ridosso dei muretti coinvolgendo proprio chi non si aspettava di diventare spettatore ravvicinato dell’happening.
Oppure, basti pensare agli occhi sgomenti di chi si è raccolto attorno ai bicchieri d’acqua disposti in terra da Daniele Ninarello: il tappeto sonoro ha richiamato anche spettatori fortuiti che si affacciavano dalle finestre circostanti. Con il suo God Bless You, il coreografo e danzatore ha lavorato su attesa e percezione in un equilibrio delicatissimo, ha studiato la figura del clochard creando una sintesi poetico-performativa che sfidava spazio e incolumità del pubblico, fino a lanciarsi sui bicchieri geometricamente disposti.
Nel programma di quest’anno, inoltre, ha trovato spazio un piccolo progetto corsaro: una costola del nostro progetto Spettatori Migranti guidato da Luca Lòtano ha attraversato e raccontato il festival, abbiamo lasciato a loro i microfoni per intervistare Alessandra Ferraro e Pako Graziani. (Andrea Pocosgnich)
Keita Nouhan: Come è nata l’idea di fare questo festival, diciotto anni fa?
Pako Graziani: L’idea è nata perché abbiamo sempre amato confrontarci con spazi non convenzionali e il festival è nato da questo desiderio di portare spettacoli e performance in luoghi non deputati. Attraversamenti Multipli è sempre stato un festival nomade che ha attraversato in ogni edizione diversi spazi urbani e location particolari della città di Roma. Dal 2001 al 2010 una parte consistente della programmazione si svolgeva nelle stazioni della metropolitana – attraversamenti tra linguaggi artistici in luoghi di attraversamento appunto – e gli ultimi giorni si svolgevano in altri luoghi, dove confluivano, creando un corpo multiplo, tutte le perfomance e le opere che si erano accumulate nel viaggio; come è successo per esempio alla stazione Anagnina o alle Officine Marconi–Ex Italcable, con eventi artistici che duravano dalle otto di sera fino alle sei del mattino. Poi dopo il 2010, sia perché era iniziato l’allarme terrorismo ed era diventato difficile ma soprattutto surreale lavorare nelle stazioni della metropolitana presidiate dall’ esercito, abbiamo deciso di modificare il percorso. Il festival ha continuato ad essere nomade ma ha scelto altri spazi urbani (oltre a teatri, biblioteche, università) come luoghi con cui interagire.
Alessandra Ferraro: Il primo giorno in assoluto si è svolto alla Stazione Termini, nello spazio antistante alla biglietteria. Questa partenza racconta lo spirito con cui abbiamo iniziato nel 2001 questo viaggio: confrontarci con lo spazio della metropoli e con i suoi abitanti senza reti di protezione e con il desiderio di rivolgersi a un pubblico ampio. Da subito abbiamo adottato una forma multidisciplinare, intrecciando performance di danza, teatro, musica, fumetti, arti visive. Un altro elemento che ci ha portato a creare il festival è che ci è sempre piaciuto organizzare eventi per confrontarci concretamente con altri artisti per costruire qualcosa assieme. Attraversamenti Multipli l’abbiamo sempre pensato e strutturato come un organismo / corpo multiplo, con tante braccia, formato dalla compresenza di più corpi. Per noi creare il festival è un’operazione artistica, è come creare un grande spettacolo che si costruisce attraverso l’ interazione e la combinazione di tutti gli spettacoli presenti.
Libasse Loum: Quest’anno è la diciottesima edizione: dove trovate la motivazione di anno in anno di proseguire, di continuare il rapporto con il festival?
Alessandra Ferraro: La motivazione è che ci piace farlo, ci diverte ancora anche se è impegnativo e crediamo che, nel suo piccolo, riesca a generare dinamiche positive tra gli artisti e gli spazi, tra gli artisti e gli spettatori, e a delineare un’idea di società plurale. Il processo di costruzione di ogni edizione è ricco di nuovi input, di nuove relazioni che si aprono, di nuovi incontri ed è per noi linfa vitale. Durante il festival siamo accompagnati sempre da una grande amore verso quello che noi pensiamo abbia un significato forte: il confronto tra la scena artistica contemporanea, gli spazi non convenzionali e nuovi pubblici. Per noi questo significa anche costruire società.
Pako Graziani: La costruzione del festival dura dodici mesi e abbiamo una relazione diretta con tutti gli artisti; li scegliamo in base alla loro sensibilità a confrontarsi con un contesto del genere, sensibilità e capacità di mettersi in gioco, perché è tutto “open” e hai a che fare con tanti pubblici.
Mahamadou Kara Traore: Oltre a questa capacità, come scegliete gli artisti che invitate al festival?
Alessandra Ferraro: La scelta degli artisti avviene attraverso un percorso che possiamo definire “continuo” che dura un anno e che si sviluppa sia frequentando in modo costante la scena delle arti sceniche contemporanea nazionale, sia prestando attenzione alle proposte che ci arrivano da parte degli artisti, sia attraverso un lavoro di scouting rivolto alle creatività emergenti. Noi scegliamo sempre l’artista e non l’opera, e poi con l’artista facciamo un ragionamento su cosa sia meglio portare al festival rispetto anche alla particolarità dello spazio.
Mai Hafiz Ehsan: Quali sono le difficoltà che affrontate per organizzare il festival?
Alessandra Ferraro: La prima difficoltà che condividiamo con tutti i nostri colleghi che lavorano nell’ambito delle arti performative è che in Italia c’è poca attenzione dal punto di vista delle economie messe in gioco per la cultura e le arti sceniche del contemporaneo. Su questa mancanza di risorse e di presa in carico forte da parte delle Istituzioni pubbliche facciamo una battaglia da anni, e cerchiamo insieme ad altri festival, artisti e compagnie di creare un cambiamento. La cultura genera cambiamenti e soprattutto genera una società solidale ed è il miglior antidoto contro il razzismo e la violenza. Con maggiori economie il festival potrebbe avere una maggiore ricaduta in termini di benefici per la comunità locale e per la città, per esempio potremmo far durare di più il festival e soprattutto sviluppare quello che a noi interessa molto: ospitare gli artisti per più tempo negli spazi così che possano costruire operazioni site specific con spettacoli sempre più adatti al luogo e interazione con i cittadini. La seconda difficoltà, che è in relazione con la prima, è il rapporto con le istituzioni, anche se rispetto ad anni fa c’è più attenzione, conoscenza e il dialogo è più semplice, dobbiamo sempre scontrarci con molta una montagna di burocrazia.
Pako Graziani: Il mancato investimento per la cultura è una scelta basterebbe che una parte dei soldi che vengono spesi per gli armamenti fossero dirottati su un investimento culturale e forse molti problemi sociali e anche lavorativi sarebbero risolti. Questo nostro modo di fare cultura è anche un lavorare su un discorso di pace e quindi di socializzazione tra le persone; l’investimento economico andrebbe fatto sull’accessibilità, affinché tutti possano accedere all’arte in genere. A proposito di accessibilità e di modalità di fruizione dell’ arte durante il festival, qui al Quadraro non abbiamo servizio d’ordine, security e non succede mai nulla perché tentiamo di costruire delle dinamiche relazionali tra le persone attraverso un lavoro di condivisione di connessione tra visioni completamente diverse e questo crea un habitat vivibile e solidale per gli artisti e per il pubblico.
Alagie Camara: Come si crea la relazione con il luogo, con le persone che vivono qui?
Alessandra Ferraro: Noi scegliamo sempre dei luoghi nei quali abbiamo già delle relazioni, che ci aiutano a fare da ponte per riuscire a costruire maggiormente il rapporto con il quartiere che ci accoglie; anche se poi Attraversamenti Multipli è rivolto alla metropoli di Roma, è attento al territorio, però parla a tutta la città. Il Quadraro per noi è interessantissimo perché ci sono realtà come il C.S.O.A. Spartaco, Garage Zero, che lavorano da anni su questo quartiere intrecciando attivismo politico con attivismo culturale, e noi siamo in network e partnership con loro, e questo è stato un link fondamentale per costruire ulteriormente il rapporto con questo quartiere. E poi è importante come ci si pone, noi abitiamo questo luogo con l’arte non lo invadiamo, per noi fare un festival è abitare uno spazio.
Pako Graziani: Il bar, la pizzeria, tutte le attività e la gente, ci chiedono perché non fate il festival tutto l’anno? Perché il festival crea socialità e crea economia, crea un habitat umano che vive insieme e sta bene insieme, è un modello. Però questa operazione si fa anche attraverso l’ascolto, è un lavoro lungo. Sono anni che collaboriamo con Spartaco e c’è stata una crescita notevole di tutta la comunità con cui interagiamo anche rispetto alla relazione e visone degli spettacoli che proponiamo. Sembrava che in piazza si potessero portare solo formati televisivi, e invece proponiamo degli spettacoli che propongono sconfinamenti tra diversi codici artistici e affrontano tematiche del presente, e notiamo che le persone si sono allenate alla visione.
Luca Lòtano: Un bilancio di questo diciottesimo festival e uno spunto sul prossimo.
Alessandra Ferraro: Siamo molto contenti per come è andata questa diciottesima edizione sia per la risposta del pubblico, sia per la relazione con gli artisti, sia per la qualità dei site specific creati per il festival. Ogni anno il festival si rinnova, ci sono nuovi incontri, quest’anno per esempio abbiamo conosciuto voi – Spettatori Migranti – ed è stato un incontro importante di cui siamo molto contenti, e speriamo di poter condividere con voi anche il viaggio 2019. Per il prossimo anno abbiamo già iniziato a lavorare, saremo sempre al Quadraro, perché dopo tutto questo nomadismo abbiamo deciso di costruire una triennalità qui, 2017 – 2018 – 2019. Era il momento di abitare un luogo e abbiamo visto che sta funzionando; passando più anni in un luogo crei un rapporto più forte e quindi il prossimo saremo ancora qui, espandendoci nel quartiere e continuando a rivolgerci a tutta la città e agli spettatori virtuali a livello nazionale e internazionale. Ci saranno, come sempre, degli artisti che daranno continuità al loro lavoro e altri nuovi con i quali siamo già in relazione. Intanto, siamo contenti felici di questa tappa del viaggio di Attraversamenti Multipli e stiamo guardando a nuovi orizzonti ».
Intervista a cura di Luca Lòtano, Alagie Camara, Mahamadou Kara Traore, Maki Hafiz Ehsan, Libasse Loum, Keita Nouhan