Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. Il numero 83 si addentra negli ellittici frammenti di Eudosso di Cnido. Un enigma remoto e intricato…
IN TEATROSOFIA, RUBRICA CURATA DA ENRICO PIERGIACOMI – collaboratore di ricerca post-doc e cultore di storia della filosofia antica presso l’Università degli Studi di Trento – CI AVVENTURIAMO ALLA SCOPERTA DEI COLLEGAMENTI TRA FILOSOFIA ANTICA E TEATRO. OGNI USCITA PRESENTA UN TEMA SPECIFICO, ATTRAVERSATO DA UN RAGIONAMENTO. Nel numero 83 proviamo a riflettere su gli ellittici frammenti di Eudosso di Cnido.
La pratica di Platone di comunicare la filosofia attraverso la forma teatrale del dialogo fu continuata da alcuni dei suoi immediati discepoli. Diogene Laerzio ci informa che molte opere di Speusippo – il diretto successore di Platone a capo dell’Accademia – avevano forma “dialogica”, tra cui il Mandrobulo e il Banchetto funebre in onore di Platone. Un altro platonico che compose dialoghi fu Eudosso di Cnido. Sempre Diogene Laerzio ci riferisce, infatti, che questi fu seguace di Platone e compose dei Dialoghi tra cani. Purtroppo, nulla sappiamo del contenuto delle opere dialogiche di Speusippo e di Eudosso. Nessuno dei due autori accenna poi mai all’attore. Potremmo così trovarci di fronte a filosofi che, pur scrivendo in forma “teatrale”, forse non parlarono mai di teatro.
D’altro canto, vale comunque la pena soffermare meglio l’attenzione sui Dialoghi tra cani di Eudosso. Se infatti poco sappiamo delle opere dialogiche di Speusippo, se non che il Mandrobulo rappresentava un tal Cleofonte ripresentare una conclusione che aveva ricevuto un’obiezione solo in parte soddisfacente e che il Banchetto funebre era forse una conversazione a un simposio in ricordo delle virtù sia intellettuali che morali di Platone, lo scritto eudossiano accenna in maniera molto ellittica ai personaggi che prendevano parte alla discussione. Uno sguardo ad altre fonti potrebbe allora almeno spiegarci chi parlasse genericamente nel testo.
L’ipotesi più ovvia che si potrebbe fare al riguardo è che protagonisti dei Dialoghi tra cani fossero appunto dei cani. Eudosso era in fondo interessato al regno animale, come dimostra, ad esempio, il suo richiamo al comportamento delle bestie per dimostrare che il piacere è il bene per tutti i viventi e al comportamento dei maiali in Egitto. Ma questa ipotesi ovvia non è affatto esclusiva e può ammettere altre due o tre alternative.
Una seconda ipotesi può infatti essere formulata a partire dai frammenti sull’attività astronomica di Eudosso. Molti di questi menzionano esplicitamente la costellazione del Cane, che corrisponde grossomodo a quella che oggi chiamiamo Cane Maggiore. I “cani” potrebbero insomma essere le stelle che compongono tale aggregato celeste. Nulla permette allora di escludere che Eudosso non si limitasse a indagare i cieli. Nei Dialoghi tra cani, opera forse più fantasiosa, egli poteva far dialogare le stelle che, in opere più tecniche, si limitava a misurare e catalogare.
La terza ipotesi che si può formulare richiede una lunga premessa filologica. Tornando al passo di Diogene Laerzio, bisogna notare che il biografo accenna all’esistenza di due tradizioni sulla natura dei Dialoghi tra cani. Da un lato, il filosofo e filologo Eratostene di Cirene ne faceva un’opera autografa di Eudosso. Dall’altro, alcuni individui ignoti sostenevano che i Dialoghi tra cani sarebbero invece una traduzione. Eudosso avrebbe letto un’opera egiziana e l’avrebbe tradotta in greco. Non è purtroppo possibile decidere quale delle due tradizioni sia più affidabile, dato che entrambe hanno i loro meriti. A favore della tesi di Eratostene, basta notare che il filosofo-filologo conosceva bene l’opera di Eudosso e studiò la paternità di almeno un altro suo scritto: l’Ottaeteride, che a suo dire non è autentica, mentre viene attribuita allo storico Critone di Nasso dal lessico Suda e a Dositeo da Censorino. L’affermazione degli “ignoti” trova sostegno, di contro, in un ampio insieme di testimonianze che fanno di Eudosso il discepolo non solo di Platone, ma anche dei sacerdoti egizi. A ciò va aggiunto che il filosofo espresse in altre opere, come il Giro della terra, qualche credenza degli Egiziani e ne cercò il corrispettivo greco. E poiché anche questa è una forma di traduzione, la tradizione degli “ignoti” acquista ulteriore credito e forza probante.
Se accogliamo il pensiero di Eratostene, ci troviamo certo al punto di partenza. Provando invece a seguire la tradizione degli “ignoti”, si profila un problema. Che cosa potrebbe aver tradotto Eudosso nei suoi dialoghi? Mantenendo sempre la debita cautela, possiamo supporre che il filosofo poteva aver tradotto delle conversazioni tra divinità egizie, ossia nello specifico Anubi e Iside. La prova di questa ipotesi è che, in un’opera imprecisata ma che i cui argomenti ci sono parafrasati dall’opera Iside e Osiride di Plutarco, Eudosso indagò il mito della morte di Osiride, in cui quei due dèi avevano il ruolo di protagonisti. Infatti, Iside – che è oltretutto associata da Greci ed Egiziani alla costellazione del “Cane” – trovò i resti del marito Osiride grazie all’aiuto di Anubi. Fu anzi proprio per questa ragione che tale divinità fu da allora rappresentata in forma canina. Come infatti i cani aiutano gli esseri umani, così Anubi assiste gli dèi e per questo ha la forma di segugio. Quale o quali testi Eudosso avesse preciso è cosa impossibile da definire. Può darsi, però, che almeno un episodio poteva riguardare appunto l’incontro tra Iside e Anubi, con il conseguente ritrovamento dei resti del dio Osiride.
Una quarta ipotesi ancora potrebbe essere quella che l’opera eudossiana inscenava un confronto dialogico tra tutti i personaggi che abbiamo supposto. Cani, stelle e dèi potevano conversare tra loro su argomenti che li riguardavano da vicino. Ma si tratta dell’ipotesi più estrema e discutibile. Se un dialogo del genere avesse mai avuto luogo, qualche autore antico ne avrebbe sicuramente parlato, perché costituiva un unicum in tutta la letteratura antica, dove non si riscontra mai una discussione sostenuta tra questi esseri tra loro così diversi. Meglio lasciare spazio solo alle altre tre ipotesi che, pur suggerendo sempre che i dialoghi di Eudosso fossero fantastici e miticheggianti, sono comunque meno bizzarre e, dunque, un po’ più convincenti.
La questione resta naturalmente aperta. In assenza di dati testuali risolutivi, non possiamo sapere se i dialoghi di Eudosso vedessero protagonisti i cani, le stelle della costellazione del Cane, o alcune divinità “canine”, quali Anubi e Iside. Né certo possiamo sapere di che cosa i personaggi parlassero. D’altro canto, però, se una delle tre ipotesi è anche lontanamente plausibile, potremmo dedurre un’interessante conseguenza storica. Eudosso innovò la forma dialogica che era stata usata dal maestro Platone, i cui dialoghi mostrano quasi sempre solo degli uomini che dialogano con altri uomini, anzi solo maschi con maschi. Fanno eccezione il racconto del dialogo tra il giovane Socrate e la sacerdotessa Diotima nel Simposio, o la fugace comparsa della moglie Santippe e dei figli di Socrate nel Fedone. La scena del dialogo di Eudosso poteva così ospitare degli esseri non-umani, che finora erano stati esclusi dal “teatro filosofico” delle opere del suo maestro.
Enrico Piergiacomi
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[Speusippo] ha lasciato una grande quantità di commentari e parecchi dialoghi, fra i quali: (…) Commentari in forma di dialogo; (…) Dottrina dei simili, dieci dialoghi (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro IV, §§ 4-5; trad. Isnardi Parente)
Quanto al fatto che nell’ebbrezza si perda totalmente la memoria, non solo esso è contrario a quel che si dice del banchetto, cioè che questo è buono a procurare amicizie, ma ha contro di sé la testimonianza dei filosofi più illustri, Platone, Senocrate, Senofonte, Aristotele, Speusippo, Epicuro, e ancora Pritani, e Ieronimo, e Dione accademico; i quali tutti ritennero che fosse opera degna di qualche cura lo scrivere discorsi simposiaci (Plutarco, Questioni conviviali, libro I, passo612D9-E2 = Speusippo, testimonianza 24; trad. Isnardi Parente)
Inoltre, come nella retorica cosi anche nei discorsi confutatori, occorre studiare bene le argomentazioni che sono in contrasto o con le cose stesse che l’avversario dice, o con gli argomenti di quelli con i quali egli concorda quanto a dire e procedere; e anche di quelli che sembrano parlare e procedere rettamente, o di quelli che sono simili a lui, o della grande maggioranza degli uomini, o di tutti gli altri uomini. E cosi come coloro che subiscono una confutazione spesso, nel rispondere, fanno una distinzione, se si avvedono che la confutazione sta per riuscire nel suo scopo, cosi anche coloro che interrogano dovranno usare lo stesso sistema contro coloro che fanno obiezioni: nel caso che l’obiezione parte raggiunga lo scopo parte no, dovranno dire che hanno inteso la cosa in questo secondo senso, come fa Cleofonte nel Mandrobulo (Aristotele, Confutazioni sofistiche, passo 174b19-27 = Speusippo, testimonianza 120; trad. Isnardi Parente)
Inoltre, come nelle trattazioni che riguardano l’omonimia fanno spesso coloro che sono soggetti a confutazione e devono dare una risposta (accorgendosi dell’inganno fanno una distinzione ulteriore, e affermano di aver voluto intendere qualcosa di diverso da quello cui è giunto l’interrogante nella sua conclusione), cosi anche quelli che interrogano devono valersi dello stesso sistema contro coloro che fanno obiezioni all’interrogazione affermando di non essere stati confutati: se l’obiezione parte raggiunga lo scopo parte no, dovranno dire che hanno inteso la cosa in questo secondo senso e insistere nel ripresentare le loro conclusioni, come fa Cleofonte nel Mandrobulo, dialogo platonico (Anonimo, Commento alle «Confutazioni sofistiche» di Aristotele, p. 40 = Speusippo, testimonianza 121; trad. Isnardi Parente)
Speusippo, in quell’opera che si intitola Il banchetto funebre di Platone, e Clearco nell’Encomio di Platone, e Anassilaide nel II libro dell’opera Dei filosofi, dicono che in Atene corresse voce che Aristone cercò di far sua con la forza Perittione, giovinetta assai bella, ma non vi riuscì; ripresosi poi dall’impeto, ebbe la visione di Apollo; e allora si astenne da ogni rapporto con lei fino a che ella non ebbe partorito (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro III, § 2 = Speusippo, testimonianza 147; trad. Isnardi Parente)
Tale fu dunque Platone, e per virtù di questa sorta non solo superò gli eroi, ma si rese uguale perfino alle potestà divine. E perciò Speusippo, che apprendeva tutto ciò da racconti uditi in famiglia, esalta l’intelligenza ch’egli dimostrava fin da fanciullo, acuta nell’apprendere, e l’indole ammirevole per compostezza; e riferisce le prime fasi della sua giovinezza, tutte ispirate all’assiduità nello studio e all’amore per esso, attestando con ciò come in quell’uomo si unissero queste grandi virtù con altre ancora (Apuleio, Su Platone e i suoi dogmi, libro I, § 2 = Speusippo, testimonianza 151; trad. Isnardi Parente)
Eudosso, figlio di Eschine, nacque a Cnido, astronomo, geometra, medico, legislatore. Egli apprese la geometria da Archita, la medicina da Filistione siceliota, come attesta Callimaco nei suoi Quadri. Sozione nelle Successioni dei filosofi dice che fu uditore anche di Platone. Aveva circa ventitré anni e versava in angustie economiche quando, attratto dalla fama dei Socratici, fece vela verso Atene col medico Teomedonte, da cui fu mantenuto (secondo altri, fu il suo amasio). Sbarcato al Pireo ogni giorno saliva ad Atene e, dopo avere ascoltato i sofisti, di nuovo vi faceva ritorno. Dopo una permanenza di due mesi, ritornò in patria e, soccorso da contribuzioni degli amici, salpò in Egitto col medico Crisippo, portando una lettera di raccomandazione da parte di Agesilao a Nettanabi, il quale lo raccomandò ai sacerdoti. Quivi si trattenne un anno e quattro mesi, si rase barba e sopracciglia e, secondo alcuni, compose la Ottaeteride. Di lì fu a Cizico e nella Propontide a tenere scuola, ma dopo giunse anche alla corte di Mausolo. Indi fece ritorno in Atene, avendo seco moltissimi discepoli, come dicono alcuni per dare un dispiacere a Platone, il quale all’inizio l’aveva disdegnato come discepolo (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, libro VIII, §§ 86-87 = Eudosso, T7 e F130 Lasserre; trad. Gigante)
Eratostene [di Cirene] nei libri diretti a Batone dice che Eudosso compose anche Dialoghi di cani; altri dicono che gli Egiziani li scrissero nella loro lingua e che lui li tradusse e pubblicò in Grecia (DL VIII 89 = Eudosso T7 e F374 Lasserre; Batone di Sinope, BNJ 268 T 3; Eratostene, BNJ 241 F 22; trad. Gigante)
Ora Eudosso riteneva che il piacere è il bene, perché diceva di vedere che ogni essere, sia razionale sia irrazionale, tende al piacere – in ogni caso l’oggetto della scelta è ciò che giova, e lo è al massimo grado la cosa più eccellente; che il fatto che tutti gli animali sono portati verso il piacere indica che esso è per tutti la cosa migliore, infatti ciascuno si procura ciò che è il bene per lui, come ad esempio il cibo, e quindi ciò che è bene per tutti, e che tutti perseguono, è il bene (Aristotele, Etica Nicomachea, libro X, passo 1172b9-15 = Eudosso, D4 Lasserre; trad. Natali)
Eudosso però dice che gli Egiziani risparmiano i maiali e non li sacrificano quando il grano è stato seminato nei campi per questo motivo: essi li conducono là in branchi, perché lo calpestino al fine di spingerlo più a fondo nel terreno umido, impedendo così agli uccelli di beccarlo (Claudio Eliano, Sulla natura degli animali, libro X, § 16 = Eudosso, F301 Lasserre; trad. Maspero)
Tra quelli che si dedicarono appassionatamente alla risoluzione del problema, cercando di trovare due medie proporzionali a due segmenti dati, si dice che Archita di Taranto le abbia trovate servendosi dei semicilindri, ed Eudosso delle cosiddette linee curve. (…) Non cercherai né le difficili opere dei cilindri d’Archita, né d’ottenere, con le sezioni coniche, le triadi di Menecmo, né se si descrive in linee una forma ricurva, come fece il divino Eudosso (Eratostene, Lettera a Tolemeo, ap. Eutocio, Commento al trattato «Sulla sfera e sul cilindro» di Archimede, pp. 106 e 112 = Eudosso, D24-25 Lasserre; trad. Maddalena)
…come dice Eudosso nell’Ottaeteride, se si tratta di un’opera genuina (Eratostene scrisse, infatti, che non sia di Eudosso) (Achille, Commento ai «Fenomeni» di Arato, § 19 = Eudosso, F132 Lasserre; trad. mia)
Critone di Nasso: storico. Scrisse un’Ottaèteride, che dicono sia di Eudosso (Lessico Suda, lettera K, voce 2454 = Eudosso, F133 Lasserre)
Si credette generalmente che l’ottaetèride fosse stata istituita da Eudosso di Cnido, altri riferiscono invece che fu stabilita per la prima votla da Cleostrato di Tenedo e che successivamente altri composero secondo criteri diversi la propria ottaetèride con la varia intercalazione di mesi, come fecero Arpalo, Nautele, Menestrato e altri ancora, tra cui Dositeo, la sua è proprio intitolata Ottaetèride di Eudosso (Censorin. De die natali 18 = Eudosso, F131 Lasserre; trad. Fontanella)
Eudosso per primo portò in Grecia dall’Egitto la conoscenza dei moti planetari; egli tuttavia non dice nulla sulle comete: e da questo si vede chiaramente come neppure gli Egizi, che si dedicarono più a fondo allo studio del cielo, curarono con attenzione questo settore (Seneca, Questioni naturali, libro VII, cap. 3, § 2 = Eudosso, D14 e T15 Lasserre; trad. Vottero)
Viene riferito che Pitagora fu scolaro di Sonchis, capo dei profeti egiziani, Platone di Sechnufis di Eliopoli, Eudosso cnidio di Chonofis, anch’egli egiziano (Clemente di Alessandria, Stromati, libro I, cap. 15, § 69, sezione 1 = Eudosso, T18 Lasserre; trad. Pini)
Sarebbe infatti poco decoroso che Pitagora, Platone, Democrito, Eudosso e molti altri degli antichi Greci abbiano ottenuto l’insegnamento opportuno dai sacri scribi del tempo loro, mentre tu, che sei nostro contemporaneo ed hai le stesse intenzioni di quei grandi uomini, non trovi la guida da parte dei maestri che attualmente vivono e che sono chiamati maestri pubblici (Giamblico, Sui misteri degli Egizi, libro I, cap. 1 = Eudosso, T19 Lasserre; trad. Sodano)
Anche i più sapienti tra i Greci attestano tali cose: Solone, Talete, Platone, Eudosso, Pitagora, come affermano alcuni, e anche Licurgo; tutti costoro vennero in Egitto e si incontrarono con i sacerdoti. Eudosso, raccontano, fu istruito da Chonufis di Menfi, Solone da Sonchis di Sais, Pitagora da Enufis di Heliopolis (Plutarco, Iside e Osiride, passo 354D9-E5 = Eudosso, T17 Lasserre; trad. Lelli)
Aristotele nel primo libro Della filosofia dice che i Magi sono più antichi degli Egizi e che ammettono due princìpi, il demone buono e il demone cattivo, di cui al primo dànno i nomi di Zeus e Oromasde, al secondo i nomi di Ade e Arimanio. Questo dice anche Ermippo nel primo libro Dei Magi e Eudosso nel Giro della terra e Teopompo nell’ottavo libro delle Storie filippiche (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, proemio, § 8 = Eudosso, F341 Lasserre; trad. Gigante)
Da quel momento la vita di Iside non fu che un continuo vagabondaggio per ogni dove; non sapeva più che cosa fare e interrogava chiunque incontrasse; persino se s’imbatteva in ragazzi, chiedeva della cassa. Incontrò infine molti di quelli che erano a conoscenza dei fatti e che le additarono la bocca del fiume da dove gli amici di Tifone avevano gettato la bara nel mare. Perciò gli Egiziani ritengono che i fanciulli siano dotati di potere profetico; e fanno le loro previsioni soprattutto attraverso le parole di ragazzi che incontrano a giocare nei luoghi sacri e che gridano qualsiasi cosa salti loro in testa. Iside apprese dunque che Osiride si era unito con la sorella, senza sapere che essa fosse Iside; e ne vide una prova nella ghirlanda di meliloto che Osiride aveva lasciato presso Neftys: iniziò allora a cercare il figlio (la madre l’aveva esposto subito dopo la nascita, per paura di Tifone). Dopo averlo trovato, con molte difficoltà e fatiche, con l’aiuto dei cani segugio, Iside allevò il bimbo e ne fece una guardia fedele, che la accompagnava in ogni dove, e lo chiamò Anubi: si disse, in seguito, che egli stava a guardia degli dèi, come i cani fanno per gli uomini (Plutarco, Iside e Osiride, passo 356E1-F6 = Eudosso, F290 Lasserre; trad. Lelli)
Stando a Eudosso, invece, molte tombe di Osiride ricordate in Egitto, sarebbero cenotafi; il corpo, in realtà, si troverebbe solo in Busiride, perché questa fu la terra natale di Osiride. Non è il caso, poi, di parlare di Tafosiride, poiché già di per sé il nome significa “tomba di Osiride”. Va però menzionato il taglio del legno e la lacerazione del lino e delle libagioni versate, poiché che molti dei loro riti misterici sono legati a tali cerimonie. I corpi non solo di questi, ma anche degli altri dèi – tranne quelli ingenerati e incorruttibili – i sacerdoti affermano che sono stati adagiati lì, dopo tanti travagli, e che sono divenuti oggetto di venerazione da parte loro, mentre le loro anime splendono come stelle in cielo; così l’anima di Iside è chiamata “cane” dai Greci e dagli Egiziani Sothis; l’anima di Horos è chiamata Orione, quella di Tifone, Orsa. Per le tombe degli animali onorati, tutti gli altri Egiziani pagano il tributo stabilito; solo gli abitanti del territorio tebano non pagano, perché pensano che nessun dio sia soggetto alla morte; e quello che essi chiamano Kneph non conosce né nascita né morte (Plutarco, Iside e Osiride, passo 395B10-D5 = Eudosso, F291 Lasserre; trad. Lelli)
Entrati, trovammo Socrate, che era stato appena sciolto, e Santippe – la conosci – che teneva in braccio il bambino di lui e gli sedeva accanto. Come ci vide, Santippe alzò voci di lamento e disse quelle cose che sono solite dire le donne: «O Socrate, è l’ultima volta ora che i tuoi amici parleranno con te e tu con loro». E Socrate si rivolse a Critone e disse: «Critone, qualcuno la conduca a casa» (Platone, Fedone, passo 59e8-60a8; trad. Cambiano)
Dopo che [Socrate] si fu lavato e gli furono condotti i figli – ne aveva due piccoli e uno grande – e giunsero anche le donne di casa sua, egli, dopo aver conversato con loro e fatte le raccomandazioni che voleva in presenza di Critone, invitò le donne e i bambini ad andarsene e ritornò da noi (Platone, Fedone, passo 116a7-b5; trad. Cambiano)
[Le fonti su Speusippo sono raccolte e tradotte da Margherita Isnardi Parente (a cura di), Speusippo. Frammenti, Napoli, Bibliopolis, 1980. Eudosso sono raccolte solo in lingua originale da François Lasserre (Hrsg.), Die Fragmente des Eudoxos von Knidos, Berlin, De Gruyter, 1966. “T” indica le testimonianze biografiche, “D” le testimonianze dottrinali, “F” i frammenti. Le traduzioni prive di riferimenti sono mie. Le altre sono tratte da qui:
1. Angelo Raffaele Sodano (a cura di), Giamblico. I misteri egiziani, presentazione di Giuseppe Girgenti, Milano, Bompiani, 2013;
2. Antonio Maddalena, Archita, in Gabriele Giannantoni (a cura di), I Presocratici. Testimonianze e frammenti, Roma-Bari, Laterza, 1983;
3. Carlo Natali (a cura di), Aristotele. Etica Nicomachea, Roma-Bari, Laterza, 1999;
4. Dionigi Vottero (a cura di), Seneca. Questioni naturali, Torino, UTET, 1995;
5. Emanuele Lelli (a cura di), Plutarco. Iside e Osiride, in Emanuele Lelli (a cura di), Plutarco. Tutti i moralia, Milano, Bompiani, 2017;
6. Francesco Maspero (a cura di), Claudio Eliano. La natura degli animali. Volume secondo: libri IX-XVII, Milano, Rizzoli, 2002;
7. Giovanni Pini (a cura di), Clemente di Alessandria. Gli stromati: note di vera filosofia, introduzione di Marco Rizzi, Milano, Edizioni Paoline, 2006;
8. Giuseppe Cambiano (a cura di), Platone. Dialoghi filosofici: volume primo, Torino, UTET, 1970;
9. Marcello Gigante, Vite dei filosofi, Roma-Bari, Laterza, 1962;
10. Valter Fontanella (a cura di), Censorino. Il giorno natalizio, Bologna, Zanichelli, 1993]