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Le danze urbane spiegate ai bambini

Nella giornata conclusiva di Short Theatre 13, Le tour du monde des danses urbaines en dix villes di Ana Pi, Cecilia Bengolea e François Chaignaud ha condotto gli spettatori in un viaggio coreografico attraverso metropoli e favelas. Recensione.

Foto di Claudia Pajewski

La strada urbana non è più il solo luogo deputato alla narrazione, dove l’accadere si dispiega e si rappresenta in relazioni, scambi e passaggi. La strada è divenuta virtuale, parallela e invisibile; è raccontata sugli schermi, guardata, vissuta e condivisa come dimensione social, non più sociale. Si evolvono le modalità attraverso le quali la abitiamo, come la attraversiamo e (se) ci facciamo attraversare, nel divenire di un’azione tesa a tracciare un segno che modifichi quello precedente. La strada, oggi, potrebbe ancora definirsi una dimensione dell’esserci e del suo tempo, tuttavia non sappiamo se e quanto durerà. La liquidità imperante trasforma, altera, controlla e mistifica: si vive un momento adesso, lo si condivide però domani, dando l’impressione che sia oggi e invece era ieri. E soprattutto, qual è il gesto sociale che può sopravvivere alla volatilità?

Foto di Claudia Pajewski

Visto durante l’ultima edizione di Short Theatre, Le tour du monde des danses urbaines en dix villes unisce le sfere di azione sociale sopra accennate fondendo insieme la strada, la virtualità e, non ultimo, il gesto. Direttamente dall’Association des Centres de Développement Chorégraphique di Tolosa, i danzatori e pedagoghi Ana Pi, Cecilia Bengolea e François Chaignaud si cimentano nella ricerca, ideazione e scrittura dei testi di questa «conferenza danzata», lavoro che si rivolge innanzitutto – e ne avremo conferma durante l’ora circa di spettacolo in lingua francese – a un pubblico di bambini dagli 8 anni in su, che con cuffie alle orecchie sono aiutati nella comprensione della lingua da un’interprete che traduce simultaneamente seduta al lato della scena. La compagnia Vlovajob Pru, fondata da Bengolea e Chaignaud, ci aveva già entusiasmato e sconvolto, tra curiosità e emozione, per il conturbante genio coreografico e politico di (M)IMOSA Twenty Looks or Paris is Burning at The Judson Church andato in scena sempre negli spazi de La Pelanda nel 2013. Una straordinaria collaborazione coreografica tra i due danzatori, insieme a Marlene Freitas (Leone d’Argento alla Biennale Danza di Venezia 2018) e Trajal Harrell, ispirata al documentario omonimo dei primi Anni Novanta di Jennie Livingston che guardava da vicino, e per la prima volta, la comunità LGBT unita attorno alla cultura del voguing (termine derivato dal nome del giornale e dalle pose delle modelle). Lo spettacolo “bruciò” per due ore e mezza, negli spazi dell’ex mattatoio, tutta la carica esplosiva di una rigorosa struttura coreografica che prima di essere esteticamente affascinante, appariva senza dubbio come un denso studio dall’approccio divulgativo sul fenomeno voguing. In questa occasione invece, con Le tour…, la dimensione didattica e pedagogica allarga il suo raggio di investigazione a ben dieci danze urbane, approfondite in un agile libretto curato nelle illustrazioni da Juan Saenz Valiente e regalato al termine della “lezione” da Ana Pi che, da sola in scena, con la proiezione sussidiaria di video esplicativi delle danze scelte, mette in campo gli strumenti di una ricerca non solo coreografica ma scientifico-antropologica tanto nell’approccio quanto nella modalità di spiegazione agli spettatori. Tra un locking e un popping, le competizioni dei ball, la rabbia esplosa della clown dance, i muri dei sound systems che creano attorno agli amplificatori degli spazi di condivisione, la trance aerea e leggera della house music; si parla di apartheid, soprusi, isolamento ma anche di riappropriazione di spazi del vivere sociale, dapprima negati e poi riconquistati attraverso il linguaggio della danza. Presentandosi come uno spettacolo rivolto anche ai più piccoli, incuriositi e attenti nelle prime file a terra, Le tour ha l’ambizione di parlare ai ragazzini in sala senza peli sulla lingua o formali precauzioni: schiettamente si “tirano in ballo” questioni di genere e di sessualità, di affermazione identitaria e lotta politica. Dove non può arrivare la comprensione del bambino/a, interviene la dialettica, intelligibile, dell’intrattenimento. Dall’Hip-Hop (New York; Parigi) alla Break Dance (New York; Tokyo) e poi la House (Chicago), la Krump (Los Angeles), ancora il Voguing, passando per la Dancehall (Kingston), la Pantsula (Johannesbourg), Kuduro (Luanda), Passinho (Rio de Janeiro) sino alla Dubstep (Londra). Una città, una danza e quindi un gesto politico. Si parte dalle strade del Bronx, delle favelas, delle dancehall e così via, per arrivare poi alla dubstep e alla sua diffusione, osservandone le dinamiche sociali, e social soprattutto, di una danza trasmessa virtualmente: molti ne imparano i passi attraverso i tutorial su Youtube, scambiandosi tecniche e condividendo i progressi.

Foto di Claudia Pajewski

Una scelta tuttavia «parziale, difficile, e fortemente soggettiva e incompleta» quella di soffermarsi su soli dieci esempi, come sottolineato nella brevissima prefazione del libretto, ma volta a considerare che «le danze urbane sono legate alla città, alla sua violenza, alle sue ingiustizie ma anche all’energia»; ogni gesto danzato è dunque espressione di uno politicamente attivo e reattivo che costruisce una nuova corporeità. Questa esplorazione, seppur analizzi ciascuna danza nella sua specificità di origine e di significato, finisce col restituirci la sintesi di un excursus che dimostra da un lato l’impossibilità di dividere le danze spiegate in singolari contesti e codici, dall’altro, la necessità invece di comprenderle in un unico “sincretismo coreografico”. Un momento prezioso e arricchente, in grado di fondere insieme l’aspetto formativo a quello attrattivo, rompendo la frontalità della fruizione per riportare la danza al suo grado zero di contatto con la realtà che ci circonda e con l’individuo che la abita. O la abiterà.

Lucia Medri

La Pelanda, Short Theatre – settembre 2018

LE TOUR DU MONDE DES DANSES URBAINES EN DIX VILLES
ideazione, ricerche, testi Ana Pi, Cecilia Bengolea, François Chaignaud
montaggio video Ana Pi
illustrazioni libretto Juan Saenz Valiente
interpretazione Ana Pi
produzione Association des Centres de Développement Chorégraphique con l’aiuto della Direction Générale de la Création Artistique (Le Gymnase – CDC Roubaix Nord / Pas-de-Calais; Le Cuvier – CDC d’Aquitaine; le Pacifique | CDC – Grenoble; Uzès danse, CDC de l’Uzège, du Gard et du Languedoc-Roussillon; Art Danse – CDC Dijon Bourgogne; La Briqueterie – CDC du val de Marne; L’Echangeur – CDC Hauts-de-France; CDC Paris – Atelier de Paris – Carolyn Carlson, su proposta di CDC Toulouse/Midi-Pyrénées e d’Annie Bozzini)
produzione delegata Vlovajob Pru
con l’aiuto della DRAC Poitou-Charentes.
Vlovajob Pru è sovvenzionata dalla DRAC Auvergne-Rhône-Alpes e il Conseil Régional d’Auvergne-Rhône-Alpes ed ha ricevuto il sostegno dell’Institut Français et de l’Institut Français / Ville de Lyon per i progetti all’estero

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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