Dalle terme di Diocleziano al Chiostro Michelangiolesco. A Roma è arrivata la rassegna Ō. A partire dal 14 settembre, Electa in collaborazione con il Museo Nazionale Romano propone un mese di musica, danza e arti visive. Abbiamo intervistato il direttore artistico Cristiano Leone.
Trentaquattro anni, napoletano, “educato alla bellezza”. Forse è questa la motivazione per cui è diventato un filologo romanzo con un dottorato europeo in filologia medievale. Muovendosi inizialmente tra il Belgio e la Francia, ha iniziato a insegnare Linguistica e Filologia Romanza all’università, coordinando poi i progetti sperimentali sulle politiche culturali per l’innovazione universitaria alla Sorbonne Université. Oggi, in Italia dirige la programmazione culturale dell’Accademia di Francia a Villa Medici a Roma e, più in particolare, i Giovedì della Villa e Villa Aperta, appuntamenti dedicati alla nuove frontiere della creatività contemporanea ideati insieme all’artista, attrice e regista Muriel Mayette-Holtz. Dal 14 settembre è responsabile e curatore dell’evento Ō, uno dei progetti più ambiziosi che sia stato pensato per la rivalutazione di un sito archeologico romano: la prima parte della rassegna, vera e propria voce e gesto delle Terme di Diocleziano, è incentrata su musica, in gran parte elettronica, danza e arti visive; dal 21 ottobre il programma prenderà una piega “pedagogica” e andrà a dispiegarsi per intero negli spazi del Planetario, portando il pubblico all’interno dell’estremismo della creazione: dietro ai meccanismi, alle mani e alle idee, ad esempio, di uno shooting fotografico per una celebrity realizzato da un artista di fama internazionale.
Che siate o non siate convinti di aver conosciuto ogni anfratto capitolino, questa rassegna pare proprio ostinata a voler raccontare a ognuno una storia che non ha mai sentito.
Se dico Ō, che succede?
Si crea un cerchio che stimola tutte le emozioni umane.
Mi è stato chiesto di immaginare un progetto che valorizzasse le Terme di Diocleziano e si è imposto un titolo. In latino l’interiezione Ō, con il tratto della lunga, indica l’espressione linguistica direttamente collegabile alle emozioni. Un’interiezione che esprime tutti gli stati d’animo che fanno da contraltare alla funzione originale delle terme, quella non solo di ristabilire il benessere psicofisico, ma anche portare alla convivialità e socialità. Un cerchio, un abbraccio, sono gli opposti che si ricongiungono. Tutto questo è Ō.
Tutto è stato concepito in una concertazione che abbiamo avuto con Electa e con il Museo Nazionale Romano. Io sono un filologo, ho studiato moltissimo la cultura latina; il mio obiettivo principale è far dialogare il patrimonio storico con l’arte contemporanea in tutte le sue forme, spectacle vivant, performing arts, per me sono arti contemporanee. Non distinguo tra le arti performative e l’arte vera e propria: per me era fondamentale produrre un progetto artistico che portasse all’interno del programma personalità che normalmente sono escluse da questi luoghi di cultura.
Che cosa distingue un artista visivo performativo da un musicista compositore, producer o da altri che utilizzano di solito altri mezzi espressivi e che di solito sono confinati in altre realtà? L’obiettivo primo è la valorizzazione del sito archeologico.
Un luogo che diventa spazio rappresentativo.
Le Terme di Diocleziano rappresentano la stratificazione romana, ci si immaginava una programmazione più basata sull’arte contemporanea, invece ho voluto davvero unire tutti gli universi: ecco il perché della danza, della musica ma anche delle installazioni audiovisive.
Affinché un luogo come questo rivivesse, non si potevano accogliere o compiere solo i prodotti dell’arte ma bisognava riportare la vita, l’essere umano, riportare il gesto, riportare il corpo. Tutti gli artisti che sono stati contattati hanno accolto una sfida, creare una sinergia tra luogo, artista e pubblico. Insieme abbiamo studiato gli spazi. Nella maggior parte dei casi le performance sono concepite in base al luogo, negli altri sono riadattate. Sono appuntamenti unici: anche gli appuntamenti presentati altrove qui sono completamente ripensati. È fondamentale che ci sia un dialogo tra il patrimonio storico e la contemporaneità.
E come dialogano le forme statiche classiche – l’edificio e l’interno – con quelle dinamiche antropiche – i danzatori e i performer?
Mi infastidisce il fatto che si consideri interessante prendere un esempio dell’arte contemporanea e inserirlo staticamente all’interno del patrimonio storico. Il patrimonio non è valorizzato, né lo è l‘arte contemporanea, perché poi si creano una staticità o un’opposizione che non sono volute neanche all’orgine: non è logica, è una contrapposizione puramente fattuale. In calendario abbiamo avuto Souleyman, un siriano, proveniente dunque da una realtà soggetta a conflitti interni ed esterni. Un siriano ha preso possesso di un luogo storico romano e lo ha fatto in una attività aperta al pubblico, che abbraccia davvero tutti coloro che hanno avuto la prontezza di prenotarsi o anche quelli che invece si presentano all’ultimo momento.
Abbiamo riconfigurato il palco, c’era il rischio di pioggia, facendo in modo che si utilizzasse l’aula nona delle Terme, circolare. In quella forma ho trovato accoglienza, uno straniamento che nasce dalla sorpresa. Era presente anche un gruppo di siriani che con grande difficoltà è arrivato in Italia: quelle persone erano emozionate perché si trovavano di fronte al simbolo del successo di un loro connazionale nel mondo. Si creano dei rapporti di continuità tra la performance e le persone che vi accorrono.
Nel caso della danza, è come se avessimo dato movimento alle statue, quelle che all’epoca adornavano il sito; lo abbiamo fatto rendendo l’essere umano protagonista. Se le Terme erano decorate, lo erano perché vigeva all’epoca – e dovrebbe vigere oggi – l’idea secondo cui quando si è circondati dalla bellezza si produce bellezza.
Jan Martens ha portato Sweat Baby Sweat. “Suda, tesoro, suda!”. Mi piaceva l’idea di riportare il sudore collegandolo all’idea primordiale della funzione termale. Ci siamo disposti sui gradini a guardare due danzatori, una donna incinta e il suo compagno.
I corpi seminudi di danzatore e danzatrice si univano in maniera estremamente lenta e cadenzata dando vita all’oggetto inanimato della statua, la statua si animava sudava e si baciava.
Tre settori differenti di produzione artistica, tre pubblici a confronto. Qual è la carta d’identità del pubblico di Ō?
Il senso essenziale di tutto il mio percorso è riuscire a creare una miscellanea di pubblici. Curo i Giovedì di Villa Medici; quando li ho concepiti dovevano essere degli appuntamenti completamente diversi. Si poteva, ad esempio, cominciare guardando la danza contemporanea e poi ritrovarsi a incontrare uno scrittore. Proprio lì due pubblici completamente diversi si incontravano e mi è capitato di vedere giovani diciassettenni venuti per la danza contemporanea (il pubblico della danza contemporanea a Roma è molto giovane, c’è un pubblico di affezionati e uno giovanissimo molto partecipativo) ritrovarsi a parlare con la signora adulta giunta per lo scrittore: un incontro intergenerazionale.
La stessa cosa ho cercato di produrre a Ō, ma in maniera diversa: un artista ogni sera, seguendo un ritmo e facendo in modo che il pubblico giovane, lì per la sperimentazione elettronica, si incuriosisca di tutto il resto del progetto. E questo sta già accadendo.
Infatti, tutto è esaurito.
Per la salvaguardia e la protezione del patrimonio storico, nelle prenotazioni va rispettata la reale capienza degli spazi: abbiamo imposto un limite di prenotati ma ci sono sempre delle possibilità di ingresso fino al raggiungimento del limite.
Così si vede che ci sono quelli che hanno prenotato subito tutto, perché sono affamati di una proposta mensile varia, e il pubblico del passaparola o della pubblicità. Ogni tanto qualcuno mi chiede addirittura di raccontare le Terme al posto degli spettacoli! Vogliono capire dove si trovano, molti ci passano di fronte andando a lavoro e non sanno cosa sono. Per me è una missione politica prima di tutto: un segno di unione, dobbiamo abbracciare l’altro e farlo attraverso la cultura.
Quali sono i soggetti coinvolti nella realizzazione e qual è la vostra relazione?
La produzione del progetto è affidata a Electa che aveva uno statuto essenziale – tuttora in essere – di casa editrice di alto livello; solo successivamente è passata alla gestione e all’organizzazione di spazi museali: mettendo un altro tassello nella sua visione di diffusione culturale, ha sempre considerato la cultura come processo virtuoso.
D’altro canto il Museo Nazionale Romano, diretto da Daniela Porro, ha accolto il progetto con un entusiasmo che raramente ho visto nelle istituzioni, con un prestigio antico, un’apertura e libertà incredibile.
Ho potuto immaginare con totale libertà, ovviamente sempre in dialogo con tutti gli agenti del Museo Nazionale Romano e del Ministero, per presentare un progetto non solo compatibile ma anche rispettoso e valorizzante. Volevamo creare un modello che potesse essere riutilizzato anche da altri.
Musica, danza, arti visive. Perché combinare questi linguaggi e non altri?
Me lo stavo domandando in questi giorni. Fin dall’inizio non volevo che fosse una ripetizione di progetti che esistono e che sono forti sul territorio. Penso che la cultura non debba conoscere concorrenza, sono convinto che più iniziative ci sono, più ci sarà interesse, più domanda. Allo stesso tempo, non volevo creare percorsi simili a Short Theatre o a Romaeuropa Festival: bisogna avere una coerenza specifica molto forte, nonostante ci siano delle proposte estremamente eterogenee.
Nella sua realizzazione, Ō si pone come una palestra, è un meccanismo di contrazione e dilatazione, ha delle proposte che sono, mi piace dire, “o glaciali o torride”, e davvero richiamano il passaggio dal calidarium al frigidarium. Quando ho scritto il programma la coerenza tra le proposte eterogenee era rappresentata dal filo conduttore tra suono e movimento.
Dal 21 ottobre al 16 dicembre, gli appuntamenti si trasferiranno nel Planetario e l’elemento cardine sarà la pedagogia. Porteremo il pubblico nell’universo della creazione in tutte le sue forme. Quando la cultura è alta rischia di non farsi capire e questo è un grandissimo errore, perché la gente invece vuole sapere e il mio intento è di rispondere.
Francesca Pierri