Il nostro ciclo di interviste agli artisti programmati nel cartellone di Todi Off – Futuro Anteriore si conclude con questa conversazione con Ivano Picciallo, autore, regista e protagonista di A Sciuquè, in scena al Teatro Nido dell’Aquila il 30 agosto. Picciallo, accanto al proprio percorso formativo e artistico, ha esposto un punto di vista originale su cosa sia il “teatro OFF” oggi e un’aspettativa alta e pragmatica sul futuro e sulla resistenza.
Qualche battuta sul tuo percorso e sul lavoro che presenterai.
Mi sono formato a Roma e provengo dall’esperienza diretta della Commedia dell’Arte. Credo di aver avuto il privilegio di avvicinare la lezione di tanti maestri, e di comprendere così i linguaggi non solo della prosa classica ma anche, oltre appunto a quelli della Commedia dell’Arte, quelli del teatro che viene definito – forse erroneamente – sperimentale. I nomi che hanno segnato il mio percorso sono quelli di Mauro Mandolini, Carlo Boso, Giancarlo Sepe, Luciano Melchionna e Emma Dante, con la quale ho lavorato in Bestie di scena.
La nostra compagnia nasce invece tre anni fa. A Sciuquè è il mio primo lavoro come regista e autore: nasce come un monologo poi è stato allargato e rielaborato attraverso una drammaturgia scenica corale insieme ad Adelaide Di Bitonto, Giuseppe Innocente, Igor Petrotto, Francesco Zaccaro. Questo dialogo serrato e diretto tra regista e attore si è rivelato la formula di una messa in scena complessa, e totalmente sincera.
Che cosa rappresenta la piazza di Todi Off per il tuo percorso artistico?
Quello di Todi è un festival che resiste. Mi auguro possa essere, per noi, semplicemente una possibilità. Spero che ci siano addetti ai lavori che possano, non dico comprare, ma aiutare a girare: il vero grande problema per le piccole compagnie è proprio fare date. Preparare un lavoro e poi fare tre date è debilitante. Ho lavorato molto in Europa – rientro da poco dal Festival di Avignone – però in Italia è sempre più difficile. Il festival è per definizione lo spazio dello scambio, dell’incontro con altre realtà, e anche a tutti gli effetti una “fiera”: un momento per capire che cosa si sta muovendo attorno a te e anche per trovare lavoro.
Che cosa pensi delle limitazioni anagrafiche che sempre di più caratterizzano le opportunità di produzione e circuitazione?
Il problema è che a 35 anni siamo ancora “under”. Tutto è viziato da un sistema in cui persone di 25 o 26 anni sono considerate “giovani”, nel senso di “non ancora pronte”. Io non metterei mai un limite anagrafico: capisco che per chi organizza avere dei parametri (e anche dei “paletti”) sia importante, e capisco anche l’esigenza di incentivare i giovani. Ma chi sono i giovani? 35 è una linea insignificante a volte. Per me aiutare i giovani è aiutare tutti, i meritevoli. Forse, spostando un po’ la logica, il criterio potrebbe essere orientato a favorire un lavoro nuovo, indipendente, una compagnia nuova. Trovo che questo discorso sia molto “italiano”, nel senso di politico, e solo nostro. Il bando dovrebbe aiutare chi sta iniziando.
Che cosa significa per te il termine OFF?
Nel bene e nel male, “off” è tutto quel teatro spento, che si può accendere. Mi fa pensare al luogo dove si agitano la voglia, la necessità e passione per la materia stessa con la quale si lavora: senza il bisogno di chissà che cosa, ma con consapevolezza e esigenza di volere fortemente. Forse è la cantina dell’oggi e anche del domani, dove iniziamo a creare delle piccole cose, per poi emergere. È il cuore pulsante di quello che poi vive sulla scena. Il rifugio dell’ artigiano, il luogo dove si può dire ad alta voce: «Non sono conosciuto, ma faccio qualcosa di autentico».
Una considerazione sulla formula Futuro anteriore, titolo della rassegna.
Mi viene in mente un estremo presente: questo momento, quello che abbiamo adesso. Forse sarà futuro, lo speriamo, ma non è detto. Siamo qui, in questo tempo e portiamo quello che abbiamo oggi. Come ad un festival.
Redazione