Il nostro sguardo su Todi Festival procede oggi con due interviste: Eugenio Guarducci, direttore artistico di Todi Festival, e Roberto Biselli, curatore della rassegna Todi Off. In linea con il titolo “Futuro Anteriore”, abbiamo posto domande sul passato, sul presente e sul futuro di questa iniziativa.
Eugenio Guarducci, architetto, è un imprenditore da anni impegnato nella ricerca di una dimensione culturale all’interno della produzione materiale. Da tre anni è stato chiamato a dirigere Todi Festival, ideato e fondato nel 1987 da Silvano Spada, direttore fino al 1998 e poi dal 2013 al 2015.
Lei si è occupato di enogastronomia, ha fondato una manifestazione come Eurochocolate, il suo percorso è sempre stato legato alla cultura della produzione materiale. Come si inserisce il teatro nel suo percorso?
La mia presenza in questo mondo è abbastanza curiosa, perché appunto provengo da quello della cultura materiale, dove mi sono sempre mosso con agevolezza, perché certe cose come il vino e il cibo ti entrano in bocca, le senti proprio dentro di te. Non perché l’abbia cercato io, ma perché mi è stato proposto di dirigere Todi Festival, sono entrato anche in questa dimensione di operatore culturale in senso stretto e ho cercato di portare dentro questo mondo il mio modus operandi che è la voglia di ricercare, di incuriosirsi del nuovo, mettere in campo tecniche di comunicazione che possono essere simili a quelle legate alla cultura materiale. Alcune cose sono servite come bagaglio da portare in questo altro settore. L’esperienza di Todi Off con Roberto Biselli è però una chiara testimonianza di quanto mi affidi alla competenza di persone di cui mi possa fidare, per avere da parte loro una sorta di accompagnamento. Ho bisogno di qualche “Virgilio buono” che mi accompagni in questo cammino, per cercare di fare al meglio.
Per lei questo è il terzo anno alla direzione di Todi Festival, che cosa pensa che sia cresciuto fino a oggi?
È cresciuto innanzitutto il rapporto di fiducia da parte della città, che nel frattempo ha cambiato amministrazione comunale e addirittura colore politico, quindi non era assolutamente scontato che un’istituzione che cambiava pelle riconfermasse quelle scelte operate poco tempo prima da parte di altri soggetti e altri interlocutori. Credo che questo sia molto importante, significa spero un apprezzamento sincero del lavoro fatto e non semplicemente qualcosa di dovuto come affermazione di una collaborazione. Il terzo anno per noi significa, chiaramente, avere più sensibilità e dimestichezza nell’affrontare un’eredità importante come quella lasciata da Silvano Spada: la nostra prima edizione coincideva con il trentennale di Todi Festival, dunque il primo anno era stato condizionato dalla sacralità di questo anniversario. La seconda edizione è stata quella che ci ha più consentito di cominciare a tracciare percorsi innovativi rispetto a certe tracce che abbiamo comunque mantenuto. Quest’anno possiamo dire, secondo me, che comincia a caratterizzarsi la nostra impronta, che continua a tenere conto di un passato lungo trent’anni, di cui recuperiamo il filo conduttore, però tentando di comprendere un nuovo corso in grado di affermarsi come un’esperienza di sincera novità.
Da imprenditore, di che cosa avrebbe bisogno il teatro per uscire da una marginalità o svecchiare la propria immagine?
Forse questo non riguarda solo il teatro ma anche altre arti, ma secondo me dovrebbe essere meno autoreferenziale e cercare di aprirsi anche a target nuovi, a linguaggi nuovi nella comunicazione, tentare forse anche di essere un po’ meno aristocratico e distante da quelli che sono i sentimenti di un pubblico che potrebbe essere ben più allargato rispetto a quello che oggi frequenta gli spazi teatrali. Probabilmente anche queste incursioni di persone provenienti da esperienze diverse, che possono portare contenuti di innovazione su livelli vari anche di comunicazione, possono servire a sdoganare il teatro italiano da certe incrostazioni, certe ruggini e un certo tipo di rapporto con il pubblico. Si può essere molto esperti nel conoscere la drammaturgia, i linguaggi, ma se non si hanno anche conoscenze, competenze e aggiornamenti in materia di comunicazione si rischia sempre di più di trovarsi confinati in una bella isola e di sentirsi dispersi.
Roberto Biselli è regista, attore, autore e formatore teatrale. Si è diplomato attore e regista nel 1979 alla “Bottega Teatrale” di Firenze e ha fondato nel 1985 Teatro di Sacco, di cui è ancora direttore. Oltre a molti progetti artistici e di formazione, cura dal 2017 la rassegna Todi Off, all’interno di Todi Festival.
In che modo il tuo percorso con Teatro di Sacco a Perugia è arrivato all’idea di Todi Off?
Teatro di Sacco, fin dall’inizio, ha rappresentato la costruzione di un progetto condiviso. Prima sono stato, per circa dodici anni, un attore di giro in Italia e ho sentito molto forte questo bisogno di ritrovare un rapporto con un territorio, in tempi in cui difficilmente si faceva. Volevo allora costruire con altri dei progetti che fossero locali ma non per questo minoritari, anzi che nel locale – citando il neologismo coniato da Naomi Klein, glocal – avessero una possibilità di riscontro più ampia. Su questa idea ho costruito un progetto professionale, uno scambio, un teatro, una rassegna, dei progetti di formazione, facendo in modo che si incontrassero tra loro. Tra i miei maggiori vanti c’è forse che praticamente tutte le realtà umbre che in questo momento stanno prendendo spazio nel territorio nascono da mie contaminazioni. Ed è un segno che questo progetto ha prodotto germi importanti. Devo purtroppo dire che questi progetti non sono mai stati a sufficienza supportati dagli enti locali. È inutile continuare a dire che la cultura può vivere da sola: occorrono risorse. L’Umbria ha scelto, molti anni fa, di investire solo sulle grandi manifestazioni, così la maggior parte del sostegno è andata ai poli di interesse turistico-culturale. Lo Stabile dell’Umbria era nato anche per creare rapporti, sinergie, ma per volontà esplicita del direttore non ha mai davvero cercato un legame con il territorio.
Todi Off, in maniera imprevedibile perché non è arrivato dagli enti pubblici, mi ha dato l’opportunità di dimostrare quello in cui credo: il pubblico non deve essere mai un solo pubblico che settariamente vede una cosa, ma deve sempre mescolarsi. Non credo esistano dei pubblici “militanti”, il buon teatro dovrebbe essere visibile e percepibile da tutti, indipendentemente dalla categoria. E questo è diventato Todi Off, il tentativo di far incontrare il pubblico con alcune istanze del teatro che sono fuori dalle vie più convenzionali e riconoscibili.
In questi primi due anni come ti sembra che stia procedendo?
L’anno scorso eravamo zero e non ti nascondo che eravamo tutti molto preoccupati, era un primo passo inedito. Soprattutto in un festival come quello di Todi, che forse aveva perso anche molto della propria identità storica ed era in una fase piuttosto calante. Invece c’è stata una grande sorpresa: tantissima gente di Todi è venuta incuriosita, tutti ci hanno chiesto di continuare. Le masterclass sono state di certo molto importanti nel creare un pubblico particolarmente attento: 40 ragazzi sempre lì, che popolavano i momenti di incontro. Si è creata una comunità all’interno del festival “ufficiale”. Anche il pubblico più restio si è avvicinato sempre di più nel corso della settimana, arrivando a un sold out completo con l’ultimo spettacolo, anche grazie al passaparola. Molti mi chiedono aggiornamenti sul programma di quest’anno. Questa mescolanza tra festival ufficiale e sezione off ha destato curiosità.
Rispetto alla prosecuzione del percorso, come immaginate di procedere?
È chiaro che il modello di Todi Off trova grandi riferimenti come Avignone o Edimburgo: attorno ai grandi festival si crea un retroterra in cui le persone possono incontrarsi e vedere lavori che magari sfuggono in stagione.
Io vorrei capire intanto che cosa vuole fare il Comune di Todi, che insieme all Regione è l’unico sostenitore ma che a oggi assegna l’incarico di direzione artistica su base annuale. Come sempre, nessun programmatore è in grado di programmare di anno in anno. Sto lottando per estendere questo mandato. Consideriamo che, da un punto di vista locale, il “brand” di Todi Festival appartiene ancora al fondatore Silvano Spada, quindi tutto deve passare attraverso di lui. Ma sto spingendo, con il sindaco, per intercettare un finanziamento dal MiBACT, per un festival che ha già più di trent’anni di storia. Avere una triennalità permetterebbe a me, qualora mi fosse confermata la cura di Todi Off, di chiamare le compagnie un anno prima, di poter programmare delle prime nazionali o dei progetti speciali. Addirittura potrei pensare a una programmazione annuale, che possa estendere almeno il lavoro formativo lungo tutto l’anno, con incursioni di artisti da tutta Italia. Ma, appunto, c’è bisogno di una progettualità organica e solida.
Redazione
Leggi tutti gli articoli su Todi Festival e Todi Off