Prosegue il nostro ciclo di interviste dedicate agli artisti programmati all’interno della rassegna Todi Off – Futuro Anteriore. Tropicana della compagnia FRIGOPRODUZIONI andrà in scena lunedì 27 agosto sul palco del Teatro Nido dell’Aquila. Abbiamo raggiunto al telefono Francesco Alberici, che di Tropicana ha curato la drammaturgia collettiva, per farci raccontare qualcosa del suo percorso e di questo lavoro, e la sua prospettiva sulle occasioni e sui limiti dettati dalle logiche del mercato teatrale.
Qualche battuta sul tuo percorso e sul lavoro che presenterai.
Ho frequentato la scuola milanese Quelli di Grock, la stessa dove hanno studiato anche i miei soci, Daniele Turconi e Claudia Marsicano. Dopo aver lavorato alcuni anni lì, ci siamo staccati dalla compagnia e abbiamo dato vita a un progetto che si chiama FRIGOPRODUZIONI. Il primo spettacolo che abbiamo realizzato è stato SocialMente e ha raccolto tanti buoni riconoscimenti. Nel frattempo abbiamo stabilito anche altri sodalizi artistici: Claudia ha incontrato la coreografa Silvia Gribaudi, io invece Daria Deflorian e Antonio Tagliarini, con i quali è nata una collaborazione che sta andando avanti su vari fronti; dell’ultimo loro progetto, Scavi, abbiamo firmato insieme regia e drammaturgia. Tropicana – frutto di un percorso davvero condiviso – è il nostro secondo lavoro come compagnia, esito di un percorso di ricerca di due anni e mezzo. In parte parla di una crisi di gruppo e di una difficoltà a comunicare, che sono poi le stesse che abbiamo incontrato a seguito del successo di SocialMente, legate alla precisa percezione di essere dentro un mercato, avvertendone addosso aspettative e dinamiche. La domanda fondamentale attorno alla quale ruota è: quanto è possibile mantenere un margine di libertà pur essendo consapevoli di operare dentro questi meccanismi?
Che cosa rappresenta la piazza di Todi Off per il tuo percorso artistico?
Intanto è una piazza che non conosciamo: è la prima volta che veniamo ospitati a Todi e la seconda in Umbria, dopo Strabismi a Foligno. Posso dirti quello che spero rappresenti: la possibilità di mostrare agli operatori il nostro lavoro che, nonostante i buoni riscontri, non ha avuto un’ottima circuitazione. La percepiamo quindi come un’opportunità di incontro con un diverso pubblico e con diversi operatori, oltre che naturalmente come un riconoscimento.
Che cosa pensi delle limitazioni anagrafiche che sempre di più caratterizzano le opportunità di produzione e circuitazione?
Penso che il limite under 35 sia “croce e delizia” di quelli che definirei tranquillamente i giovani artisti della scena teatrale italiana. Non posso negare che sia stata e sia un’ottima fonte per recepire risorse e date, per avere un po’ circuitazione. Allo stesso tempo, credo che si rischi di settorializzare una categoria teatrale che non esiste: non si può supporre, per le sole ragioni anagrafiche, una somiglianza di principi valoriali, linguaggi o ragionamenti. È davvero come se dicessi “tutti gli artisti tra i 50 e i 60 anni”, con l’aggravante che le giovani compagnie soffrono già di una scarsa inclinazione al confronto e il rischio in agguato è quello di negare ciò che si sostiene di voler creare, cioè di stimolare un’iper-competizione, là dove dovrebbero esserci un’apertura, un dialogo. Inoltre mi sembra che l’esistenza di queste possibilità “deresponsabilizzi” i teatri pubblici dal fare degli investimenti prospettici su una compagnia giovane della quale riconoscono il valore. L’ottica non è quella di favorire una crescita reale della compagnia perché c’è sempre la percezione di questa soglia dei 35, come di una scadenza.
Che cosa significa per te il termine OFF?
Non lo so, è un tipo di categoria che non mi viene naturale utilizzare. Credo che, a livello pratico, segni una differenza di risorse disponibili, ma penso che un artista di talento sia riconoscibile anche quando lavora in ambito off. Probabilmente, dal punto di vista delle dinamiche produttive, sono stato privilegiato dall’esperienza al fianco di Deflorian/Tagliarini che, pur operando nel circuito cosiddetto “on”, si sono sempre battuti su questioni come i tempi di prova. Non credo nelle produzioni strangolanti, sono convinto del valore del tempo e dello studio impiegato. E penso anche che si debba dire qualcosa solo se è strettamente necessario dirlo, a livello artistico. Non mi sembra neppure così meccanico che la prerogativa del teatro off sia una riflessione necessariamente più profonda, anzi spesso ci si perde dietro logiche molto modaiole. La mancanza di risorse non è un punto di vanto ma semplicemente un grande problema di sistema, che diventa più visibile quando ci si confronta con i meccanismi di altri paesi. A meno che non si scelga di rimanerci, l’off è un confino, causato dalla scarsa capacità del sistema teatrale di recepire i talenti.
Una considerazione sulla formula Futuro anteriore, titolo della rassegna
Sarà stato. Voglio pensarlo come una specie di augurio rivolto agli artisti che prendono parte alla rassegna. Mi sembra una formula predittiva di un tempo che conterrà un prima e un dopo, una causa e un effetto. Nel futuro ci sarà stato un passato.
Redazione