AstiTeatro: il premio Scintille agli Under 35 e il cartellone tra nuova drammaturgia e spettacoli che hanno segnato la storia della rassegna e del teatro italiano. Intervista a Emiliano Bronzino, direttore artistico
L’edizione 2018 di AstiTeatro ha festeggiato 40 anni di storia, il progetto della direzione è stato accolto quest’anno da istituzioni e finanziatori pubblici e privati all’interno della programmazione del Polo Astigiano per il Teatro di Ricerca e di Innovazione Contemporaneo (PATRIC). Tra i sostenitori anche la Regione Piemonte, la Fondazione Cassa di Risparmio di Asti, la Fondazione CRT e MIBACT e, quello maggiore, la compagnia di San Paolo che l’ha selezionato con un contributo di 120.000 euro, insieme ad altri 48 progetti, “per qualità artistica, cooperazione, sostenibilità gestionale ed economica, capacità di concepirsi attori costanti nella crescita del territorio degli individui e della comunità, unitamente alla presenza di una coerente strategia pluriennale proiettata verso il futuro”. A dirigere la quarantesima edizione è il regista Emiliano Bronzino, classe 1974, al suo secondo anno dopo il biennio affidato a Pippo del Bono (che di fatto ha curato una sola stagione), ereditando 11 giorni di festival, 15 spazi di spettacolo, tra ex chiese e luoghi pubblici, e più di 50 appuntamenti che hanno contato almeno 150 protagonisti sul palco.
Diamo ancora di più i numeri. Più di 10.000 spettatori, 500 persone al concerto iniziale dell’Orchestra di Piazza VIttorio, più di 1000 persone solo nelle prime ore della Maratona Alfieriana, più di 1.800 spettatori per le due serate di Scintille, il concorso rivolto alle compagnie teatrali under 35 finalizzato alla produzione di uno spettacolo da promuovere sul territorio nazionale. Di cosa si compongono due anni di direzione artistica?
Sono due le strategie che sto cercando di portare avanti, la prima è la rimodulazione dell’offerta propria del territorio astigiano tramite il progetto PATRIC, che coinvolge una serie di soggetti e che prevede sotto la mia direzione un coordinamento di proposte differenti ma con comune denominatore riassunto nel suo acronimo: Polo Astigiano per il Teatro di Ricerca e Innovazione Contemporaneo.
Questa scommessa mi ha permesso di creare delle strategie di audience strategies a tutto tondo, distribuite a partire dal periodo invernale a quello estivo, mi ha permesso di conoscere i pubblici locali e strutturare la programmazione in base alla domanda calibrata sulle loro aspettative. Il Festival oggi presenta un cartellone di attività per tutte le fasce di pubblico, è composto da opere di valore artistico e di interesse diversificati. L’altra strategia, quella più specifica riguardante la direzione artistica, prevede da una parte l’offerta di un cartellone che abbia prima di tutto riconoscibilità, privilegiando una questione drammaturgica contemporanea, in cui gli interpreti sono autori di ciò che mettono in scena o in cui i drammaturghi scrivono specificatamente per degli interpreti. Dall’altra parte, la ricerca di quegli spettacoli che hanno una diffusione difficile sul territorio piemontese e l’offerta di un cartellone che guarda non soltanto al pubblico astigiano ma in generale al pubblico di tutta la regione. Questa specificità della proposta è stata riconosciuta dalla critica, che ha premiato la maggior parte degli spettacoli che presentiamo e ci ha permesso di raccontare il Festival a livello nazionale.
Asti non è un piccolo borgo, il pubblico di una città medio grande ha anche l’occasione di non cristallizzarsi intorno al festival e soprattutto, a poca distanza, capitali culturali come Milano e Torino.
Chiaramente se si decide di allestire un festival in un piccolo borgo, si struttura la città intorno a esso. Asti è una città medio grande, di fatto mentre c’è il teatro in forma di festival, si svolgono in contemporanea tutta una serie di altre attività. Ad ogni modo, però, questa particolare situazione riesce a permettere un ragionamento a più ampio spettro: non è semplicemente il festival di una cittadina molto piccola, come può essere un esempio quella di Castrovillari, con una proposta che cuce intorno a sé tutte le attività della città per quel periodo. Non ha la portata delle proposte torinesi come quella del Festival delle Colline, con una programmazione che risponde a delle esigenze nazionali, ovviamente, ed è all’interno di un contenitore come la città di Torino, con una possibilità di pubblico sicuramente più ampia di Asti e dei territori limitrofi. Asti ha certo un pubblico locale ma permette di incrociare la risposta più ampia di coloro che vengono da fuori. Siamo una terra di mezzo con delle specificità che sto cercando di riconoscere ed evidenziare.
La Chiesa del Gesù, lo Spazio Kor (un’altra chiesa barocca sconsacrata di San Giuseppe) e il Diavolo Rosso, un cortile/una piazza di incontro; la Cascina del Racconto, Palazzo Michelerio, Palazzo Ottolenghi e gli spazi della Biblioteca Astense rivelano di Asti Teatro una particolarità fondamentale: il teatro non si fa nel luogo preposto alla sua realizzazione.
Di fatto, soltanto lo spettacolo di Paolo Rossi quest’anno, previsto a Palazzo Michelerio, è stato fatto spostare al Teatro Comunale per questioni tecniche e di numero degli spettatori. Tendenzialmente cerchiamo di offrire alla città un festival che viva dei luoghi della città stessa. Questa, a metà tra una piccola città e una città grande, deve aprirsi a tutti i cittadini. Se fai una programmazione all’interno di un teatro, significa che stai strutturando il cartellone all’interno di uno spazio settoriale e che, involontariamente, esclude un pubblico che non gli è mai appartenuto per le ragioni più disparate.
Per di più noi abbiamo una seconda specifica, lo Spazio Kor: io sono direttore della stagione invernale, parte integrante del progetto PATRIC il cui compito è fare un lavoro di audience development e audience engagement che si estende a tutto l’anno portando a teatro quel pubblico che altrimenti a teatro non andrebbe, lo stesso che d’estate segue il festival, tanto è vero che le offerte artistiche della stagione estiva e del Kor sono abbastanza limitrofe. La differenza fondamentale è che questo spazio fa un lavoro multidisciplinare, quindi annette al teatro la disciplina della danza, il cinema e l’offerta musicale mentre il festival specificatamente resta sulla prosa. Lo stesso vale per il Diavolo rosso che fa prevalentemente musica nella stagione invernale e viene utilizzato in estate per Asti Teatro. La Chiesa del Gesù, invece, è collegata al museo dei fossili di Asti quindi di fatti mantiene la sua identità di spazio museale, allestito e adibito a contenere gli spettacoli.
Tra uno spettacolo e l’altro delle vere e proprie migrazioni di pubblico. Nello stuolo di “maratoneti spettatori” hai riconosciuto il comportamento e l’interesse specifico che divide i giovani dai meno giovani?
Noi lavoriamo tantissimo sui pubblici più giovani, i numeri di questo festival si sono sommati in base a loro, alla fascia tra i 20 e i 40, perché sono quelli su cui si è concentrato il progetto del Polo Astigiano. Ma quest’anno ha caratterizzato la pluralità dell’offerta, dunque il vero e proprio ampliamento, l’aver coinvolto pubblici differenti proponendo in cartellone gli spettacoli che hanno fatto la storia recente del teatro italiano e che hanno debuttato proprio qui, da Eugenio Allegri a Danio Manfredini, passando per Emma Dante, Roberto Latini, Gianfranco Berardi, Paolo Rossi, Vetrano e Randisi, Umberto Orsini, solo per citarne alcuni. Questi nomi hanno coinvolto un pubblico più maturo, anche se costretto a correre per la città da un appuntamento all’altro; a me è sembrato un tutt’uno di voci commosse e appassionate ed è nel pubblico che troviamo la voglia e la forza di continuare (ndr. su La Stampa, Carlo Francesco Conti parla di “rinnovata consapevolezza”).
Abbiamo parlato al passato mantenendo gli occhi puntati sul futuro. In merito al premio Scintille, il concorso rivolto a compagnie teatrali under 35 finalizzato alla produzione di uno spettacolo da promuovere su territorio nazionale: qual è lo stato delle compagnie attuali e quale la direzione del nuovo teatro?
Quest’anno abbiamo molto sperimentato sul premio Scintille. Il premio è alla nona edizione, promosso e realizzato dal Teatro Alfieri di Asti in collaborazione con Tieffe Teatro di Milano e la Fondazione Piemonte dal Vivo. È un premio molto ambito, la compagnia selezionata circuiterà con un cachet fisso stabilito a 1500 euro (omnicomprensivo di scheda tecnica e aiuti su piazza), per questa edizione abbiamo avuto 135 domande. La sperimentazione 2018 sta nell’inserimento di una tematica, questo ha portato che ci fosse meno innovazione dei codici linguistici e maggiormente un’attenzione ai contenuti da mettere in scena. Detto questo i due vincitori di quest’anno sono uno teso verso un nuovo ordine del linguaggio (Lybia back home di La Ballata Dei Lenna) e l’altro più fortemente concentrato sulla tematica assegnata, con una drammaturgia (Schifo di Two little mice). Dunque la scena degli under 35 è molto viva se 135 compagnie sono disposte a presentare 20 minuti strutturati del proprio spettacolo all’interno di un premio, significa che hanno delle capacità produttive che vanno aldilà dell’interesse per il mero contributo economico che riceveranno (ndr. 8mila euro e la possibilità di rappresentare lo spettacolo finito nelle stagioni teatrali 2018/2019 di Asti e del Teatro Menotti di Milano).
Proprio questa caratteristica lo differenzia da molti altri premi diretti a quella fascia anagrafica: principalmente è un premio alla produzione, molto sono valutate le capacità organizzative e produttive e il fatto di poter circuitare in toruneé non è semplicemente un premio a un valore artistico ma principalmente un impegno al supporto degli artisti.
Francesca Pierri