Continua il focus dedicato agli artisti del festival Fuori Programma: il prossimo 21 luglio al Teatro Vascello andrà in scena sulle musiche dell’opera omonima di Schubert, La morte e la fanciulla, balletto all’interno del quale si trovano “tre giovani figure femminili sul crinale di un confine oscuro tra sessualità e morte”. Intervista ai coreografi Michele Abbondanza e Antonella Bertoni.
Ci parlereste de La morte e la fanciulla e di come questo spettacolo si colloca all’interno del vostro percorso artistico?
La morte e la fanciulla si inscrive in un percorso di indagine di scrittura coreografica partendo da una composizione musicale che fa da motore trascinante dell’opera. Abbiamo iniziato a comporre questo spettacolo un po’ come avviene per il balletto, come l’accezione più classica vuole, a partire dalle musiche e considerando la danza come una loro derivazione. È la prima volta che lavoriamo in questo modo. Abbiamo scelto questo Quartetto in Re minore di Schubert, un sogno che da anni avevamo nel cassetto: è una musica che troviamo di straordinaria potenza. Questo progetto di lavoro prevediamo duri circa tre anni per arrivare a tre diverse creazioni: La morte e la fanciulla, Erectus (2018) e Pelleas e Melisanda (2019). La morte e la fanciulla è stata il primo passo. Michele ed io abbiamo sempre avuto nel nostro approccio all’opera artistica particolare attenzione per l’aspetto drammaturgico; in questo caso, essendo in qualche modo la musica a trascinare e diciamo a formare i movimenti, sentiamo di essere arrivati in maniera naturale a un’astrazione che percepiamo possa essere anche poetica. Poi la composizione musicale nel suo insieme è portatrice di un tema, in questo caso il titolo già dice molto: Schubert scrisse La morte e la fanciulla in un momento in cui sapeva di essere in fin di vita e la sua musica ne ha logicamente risentito. La presenza della morte, del “finire”, è il grande tema di questo spettacolo con cui ci siamo misurati e che ha determinato la drammaturgia e gli aspetti più teatrali, senza tradire l’intenzione di partenza che era quella di far diventare i corpi dei danzatori dei corpi musicali.
Dunque, rispetto alla vostra storia legata al teatro-danza, sembra intravvedersi non tanto un allontanamento dal genere, quanto un diverso punto di partenza identificato nella drammaturgia musicale più che in una di carattere letterario.
Sì, esattamente. Poi comunque abbiamo avuto la fortuna di scegliere tre danzatrici che gravitavano attorno alla nostra compagnia da molto tempo, danzatrici di cui conoscevamo molto bene l’approccio, la gestualità, il carattere e lo stile; tutto ciò era assolutamente fondamentale per un lavoro di questo genere. Così è nato La morte e la fanciulla, che potremmo definire il nostro primo balletto, non nel senso di balletto classico, ma nel senso di essere giunti a un risultato anche di pura forma.
Come e quanto è in grado di parlare al presente il linguaggio della danza contemporanea?
La danza contemporanea per sua stessa accezione dovrebbe parlare del proprio tempo e al proprio tempo. Quando si fa qualcosa “contemporaneamente”, significa farlo negli stessi tempi: questo dovrebbe essere un punto di riferimento imprescindibile. La cosa straordinaria è che stiamo parlando di un’opera musicale scritta circa 200 anni fa e che ha ancora un’attualità incredibile. Con Antonella ricordo che quando eravamo in giro per il mondo, sto parlando degli anni Ottanta, ascoltavamo questo quartetto per archi sempre col desiderio di farne una danza. Ora che siamo riusciti a metterlo in scena lo osserviamo come un lavoro particolare rispetto alla nostra solita modalità coreografica, perché nonostante ci siano delle zone molto teatrali tra un pezzo e un altro, le parti musicali sono molto danzate e molto astratte. Forse però proprio perché abbiamo utilizzato un linguaggio contemporaneo, arriva al giorno d’oggi l’attualità e la freschezza della musica di Schubert; facendo attenzione appunto che “contemporaneo” significa anche e soprattutto sensibilità verso ciò che ci circonda. Raccontare il proprio tempo attraverso forme e linguaggi, suoni, colori, luci, musiche che siano innanzitutto creative, originali ma attenzione: ciò che rende una cosa nuova non è il tipo di fonte o gli anni in cui è stata fatta ma quel che ci metti dentro, la presenza di una scintilla particolare quando la crei. Ecco che, se si riesce a far scattare questa scintilla, il cuore e l’occhio dello spettatore in qualche modo sentono la possibilità di tendere e attingere a una cosa “mai vista”, attraverso quella compresenza che lega quel che succede in scena a quel che succede in platea.
Cosa ne pensate del panorama attuale del sistema danza?
Noi siamo sempre più un incrocio fra orsi delle montagne ed eremiti! Probabilmente ci sentiamo tali anche perché abbiamo la necessità di depositarci per creare, in questo mondo che invece è una sollecitazione continua, di qua, di là, con la difficoltà di fermarsi a ragionare e andare nella profondità delle cose. Siamo fortunati perché viviamo in Trentino dove l’amministrazione comunale di Rovereto ci permette di essere in residenza in un teatro, il Teatro alla Cartiera. Abbiamo un luogo ideale dove poter lavorare, un ufficio con delle collaboratrici straordinarie alle quali abbiamo potuto dare in mano negli anni praticamente tutta la gestione amministrativa e organizzativa, e questo ci ha consentito di andare a salvaguardare quella concentrazione e quel rallentamento necessario che secondo noi la creazione ti impone. Siamo di generazione novecentesca e abbiamo una visione dello stare in sala prove di un certo tipo, per esempio soffriamo nel dover produrre tante cose che poi non vivono, vengono poco replicate… Veniamo da un tempo in cui ci si concentrava su progetti che avevano una gestazione anche di due anni prima di poter schiudersi e darsi allo sguardo del pubblico. La creazione ha bisogno di un tempo di ricerca. Tornando alla domanda, quello che possiamo sentire intorno a noi è di essere un po’ soli, non ci sono altre compagnie di danza riconosciute dal MiBACT nella nostra regione; non come, per esempio, in Toscana dove proliferano molte realtà come la nostra e, come sappiamo, l’unione fa la forza! Quel che osserviamo è che c’è un fermento di nuove generazioni che sembra vivo e prolifico e questa non può che essere una grande gioia, ma siamo in un sistema in sofferenza e se mi guardo indietro a quando abbiamo iniziato, a tutto il nostro cammino, mi accorgo che è sempre stata dura. Chi fa teatro-danza o comunque ricerca in campo artistico qui in Italia è sempre al fronte, in battaglia. Persino chi fa ricerca scientifica è in sofferenza e deve andare via. Va bene così, viviamo in un paese bellissimo, portatore di bellezza e abbiamo un grande privilegio: vivere e condividere la nostra passione, il teatro.
Il vostro spettacolo verrà presentato all’interno di questa rassegna dal titolo “Fuori programma”. Che significato ha per voi questa espressione?
È un bel titolo, ci rimanda a tutto quello che è “fuori”, richiama la sregolatezza, quel che non è incasellabile. Trovo geniale allora chiamare un festival così, è quasi un ossimoro, qualcosa di fuorviante dalla retta via. Essere fuori norma è qualcosa che assolutamente appartiene all’essenza dell’arte e del creare. È uno scarto di lato e contemporaneamente questa espressione rimanda e invita a una ricerca più profonda, fuori e lontana dal piccolo “sé”. Quindi siamo contenti di essere qui e speriamo di contribuire a un Fuori programma strepitoso.
Redazione
LA MORTE E LA FANCIULLA
prima romana Teatro Vascello 21 luglio 2018, h 21
Compagnia Abbondanza/Bertoni (IT)
regia e coreografia Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
con Eleonora Chiocchina, Valentina Dal Mas, Claudia Rossi Valli
musiche F.Schubert, La Morte e la Fanciulla
luci Andrea Gentili
video Jump Cut
produzione Compagnia Abbondanza Bertoni con il sostegno di MIBACT Direzione Generale Spettacolo dal Vivo, Provincia Autonoma di Trento – Servizio Attività Culturali, Comune di Rovereto, Assessorato alla Cultura, Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto
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