Per conoscere meglio il progetto ArtCity 2018 abbiamo intervistato la direttrice del Polo Museale del Lazio, Edith Gabrielli e la curatrice delle sezioni di teatro e danza, Anna Selvi.
ArtCity 2018 è una lunga iniziativa multidisciplinare, organizzata dal Polo Museale del Lazio e dal MiBACT, e coprirà durante tutta l’estate il territorio regionale, soprattutto con le rassegne dedicate alle arti performative “In scena” e “I bambini e ArtCity”, mentre a Roma gli eventi teatrali e coreutici si concentreranno a Palazzo Venezia con il “Giardino Ritrovato”. Abbiamo raggiunto la direttrice del Polo, Edith Gabrielli e la curatrice delle sezioni di teatro e danza, Anna Selvi per una conversazione sulle possibilità che possono scaturire da un progetto in grado di ospitare lo spettacolo dal vivo in luoghi storici.
Associare la conservazione della memoria culturale materiale dei musei e la componente effimera del qui e ora di teatro, danza e musica: dopo una prima sperimentazione del 2016, questa è la seconda volta che, con ArtCity, il Polo Museale del Lazio ragiona in questa direzione in ancora più puntuale equilibrio tra centro e periferie. Quali sono le strategie utilizzate per portare avanti questo ragionamento?
E. G. Nel marzo 2015 sono diventata Direttore del Polo museale del Lazio che è un istituto del ministero divenuto operativo proprio in questa occasione e che gestisce 46 musei tra Roma e Lazio. Alcuni celeberrimi in tutto il mondo come il Vittoriale e Castel Sant’Angelo, altri, come il Palazzo Farnese di Caprarola, ugualmente importanti dal punto di vista storico artistico, ma sicuramente meno noti al grande pubblico, soprattutto locale. L’idea era quella di provare a raggiungere i newcomers, cioè le persone che nei nostri musei non sono mai entrate, il secondo obiettivo era far tornare loro e gli altri, facendo diventare il museo come una realtà presente nella vita delle persone.
Partendo da questa idea e dall’evidenza di come in estate le persone siano più propense a fare attività che altrimenti non farebbero, abbiamo voluto creare delle esperienze su misura all’interno dei musei. La prima sperimentazione è stata fatta con alcuni progetti pilota, come dice giustamente lei, nel 2016. Volevo verificare se la formula funzionasse, capire se il pubblico fosse pronto non tanto alle arti performative, quanto alla sperimentazione. Per me un istituto statale deve essere una sorta di laboratorio. I risultati del 2016 sono stati molto confortanti e dunque è nata la prima edizione di ArtCity 2017 che ha coperto già tutto il Lazio.
Io miro a lavorare tutto l’anno con le comunità locali. Non si può pensare di gestire delle proprietà statali soltanto nel momento culmine degli eventi o senza lavorare con i rappresentanti di quelle comunità. Le esperienze di lavoro che ho portato avanti in Piemonte mi hanno trasmesso quest’impostazione e adesso davvero vedo come le comunità stiano iniziando a reagire. L’onere del finanziamento di questa iniziativa pesa integralmente sul Polo Museale ma stiamo già avviando altri progetti pilota di sinergia più stretta, come a Palestrina o a Sora, che pur non avendo nel comune un nostro bene lavora comunque con noi. Tuttavia, è fondamentale ribadire come un progetto amministrativo debba riflettere un progetto culturale, altrimenti rimarrebbero solo parole.
Rispetto la scelta degli spettacoli che tipo di percorso è stato fatto dal 2016 a l’edizione attuale?
A. S. Il primo anno abbiamo inaugurato la rassegna dentro Palazzo Venezia con il Giardino ritrovato, dove abbiamo invitato dei premi Ubu, il pubblico ha risposto benissimo, anche rispetto a quegli spettacoli per i quali poteva non avere una preparazione. L’anno scorso oltre al Giardino ho curato Sere d’arte a Castel Sant’Angelo. Quello è uno spazio diverso, il palco è molto piccolo, per cui abbiamo potuto fare per lo più dei concerti delle conversazioni condotte da Antonio Audino con alcuni autori, dunque, avendo sempre in mente l’idea del luogo in cui presentare degli eventi. Quest’anno il cambiamento significativo è stato di estendere gli eventi dedicati al teatro e alla danza in tutto il Lazio e pensando anche a una sezione per bambini. Il direttore mi ha chiesto di fare un lavoro sul territorio che ha necessitato di un sopralluogo in tutti i siti che mi aveva indicato e alla fine ne abbiamo selezionati 23. Questa è una cosa che ho sempre fatto, anche quando lavoravo all’ETI, bisogna capire gli spazi, i teatri, capire cosa può offrirti un museo, un’abbazia o un’area archeologica.
Quando ad esempio sono andata al Monastero di Santa Scolastica, un luogo di clausura che si trova a Subiaco, ho pensato subito a Mariangela Gualtieri che con le sue poesie e la sua dolcezza mi è sembrata perfetta, e lei entusiasta ha accettato e porterà lì Bellomondo, un “rito sonoro” accompagnato dal violoncello di Stefano Aiolli. A Caprarola, dentro il Palazzo Farnese era impossibile montare alcun palco dunque ho pensato allo spettacolo della Compagnia Lombardi Tiezzi, L’apparenza inganna di Thomas Bernhard: useranno due splendide sale affrescate che verranno attraversate da un atto all’altro dal pubblico.
Alcuni posti è vero che sono davvero difficili da raggiungere, però ne vale la pena. Ad esempio, raggiungere e presentare uno spettacolo a Arpino richiede un po’ di impegno: anche lì sarebbe stato impossibile montare alcunché però sarebbe stato un peccato non presentare nulla sotto la magnifica Torre di Cicerone; così abbiamo pensato a Pasticceri, io e mio fratello Roberto di Leonardo Capuano e Roberto Abbiati. Mentre fanno lo spettacolo cucinano dei dolci che poi distribuiscono al pubblico, accompagnati da delle musiche meravigliose che arrivano a tutti. O a Civita Castellana abbiamo organizzato due giorni nel Museo Archeologico dell’Agro Falisco con due spettacoli di gruppo nanou e della compagnia Stalker. Nel viterbese c’è una colonia di mondo tangueiro, e i nanou faranno uno spettacolo di danza contemporanea che poi diventerà una milonga: tutta la comunità di spettatori godrà lo spettacolo e poi potrà ballare il tango dentro monte San Gallo. Lo scorso weekend a Vulci è stato un successo il connubio Virgilio Sieni-Bach, ma non sempre è possibile, bisogna variare il tipo di offerta.
Ragionando in termini di fruizione, quali ricadute positive avete pronosticato in termini di presenza di pubblico? Quale target?
E. G. Il museo è un luogo in cui si fa cultura e se non è per tutti non risponde a quelli che per me sono criteri imprescindibili rispetto al suo ruolo. Quest’idea della funzione sociale del museo ha una forte matrice italiana, sviluppatasi negli anni Settanta e adesso mi fa piacere che negli Stati Uniti si torni a parlare di museo partecipativo, della sua funzione sociale. Io in quanto museologa mi occupo di studiare il comportamento dei visitatori e soprattutto dei non visitatori dei musei, che sono come sempre uno degli obiettivi di chi fa il mio mestiere. In generale il Polo Museale viaggia sui 14 milioni di spettatori l’anno nel complesso, dunque le 600,000 presenze di ArtCity 2017 sono state un numero molto consistente.
Il Polo è giusto che ragioni, rispetto questi grandi numeri, con le mani di un gigante, però per fare cultura essere pronto a fare lavori di precisione – le mani da orologiaio – per raggiungere davvero tutti. Da qui derivano, in ArtCity 2018, la tensione ai bambini, agli utenti con esigenze specifiche – cioè a quelle persone con percezioni diverse a cui noi vogliamo comunque rispondere – e non da ultimo l’invasione del territorio! Questa è la cosa a cui tengo di più, abbiamo 75 iniziative su tutto il Lazio, con tre rassegne: due di teatro e danza, di cui una è rivolta ai bambini (In scena e I bambini e ArtCity) e una alla musica (In musica). Noi abbiamo ampliato molto l’offerta ma mettendo dei paletti. Non ha senso attrarre le persone dentro i musei tanto per farcele entrare; la vera cultura “spacca”, se non c’è fiducia e se si cercano troppi surrogati è inutile farli entrare. Innanzitutto, dunque, bisogna preservare i luoghi, rispettare il rigore scientifico che per me è imprescindibile, perché la conoscenza è alla base di tutta la nostra attività, e quindi la qualità artistica. Naturalmente quest’ultima passa attraverso l’enorme sforzo organizzativo che noi facciamo perché gli artisti si possano esprimere, perché dobbiamo garantire che gli spettacoli possano esser portati in scena con tutto ciò che serve.
Alcuni artisti verranno ospitati in residenza, pratica di supporto alla creazione sempre più fondamentale: anche in questo caso quale rapporto si è instaurato tra artisti e luoghi, e quali sono le modalità di sinergie con le amministrazioni locali?
E. G. Io sono una storica dell’arte, una museologa, ma anch’io capisco l’importanza delle residenze! Quando mi è stato proposto da Anna Selvi ho aderito entusiasticamente, perché nella nostra visione queste residenze sono state concepite per creare un forte legame con quello che troppo genericamente viene definito territorio, che io invece preferisco chiamare comunità locale. Penso che Nemi, Sperlonga, Oriolo, possano davvero ricevere una grande carica dagli artisti che le abiteranno.
Le residenze sono concepite con lo scopo di trascinare dentro la comunità locale. L’Accademia degli Artefatti, ad esempio, dal ‘94 lavora sul territorio, avendo dei referenti anche nei piccoli paesini che gli permettono di essere attrattivi anche per le giovani leve. Per dare qualche numero: abbiamo ricevuto 120 candidature, al momento abbiamo aperto 25 posizioni, forse ne riusciremo ad aprire altri 5, anche se nel frattempo stanno arrivando altre candidature!
Le altre due sono curate una dal Teatro del Lemming che riprenderà anche un loro storico spettacolo, Odisseo, tra l’altro a Sperlonga all’interno della Villa di Tiberio, in una zona che storicamente viene definita la Riviera di Ulisse! Se posso spendere due parole su questo museo, durante dei lavori stradali degli anni Sessanta furono scoperte delle straordinarie sculture, addirittura firmate dagli artisti, i politici avrebbero voluto spostarle nei musei romani ma le donne di Sperlonga si opposero e vollero che quelle opere rimanessero nel loro territorio e dunque fu costruito un museo per conservare questi pezzi. Queste donne ne sapevano più loro di museologia che chiunque voleva specularci attorno. La scelta di questo tipo di residenza, visto il tema, è particolarmente calzante. In questo caso la residenza è aperta al pubblico che può entrare e osservare il lavoro di compagnia nella fase di costruzione e di allestimento nello spazio. La terza residenza condotta da Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari è un laboratorio di rielaborazione di elementi autobiografici aperto non solo a non vedenti o ipovedenti ma anche a chiunque lo desideri e il cui esito confluirà in I figli della frettolosa, che verrà presentato assieme al suo spettacolo Il provo a volare – omaggio a Domenico Modugno.
Pensate che questo rapporto col territorio possa presentare una serialità invece che una parentesi estiva?
A. S. Chiaramente, la scelta di un’eventuale prosecuzione è del direttore Gabrielli, tuttavia ci sono dei luoghi in cui sarebbe possibile continuare dei progetti in inverno. Ad esempio, per I bambini e ArtCity abbiamo scelto tutti degli spazi che possiamo vivere all’interno. Per ora si lavora con le famiglie ma tra ottobre e novembre il progetto proseguirà assieme con le scuole. Gli altri vedremo.
Ritornando a parlare delle residenze, quella di Arcuri a Oriolo, per esempio, è la prima tappa di un progetto che durerà quattro anni assieme a ERT, Storia del teatro in volumi, e da noi comincerà dal teatro greco. La residenza è aperta a tutti: studenti, attori, danzatori, cantanti; verranno fatte due aperture “ufficiali”, ma ogni giorno chiunque può andare ad assistere. La seconda compagnia coinvolta nelle residenze è il Teatro del Lemming, che presenterà un suo storico spettacolo, Odisseo, per 33 spettatori a volta, e contemporaneamente, per una settimana il suo laboratorio su I cinque sensi dell’attore; anche questo, come pure quello di Berardi-Casolari, sarà aperto a tutti. Il loro sarà uno spettacolo itinerante, e giungerà fino al mare partendo dal bellissimo museo da cui pure si vede la costa, si percorrerà poi una dolce discesa per arrivare agli scavi archeologici fino ad arrivare alla grotta di Tiberio che è sul mare.
Alcuni spettacoli di ArtCity sono site specific, di cui mi piacerebbe che mi raccontasse la genesi.
E. G. Tutti gli spettacoli della rassegna sono fatti su misura. È una precisazione importante perché questo è un progetto pensato per i musei, non vogliamo fare concorrenza ai teatri. La scelta degli spettacoli è stata frutto anche di un lungo dialogo con gli artisti per capire quali fossero quelli più adatti rispetto i luoghi. Alcune opere sono proprio state pensate per determinati luoghi, come per quello di Formia, un museo di piccolissime dimensioni all’interno del palazzo comunale che ha una collezione di sculture dal punto di vista archeologico di altissimo livello e che ospiterà l’esperienza di teatro immersivo Parole dal museo, metamorfosi e altre storie con Marco Cavalcoli e Lorenzo Gioielli. Un altro spettacolo pensato appositamente è il Prélude à l’après-midi d’un faune di Daniele Cipriani presso il Museo di Ardea dedicato a Manzù, scultore che ha passato parte della sua vita lì e ha lasciato una selezione della sua collezione proprio al comune. Tra l’altro Manzù stesso si era occupato delle scene di un allestimento proprio del Fauno.
La presenza delle performing arts all’interno degli spazi museali è ampiamente esperita dal secondo Novecento in poi, tuttavia tale abitazione fruttuosa in Italia fa fatica ad attecchire come pratica comunemente condivisa, se non che come giustapposizione di due prodotti culturali separati o come qualcosa che ha sapore di novità. Quali sono alcune motivazioni e quali delle possibili soluzioni?
E. G. Io credo che sia ancora una volta un fattore culturale, una certa abitudine a dare etichette e generalizzare e dividere invece io sono profondamente convinta che l’arte è una e le istituzioni non giovano tantissimo all’arte stessa, quelle le trovo sì un po’ burocratiche. Anche la pittura può essere considerata tutto sommato un’arte performativa perché diventa vera soltanto nel momento in cui lo spettatore la guarda, anche quella è un’esperienza unica. Credo che questa difficoltà sia data da una certa resistenza e a concepire il museo solo come luogo della conservazione. Dunque, se io lo scopro come luogo sociale, come luogo in cui la comunità si ritrova, quindi non c’è niente di più naturale che le arti performative entrino nei musei!
Viviana Raciti