Un principe è la rilettura dell’Amleto della compagnia umbra Occhisulmondo e andrà in scena all’interno del cartellone di Todi Off – Futuro Anteriore il 29 agosto, sul palco del Teatro Nido dell’Aquila. L’intervista al regista Massimiliano Burini è la prima di un ciclo di sette, attraverso il quale ci proponiamo di raccogliere le testimonianze e le riflessioni degli artisti programmati in rassegna attorno a questioni vive e controverse della scena teatrale contemporanea.
Qualche battuta sul tuo percorso e sul lavoro che presenterai.
Il mio percorso si sintetizza all’interno di quello della compagnia Occhisulmondo. Dopo una fase formativa “classica”, in regia e recitazione, ho deciso di staccarmi dall’ambiente accademico perché volevo indagare un qualcosa che avevo dentro, che era stato anche portato a emersione dai suggerimenti ricevuti da alcuni maestri. Occhisulmondo è stato l’habitat che mi ha offerto la possibilità di portare in scena delle riflessioni – sulla drammaturgia e sull’arte dell’attore – e dieci anni dopo siamo ancora un gruppo fisso che affronta (e in qualche modo “forza”) delle dinamiche di ricerca. Un principe, in questo senso, è un lavoro emblematico e si situa come apice della nostra ricerca sull’attore: si tratta di uno spettacolo in cui si sintetizza un percorso di indagine di nove anni, gli interpreti ci sono “cresciuti dentro”, esprimendosi credo al massimo delle proprie capacità. Sono cosciente di aver chiesto loro molto, nel dettagliare di continuo ogni piccola parte fisica e vocale ma soprattutto nella “parte di dono” propria del mestiere dell’attore. In verità riscrivo spesso le note di regia, perché loro fanno in modo che io possa: ad ogni replica affiorano aspetti nuovi, non nella struttura ma nella tensione.
Che cosa rappresenta la piazza di Todi Off per il tuo percorso artistico?
Sono molto contento che saremo a Todi. Questo spettacolo non ha mai, prima di adesso, trovato un festival nazionale dentro il quale essere presentato, e questa è una cosa molto strana. Ha avuto una bella occasione nel 2014, quando Stefano Cipiciani ci ha proposto di inserirlo – un elemento un po’ eccentrico, quasi uno “spettacolo dono” – dentro la vetrina nazionale del Teatro Infanzia. Poi ha avuto una buona programmazione, in Umbria e nei circuiti del teatro infanzia, ma mai una presentazione in un festival dedicato al teatro contemporaneo quindi spero possa essere finalmente visto e discusso su un livello più ampio. Ritengo sia un lavoro coraggioso perché tiene insieme l’impianto da grande produzione con una vocazione alla ricerca continua. Questa offerta da Todi Off è la condizione perfetta, nella situazione perfetta: per me è un nuovo debutto.
Che cosa pensi delle limitazioni anagrafiche che sempre di più caratterizzano le opportunità di produzione e circuitazione?
Ritengo si possa parlare a tutti gli effetti di uno scontro, tra la proposta ministeriale e la realtà oggettiva del mercato italiano: l’età non è un elemento utile a definire una produzione, altrimenti andiamo verso la meccanica dei talent scout. Questo è un sistema che crea orfani: c’è una “zona limbo” (quella del praticantato artistico sottopagato under 35) e, oltre questa soglia, quando dovresti camminare da solo, il nulla perché chi ha investito su di te ora sta cercando altri under 35 per il prossimo triennio. Le strutture che dovrebbero essere propulsive stanno solo usando la riforma per risparmiare sui costi, e le produzioni che potrebbero essere “palestre” per questi giovani spesso si rivelano essere costruite per raggiungere un risultato per lo stabile, senza realmente investire sul percorso formativo dell’interprete. Parliamo di due istanze completamente differenti, che si tenta di forzare e far correre sullo stesso binario. Questa è la fotografia del fallimento della riforma e la dimostrazione che il mercato non può essere aperto utilizzando queste modalità. La vera riforma consisterebbe nella rottura del meccanismo, ormai ammuffito, dello scambio che crea un circuito chiuso: un limite dato dalla legge stessa, che chiede ad un teatro di essere produttore e di fare un certo numero di date di circuitazione. Questo limita la sua libertà rispetto all’ospitalità: se chi produce coincide con chi vende il mercato è chiuso. Sono convinto della giustezza di questo ragionamento, e pronto a discuterne con tutti.
Che cosa significa per te il termine OFF?
Per me non significa nulla. Che valore ha questa differenziazione sul teatro? A chi serve? Non agli artisti e non al pubblico, forse solo a chi deve elaborare schemi e strategie per capire a chi offrire un prodotto e a chi offrirne un altro. «Off» cosa vuol dire? «On/Off»? «Acceso/spento»? Allora quello che facciamo noi è il teatro On – quello che cerca il dinamismo e la vertigine – e l’altro è il teatro Pop. Questa nomenclatura è sovrastrutturale. Il teatro o è acceso o è morto e non ha bisogno di definizioni, ma soltanto di gente disposta all’ascolto.
Una considerazione sulla formula Futuro anteriore, titolo della rassegna.
Mi fa pensare a un salto in avanti con uno sguardo indietro, a un effetto fionda, di moltiplicazione. Mi pare una provocazione che contiene un ottimo slancio, quello di rompere in qualche modo la logica delle “mode”. Per riferirci al nostro caso: siamo una compagnia giovane e contemporanea che porta in scena un classico, credendo nella sua polisemia, nel suo rinnovarsi, a dispetto di qualsiasi logica di mercato. L’oggetto del teatro sono i linguaggi e il loro altissimo potenziale di reinvenzione. Come non andare a vedere ogni anno un’Antigone? Antigone non è anteriore.
Redazione
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