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La generosità dell’astrazione. Rosas a Fabbrica Europa sulle Suites di Bach

Il festival Fabbrica Europa, il Teatro Nazionale della Toscana e il Maggio Musicale Fiorentino insieme per presentare Mitten wir im Leben sind/Bach6Cellosuiten della coreografa belga Anne Teresa de Keersmaeker. In prima nazionale, la creazione che vede la collaborazione tra la compagnia Rosas e il violoncellista francese Jean-Guihen Queyras. Recensione

foto di Anne Van Aerschot

Spogliato di quinte e fondale, il palco del Teatro della Pergola di Firenze è un ampio spazio aperto, uno sfondo sobrio e atemporale che fronteggia l’elegante architettura del foyer e della storica sala all’italiana. Sfogliando la storia dell’edificio, leggiamo che la costruzione del teatro fu affidata a Ferdinando Tacca dall’Accademia degli Immobili nel 1656. Sul fronte della danza, questi sono i decenni che hanno visto la nascita della figura del ballerino professionista e della prima accademia di danza, a Parigi, grazie alla passione del Re Sole per il ballo; sono gli anni in cui l’estetica barocca spinge la cultura dello spettacolo verso forti elementi di innovazione, dove la danza conquista un ruolo privilegiato. Meno di cento anni più tardi, Johann Sebastian Bach compose in Germania le Sei suites per violoncello solo senza basso che in queste righe proviamo ad ascoltare dalla prospettiva della storia della danza; in questo modo, esse sembrano riassumerne non solo l’architettura strutturale, ma anche predirne, nella loro barocca luminosità alternata a atmosfere più cupe, la futura evoluzione. Il Settecento è stato per la danza, infatti, il secolo in cui sugli arabeschi della creatività barocca ha iniziato a incombere il gusto della ragione illuminista, espressione dell’indipendenza del pensiero umano e di un rinnovato rapporto con la natura e con le emozioni.

foto di Anne Van Aerschot

Oggi, nel XXI secolo, a innalzare Anne Teresa de Keersmaeker a massima esponente della coreografia europea non sono di certo i riconoscimenti ricevuti (tra cui il Leone d’Oro della Biennale di Venezia 2015), né la continuità pluridecennale della sua compagnia e del suo repertorio: ciò che oggi ci emoziona è la possibilità di percepire in questa danza, come in pochissime altre, una sapienza che definiremmo “globale” – capace, cioè, di coinvolgere spazio, corpo e suono – e che potremmo considerare genetica in quanto tramandata da maestro ad allievo, generazione dopo generazione, nella storia prima moderna e poi contemporanea delle arti europee. Non si scambi questo per un discorso volto a limitare regionalmente o categoricamente l’opera di cui scriviamo: per sua natura il discorso della danza è interculturale e multidisciplinare; pertanto, un incontro virtuoso tra la coreografia e la musica non può che avvenire nella cornice di una prospettiva temporale lunga, l’unica in grado di consegnare al presente la piena potenza del proprio ingegno, la profondità delle proprie radici e il disegno di un arco evolutivo, ampio abbastanza per abbracciare la cultura anche oltre i confini che, nella narrazione storica, le vengono solitamente riconosciuti.

foto di Anne Van Aerschot

La componente storico-spirituale di questa trasmissione è percepibile anche a un occhio inesperto, o a chi le programmazioni di coreografia le frequenti solo occasionalmente: questa danza è densa, colta e emozionante, ma non per la sua bellezza formale, né perché essa ci proponga – in particolare nella terza suite – un chiaro riferimento ai balli nobili quattrocenteschi che proprio dall’Italia rinascimentale partirono per poi fiorire nelle corti di tutto il mondo, ma poiché convoglia una sapienza dal carattere “rinascimentale”, capace di fare dell’arte strumento prospettico del corpo, dello spirito e dello spazio. In poche parole, quella cui abbiamo assistito è una danza geniale. Il titolo dello spettacolo, composto da due parti, ne rispecchia la profondità spirituale e dichiara la centralità della composizione musicale; la prima, “Mitten wir im Leben sind” è l’incipit di un inno luterano che recita: «Nel mezzo della vita siamo circondati dalla morte». Si tratta, inoltre, dell’epitaffio presente sulla tomba di Pina Bausch.

foto di Anne Van Aerschot

La visione di questo spettacolo, che ha debuttato nel 2017 alla Ruhrtriennale, inizia dunque da una prima collisione spazio-temporale tra architettura, musica e danza: l’impressione è che l’evento riesca ad inglobare tutte le dimensioni della fruizione sensibile. Concentrarsi solo sulla musica, o sulla danza, lascerebbe fuori dal racconto un pilastro fondamentale dell’esperienza che lo spettacolo Mitten wir im Leben sind/Bach6Cellosuiten ha offerto al pubblico di questo evento che ha visto impegnate le energie delle tre principali istituzioni teatrali fiorentine: il Maggio Musicale Fiorentino, il Teatro Nazionale della Toscana e il festival Fabbrica Europa, giunto alla sua XXV edizione.

foto di Anne Van Aerschot

Come in altre creazioni di Anne Teresa de Keersmaeker, la musica eseguita dal vivo condivide lo spazio scenico insieme ai danzatori. Molto si potrebbe approfondire il rapporto tra musica e danza, in questa come in molte altre delle creazioni della compagnia Rosas. Spesso si sente parlare di fusione tra corpo e suono, tra movimento umano e musicale, tuttavia, in Mitten wir im Leben sind/Bach6Cellosuiten la musica non si fonde semplicemente col corpo danzante, ma essa lo sostiene e lo stimola, stendendo pennellate di colore su un universo coreografico deputato a esplorare il rapporto tra figura e astrazione. Le sei Suites suonate dal vivo dal violoncellista Jean-Guihen Queyras offrono, all’ascolto, un’interpretazione capace tanto di personalità quanto di rigore: non è sufficiente la categoria del dialogo per descrivere il rapporto che si instaura tra i danzatori e il solista. La chiave, crediamo, sia piuttosto da ricercarsi nell’interpretazione del gesto astratto del danzatore e nella reciprocità della sua eco che il violoncellista incorpora nel gesto dell’arco e in quello della mano sinistra sullo strumento. La concretezza della danza, allora, perfeziona la propria astrazione “rubando” alla musica la libertà di poter fuggire a un funzionamento “linguistico”, dove chi assiste alla coreografia assume una postura “traduttrice”, in cui i gesti e la drammaturgia subiscono l’aspettativa di significati proverbiali o concettuali. L’assoluto dell’astrazione dei corpi in danza è espressione di una generosità della scrittura coreografica che garantisce piena libertà percettiva e emotiva allo spettatore.

foto di Anne Van Aerschot

Nell’approfondita intervista alla coreografa e al violoncellista presente nel programma di sala, la coreografa esplicita ancora una volta il proprio interesse per gli ordini nascosti e per la matematica. A terra, il linoleum grigio è segnato dalle stesse linee e dalla spirale che già apparvero in Vortex Temporum e in altri spettacoli del suo repertorio: in diversi momenti, nello spettacolo, sono i danzatori stessi ad arricchire le linee di nuovi segni attraverso l’uso di gesso bianco e di nastri adesivi colorati. Assente a causa di un infortunio, la stessa de Keersmaeker avrebbe dovuto far parte del cast in veste di maestra di cerimonia: suo sarebbe stato il ruolo svolto a Firenze da Femke Gyselinck, ovvero quello di introdurre ognuna delle suite con una breve sequenza gestuale, dal proscenio, e di accompagnare gli interventi di ciascun solista con una sequenza coreografica, ripetuta accanto a ciascuno di loro alla stregua di un rito d’accordatura. Allorché, nella quinta suite, la musica di Bach si spinge solo dove il suono può arrivare, il corpo è finalmente libero di sparire: nella penombra della scena resta il suono immortale del violoncello che sopravvive alla danza. E quando il corpo ritorna durante la suite finale, la più celestiale delle sei, i cinque danzatori di Rosas raggiungono finalmente l’unisono attraverso passi ritmici che segnano le diagonali del palcoscenico. I loro virtuosismi, nella mobilità come nella stasi, sono allora espressione di un’umanità promettente, che sazia il cuore e lo spirito del pubblico di bellezza.

Gaia Clotilde Chernetich

Teatro della Pergola, Firenze – 2 giugno 2018

MITTEN WIR IM LEBEN SIND/BACH6CELLOSUITEN
coreografia Anne Teresa De Keersmaeker
violoncello Jean-Guihen Queyras
creato con Boštjan Antončič, Marie Goudot, Julien Monty, Michaël Pomero
danzato da Boštjan Antončič, Marie Goudot, Julien Monty, Michaël Pomero e Femke Gyselinck (sostituisce Anne Teresa De Keersmaeker)
musica Johann Sebastian Bach, Sei Suite per Violoncello Solo, BWV 1007-1012
costumi An D’Huys
disegno luci Luc Schaltin
drammaturgia Jan Vandenhouwe
suono Alban Moraud
assistenti artistici Carlos Garbin, Femke Gyselinck
direttore prove Femke Gyselinck
coordinamento artistico e planning Anne Van Aerschot
consigliere artistico Thierry De Mey
direttore tecnico Joris Erven
coordinamento costumi Heide Vanderieck
guardaroba Ella De Vos
tecnici Joris de Bolle, Clive Mitchell
produzione Rosas
coproduzione De Munt / La Monnaie (Bruxelles), Ruhrtriennale, Concertgebouw Brugge, Philharmonie de Paris – Théâtre de la Ville – Paris – Festival d’Automne à Paris, Sadler’s Wells (Londra), Les Théâtres de la Ville de Luxembourg, Opéra de Lille, Ludwigsburger Schlossfestspiele, Elbphilharmonie (Amburgo), Montpellier Danse 2018

Mitten wir im Leben sind/Bach6Cellosuiten è stato realizzato con il supporto del Tax Shelter del Governo Federale Belga, in collaborazione con Casa Kafka Pictures Tax Shelter empowered by Belfius. Rosas è sostenuta dalla Comunità Fiamminga.
co-realizzazione italiana Fondazione Fabbrica Europa, Fondazione Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, Fondazione Teatro della Toscana

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Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich
Gaia Clotilde Chernetich ha ottenuto un dottorato di ricerca europeo presso l’Università di Parma e presso l’Université Côte d’Azur con una tesi sul funzionamento della memoria nella danza contemporanea realizzata grazie alla collaborazione con la Pina Bausch Foundation. Si è laureata in Semiotica delle Arti al corso di laurea in Comunicazione Interculturale e Multimediale dell'Università degli Studi di Pavia prima di proseguire gli studi in Francia. A Parigi ha studiato Teorie e Pratiche del Linguaggio e delle Arti presso l'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales e Studi Teatrali presso l'Université Paris3 - La Sorbonne Nouvelle e l'Ecole Normale Supérieure. I suoi studi vertono sulle metodologie della ricerca storica nelle arti, sull’epistemologia e sull'estetica della danza e sulla trasmissione e sul funzionamento della memoria. Oltre a dedicarsi allo studio, lavora come dramaturg di danza e collabora a progetti di formazione e divulgazione delle arti sceniche e della performance con fondazioni, teatri e festival nazionali e internazionali. Dal 2015 fa parte della Springback Academy del network europeo Aerowaves Europe, mentre ha iniziato a collaborare con Teatro e Critica nel 2013.

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