Ipercorpo 2018 Festival Internazionale delle arti dal vivo sito nell’Ex deposito ATR di Forlì, sceglie per questa edizione il tema de Il padre. Una riflessione attorno al sottotitolo e alla programmazione artistica.
Chiedere al padre è un po’ come domandare a se stessi: accogliere una trasmissione significa innanzitutto interrogarsi se si è in grado di riceverla e quale sarà, a sua volta, il nostro lascito. In questa dialettica si inscrivono le traiettorie delle ultime due edizioni di Ipercorpo, una conseguente all’altra: se il sottotitolo di quella dello scorso anno verteva intorno al “patrimonio”, in questa appena conclusasi si prosegue l’indagine attorno alla figura del “padre”. Il padre inteso come campo semantico dal potenziale narrativo e biografico che abbraccia segni e azioni che vanno ben oltre la prossimità al senso stesso del termine. Ipercorpo si connatura come un environment occupante gli spazi dell’Ex deposito ATR di Forlì estendendo la progettualità di questa cinque giorni anche nei luoghi delle Case ACER, della Fabbrica delle Candele e del Teatro Diego Fabbri.
Ci si trova a fruire di questo Festival Internazionale delle arti dal vivo all’interno di un ex deposito degli autobus, percependo la strenua volontà militante di radicarsi in maniera «continuativa e residenziale» in uno spazio che non è stato ancora del tutto consegnato dal comune, e che è ancora in attesa di vedere l’avvio dei lavori di manutenzione e restauro. Non può essere marginale questa scelta perché – come traspare in maniera chiara dalle parole di Claudio Angelini, direttore artistico e tra i fondatori della compagnia Città di Ebla che organizza il festival – «si lavora da anni in una condizione nella quale i contenuti devono precedere necessariamente il contenitore». La «responsabilità per il DNA» di questo progetto è stata ribadita più volte durante una chiacchierata mattutina avuta con Angelini insieme a Camilla Fava (leggi l’articolo su Stratagemmi, Prospettive Teatrali). Responsabilità di adattamento devono averla dunque i direttori delle diverse sezioni – per teatro e danza Claudio Angelini, Valentina Bravetti e Mara Serina; per l’arte Davide Ferri; per la musica Davide Fabbri e Elisa Gandini – gli organizzatori, i tecnici, gli operatori, gli artisti, gli spettatori e anche i passanti: sono il luogo e l’idea che lo abita a richiedere un impegno condiviso. Nell’elaborare un’offerta adatta allo spazio e agli artisti coi quali si sceglie di dialogare, si rispetta quel «rapporto osmotico» fondante il dialogo tra l’arte, il teatro, la danza, la musica, le video installazioni. Non si dimentica neppure l’apertura internazionale attraverso l’organizzazione, curata da Mara Serina, delle masterclass relative all’Italian Performance Platform, che in sei anni è diventata punto di incontro di 76 operatori provenienti da 15 paesi diversi e occasione formativa per gli artisti. Anche quest’anno, Ipercorpo ha confermato poi la seconda edizione degli EXATR-Lab condotti dagli artisti Andrea Costanzo Martini, Luna Cenere e Ofir Yudilevitch e rivolti ai ragazzi e ai bambini abitanti nelle case ACER (Azienda Casa Emilia Romagna).
Biografie sono quelle che incontriamo nel prendere parte ai distinti “momenti” di questo festival, che sfruttano la scena – non solo quella teatrale ma anche quella del piazzale interno al deposito attraversata dai passanti – come piano tangibile aperto alla multisensorialità che si fa carico di una storia, la propria storia, spostando appunto il paradigma novecentesco da ipertesto a ipercorpo. Corpi immersi e assorbiti dal colore sono quelli dell’evento site specific di gruppo nanou, che ancora una volta scelgono Ipercorpo come tappa fondamentale del loro percorso di ricerca presentando Il colore si fa spazio, creato in collaborazione con Daniele Torcellini, docente di cromatologia per le Accademie di Belle Arti di Genova e Verona, e facente parte del workshop per architetti, designer e curatori organizzato insieme all’Ordine degli Architetti di Forlì-Cesena. Nonostante il lavoro si basi sulla relazione, sono proprio i margini della comunicazione ad apparire come elementi precari: sembra non esserci dialogo tra gli interpreti e la gestualità da loro costruita, tanto meno tra questi e il pubblico, invitato ma non in maniera dichiarata, ad attraversare la scena. Il colore si fa spazio risulta essere quindi una sorta di bozza di scrittura di una danza ancora in attesa di affermare la propria forma: i corpi dei performer dispiegano partiture coreografiche volte a ribadire la propria geometria fisica in uno spazio in cui è totalizzante invece il predominio della luce e della musica. Un’archittetura luminosa e sonora dal carattere solipsistico, tanto rigorosa nello studio tecnico relativo all’audio e alle luci al punto da prevalere sui corpi stessi, dominandoli. Corporeità esposta è quella della riflessione interiore tra mente e cuore di Kokoro della danzatrice Luna Cenere. Cenere costruisce su un piano bidimensionale un rituale danzato che muove dalla presentazione della propria nudità, attraversa lo straniamento della stessa e approda poi al tradimento della pratica acquisita, giungendo così nel finale alla costruzione di una nuova corporeità che dalla carne muove poeticamente verso lo spirito. Una gestualità ferina e iconica rispetto alla quale la luce e la musica entrano in contatto quasi smaterializzandola e donandole un carattere effimero di trascendenza.
Una cabina, installazioni e dimensioni sonore sono i luoghi attraversati dalla liquidità del suono di Elisa Gandini e Davide Fabbri nel progetto Servigio-Silenzio dedicato proprio all’ambient music, da esperire attraversandone le onde con la nostra presenza, spinti dal bisogno di scovare spazi di autonomia dedicati all’ascolto di se stessi. Tensione simile è quella che ci porta a rinchiuderci in una bolla, per esempio, nell’isolamento di una plasticità trasparente che possa diventare un “tutto per sé” in grado di proteggerci dalla fobia, qualsiasi essa sia. Questa la percezione di fronte a Oasi, la nuova creazione di Muna Mussie coprodotta da Città di Ebla/Ipercorpo 2018 e Santarcangelo Festival. Insieme a Sherif Mussie, chiusa nella bolla, l’artista prosegue la riflessione avviata nel precedente lavoro Milite Ignoto, centrando l’attenzione sulla dicotomia rifugio-prigione: si è alla ricerca di una protezione ma nello stesso tempo ci si rinchiude in una claustrofobia di segni, dove la natura è immagine esterna e irraggiungibile rappresentata sottoforma di adesivi, le cui silhouette ricordano animali simbolo dei maggiori brand e multinazionali. Una stanza risulta essere anche la dimensione più adeguata a circoscrivere il progetto espositivo curato da Davide Ferri in cui, come fossero tutte parti di un unico testo, si inseriscono opere di diversi artisti dialoganti tra loro e agenti di una duplice narrazione sul padre naturale e quello elettivo. Questo percorso installativo interno al deposito è legato al murale di Luca Bertolo realizzato invece su uno dei muri esterni dell’Ex ATR in cui su una base colorata campeggia in negativo il monito “Mio padre è peggio della giustizia” resistente allo spray della bomboletta, facendo emergere il rapporto controverso che legava l’artista al padre, l’intransigente anarchico Amedeo Bertolo.
Se è vero che in alcuni spettacoli teatrali quella scomparsa del padre di cui parla lo psicanalista Massimo Recalcati è forse più manifesta, come lo è l’annessa complessità di porsi in dialogo con le generazioni precedenti prendendosi in carico la trasmissione, o la decostruzione, della loro eredità; è pur vero però che l’arte, nella sua propensione a inglobare la multidisciplinarietà dei linguaggi, riesce invece a ridurre quella distanza dal padre che hanno evidenziato gli interventi alla tavola rotonda conclusiva dell’ultima giornata del festival. La contemporaneità ci viene allora incontro presentandosi come tempo adatto all’interrogazione sul padre e sul nostro ruolo di figli legittimi, illegittimi, traditori o, chissà, forse non ancora nati.
Per la direzione scelta, per gli artisti coinvolti e le discussioni affrontate, questa edizione di Ipercorpo riesce a sostenere, ampliandola, una riflessione attuale e imprescindibile, la quale avrebbe potuto facilmente correre il rischio di isolarsi in congetture estetico filosofiche; al contrario essa si fa dialettica e territorio, all’insegna di quell’apertura ribadita in conclusione del suo intervento dal critico letterario e saggista Emanuele Trevi: «Abbiamo ora il divieto categorico di imparare nostalgie o gerarchie».
Lucia Medri
IL COLORE SI FA SPAZIO
ALPHABET: PROGETTO DI SCRITTURA PER UNA DANZA POSSIBILE
Un progetto di: gruppo nanou
In collaborazione con: Daniele Torcellini
Coreografie: Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci
Con: Carolina Amoretti, Sissj Bassani, Rhuena Bracci, Marco Maretti
Luci: Marco Valerio Amico
Colori: Daniele Torcellini
Coprodotto da: Città di Ebla/Ipercorpo 2018
Con il sostegno di: Cantieri, E production
Con il contributo di: MiBACT, Regione Emilia-Romagna, Comune di Ravenna, Fondo per la danza d’autore della Regione Emilia-Romagna 2017/2018
KOKORO
Coreografia e concetto di: Luna Cenere
Musiche originali di: Gerard Valverde
Produzione: Körper
Collaborazione alla produzione: Virgilio Sieni/Centro Nazionale di produzione
OASI
di: Muna Mussie
Con: Sherif Mussie
Coproduzione: Città di Ebla/Ipercorpo 2018 e Santarcangelo dei Teatri
Sostenuto da: Xing
LA STANZA DEL PADRE
Progetto e testi a cura di: Davide Ferri
Opere di: Luca Bertolo, Stefania Galegati Shines, Franco Guerzoni, Flavio Favelli, Maria Morganti, Elena Nemkova, Cesare Pietroiusti, Gianni Politi, Fabrizio Prevedello, Agata Torelli
SERVIGIO-SILENZIO
a cura di: Davide Fabbri, Elisa Gandini
FURORE BIANCO
a cura di: Elisa Gandini