Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani tornano in scena dopo tre anni dal successo di Gianni con Mio padre non è ancora nato, presentato durante la rassegna Smanie di primavera al Ridotto del Teatro Morlacchi di Perugia. Recensione.
Un baluginio distratto e incostante, granuloso, come la luce che non riesce a filtrare attraverso i vetri opachi. Come quando non distingui le figure, e vuoi riuscirci invece, e poi ti avvicini e con le mani cerchi di circoscrivere la visuale. Socchiudi un po’ gli occhi allora, metti a fuoco come faresti nel girare la ghiera di una macchina fotografica: un vestito rosso, una coda di cavallo a raccogliere i capelli, scarpe da ginnastica ai piedi, per lunghe camminate… Gradualmente il palcoscenico del Ridotto del Teatro Morlacchi acquista una propria nitidezza, la luce sale svelandolo e sembra quasi che la foschia si sia diradata; guardiamo ancora. Caroline Baglioni torna in scena dopo tre anni per presentare Mio padre non è ancora nato, il secondo studio dal carattere definitivo dell’ultimo lavoro firmato dall’attrice e da Michelangelo Bellani che ne cura la regia, andato in scena durante la rassegna Smanie di primavera. Un cartellone di spettacoli dedicato ad alcuni artisti umbri e inserito nel Perugia Teatro Festival voluto dal Teatro Stabile dell’Umbria.
In scena per la prima volta a Perugia anche Gianni che nel 2015, dopo il riconoscimento del Premio Scenario per Ustica, ha permesso al duo di affermarsi a livello nazionale. È servito un tempo fisiologico, di premura, ai due artisti per ritornare sul palcoscenico, a rendersi nuovamente visibili dopo una lunga pausa che è stata di ricerca (il primo embrionale studio è stato presentato nella scorsa edizione del Terni Festival), lavoro e condivisione ma anche difficoltà, ripensamenti e incomprensioni. Un gesto risoluto è stato uscire dall’ombra ed essere pronti a illuminare un’altra storia: affezionati come lo sono Baglioni e Bellani a una modalità di scrittura che è pregna di intima umanità, non risulta quindi semplice tornare e affrontare la curiosità dell’aspettativa di pubblico e operatori. Quale dunque lo scarto tra una pratica scenica che è cifra stilistica e la prosecuzione coerente di una ricerca attorale e autoriale? Mio padre non è ancora nato è narrazione di un disorientamento di tipo generazionale, in cui il perdono e la capacità di alimentare legami filiali sono le variabili discriminanti. Madre, amica, compagna, moglie o forse addirittura badante, una donna di rosso vestita compie tutti i giorni lo stesso tragitto per andare a trovare un uomo sulla sessantina che vive isolato in una roulotte e in stato di, parziale, amnesia. Con passo energico, forte nel gesto di sollevare le taniche d’acqua, strenuamente decisa nell’andare e poi tornare; la donna impiega sempre lo stesso tempo nel cammino, sempre quelli sono i passi per tracciare un percorso che dell’ordinarietà ne fa un circuito vizioso che sembra, volutamente, non avere via d’uscita. L’uomo invece a mala pena si muove in quella sua «scatoletta di tonno», è passivo, è recidivo, è fermo. Forse, non cambierà.
Baglioni e Bellani costruiscono una “drammaturgia a doppia voce”, in cui l’unico corpo in scena dell’attrice ricopre allo stesso tempo il ruolo della giovane donna e dell’uomo, entrando e uscendo dai due personaggi. Straniamenti funzionali a porre entrambi l’uno di fronte all’altra, attraverso un testo strutturato in monologhi, soliloqui e dialoghi tramite i quali i due si osservano secondo il proprio punto di vista. Totalmente illuminata a luce fredda, la scena fa largo al corpo dell’attrice accogliendo la vivida complessità dei suoi pensieri: il disegno luci di Gianni Staropoli con la supervisione tecnica di Luca Giovagnoli, non concede zone d’ombra, “a parte visivi” in cui confinare la soggettività, la quale al contrario è nuda nei suoi cedimenti, esposta nella sua rabbia. Un cavallo a dondolo, una pesante cassa di ferro, taniche di plastica e delle bottiglie di vetro sono oggetti utili a un gesto memore non solo dell’infanzia ma anche consapevole della necessità di un tempo presente in cui si riempiono e si svuotano bottiglie d’acqua, si fanno tentativi, proposte, domande e si aspettano delle risposte, si inciampa e si fatica; si sorride anche, si guarda fissi davanti a sé e oltre, per scoprire i dettagli, la loro prossimità, che non è vicinanza, sentendosi uniti nella volontà di rinsaldare un legame che è annebbiato, sbiadito dal passare dei giorni. E alla fine della strada, fermarsi, prendere fiato, prenderne tanto, respirare fino in fondo, scendere giù e poi pronunciare con forza, per essere pronti a sentirlo risuonare: «Papà!».
Un eterno ritorno al padre in cui il tempo è scandito dai passi impiegati per avvicinarsi alla roulotte e poi di nuovo allontanarsene, un avanti e indietro accompagnato inoltre da una corposa sequenza di brani musicali forse da alleggerire, per lasciare spazio al silenzio dei monologhi e dei dialoghi, per evitare inoltre che il pubblico riconosca in questi frangenti sonori una fin troppo spiccata somiglianza ad alcune partiture gestuali del precedente Gianni, rimaste impresse per la loro incivisità. Mio padre non è ancora nato è per Caroline Baglioni e Michelangelo Bellani prova densa e stratificata di una riconoscibile emotività volta a rendere spinta tensiva la distanza tra un padre e sua figlia: «Siamo così sufficientemente strani da vivere separati». Avvicinare i due punti di vista attraverso la corporeità dell’attrice, il cui gesto diventa azione caparbia, mosso e teso seppur nella sua circolarità a voler raggiungere, finalmente, l’attesa risposta paterna.
Lucia Medri
Teatro Morlacchi, Perugia – maggio 2018
MIO PADRE NON È ANCORA NATO
di Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani
con Caroline Baglioni
regia Michelangelo Bellani
luci Gianni Staropoli
supervisione tecnica Luca Giovagnoli
una progetto Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani
con il sostegno del Teatro Stabile dell’Umbria