I Cavalieri di Aristofane, una produzione del Teatro Stabile di Bolzano, con la regia di Roberto Cavosi, uno specchio grottesco della quotidianità politica. Recensione
“Dobbiamo lasciare più soldi nelle tasche degli italiani” affermava in questi giorni il leader della Lega, Matteo Salvini, in relazione al programma di governo in via di costituzione con il Movimento 5 Stelle. Il popolo è sovrano, non bisogna deluderlo, così pare che anche la difficoltà di trovare un accordo su un nome “terzo” venga proprio dalla percezione che i due partiti hanno della loro relazione con gli elettori.
Luigi Di Maio gioca il ruolo del vicario dei cittadini, il portavoce di noi tutti. Non potremmo essere più contenti dato che entrambi altro non vogliono che la nostra felicità e a noi si riferiscono come oracolo da proteggere, bambino da accudire. Ma noi chi siamo? Siamo quelli che vogliono la flat-tax? Siamo quelli che vogliono il pugno duro contro i migranti? Siamo coloro che vorrebbero riempirsi la pancia con il reddito di cittadinanza? Cos’è il popolo?
La politica si rivolge a noi come fossimo un’unica coscienza, come se esistesse un esemplare di umanità che possa raccogliere dentro di sé le infinite sfumature del pensiero e dunque delle necessità umane. Non è un caso che i primi commenti dall’estero vedono quello in culla come un governo a rischio populismo, il più populista d’Europa.
Ma se credete che la questione abbia qualche decina o centinaia di anni vi sbagliate di grosso: la penna urticante di Aristofane già nel V secolo a.C. aveva dimostrato urgenza per questi temi costruendo, attraverso le sue commedie, uno specchio deformato sul quale far scontrare i due poli del discorso, il potere e il popolo.
I Cavalieri, portata in scena durante gli agoni drammatici del 424 a.C. e scritta per prendere di mira Cleone, uomo politico dell’epoca, ha una struttura narrativa e retorica decisamente basilare e forse anche per questo risultava un’arma potentissima, tanto che, come vuole la leggenda, Aristofane dovette pensare lui stesso alla messinscena e alla recitazione perché nessuno voleva occuparsi di questioni così spinose.
Lo spettacolo allestito dal Teatro Stabile di Bolzano per la regia, traduzione e adattamento di Roberto Cavosi di certo non avrà la risonanza politica che ebbe la messinscena del commediografo ateniese nel contesto del V Secolo a.C. – segnato dagli storici come il periodo d’oro per il teatro antico, in cui la scena era un’altra agorà politica –, ma l’immediatezza del paradigma retorico aristofaneo non solo non è perduto, anzi se possibile è amplificato dalla cronaca politica odierna.
Il personaggio amato e odiato, alter ego comico di Cleone, è Paflagone, uomo politico scaltro in grado di adulare e raggirare Popolo, un personaggio quest’ultimo, frutto del gioco metaforico con cui Aristofane attua proprio la sintesi orizzontale di cui sopra. Per mezzo di un oracolo gli oppositori di Paflagone fanno in modo di sostituirlo con un salsicciaio: se possibile, ancora più pericoloso e ignorante del primo. Cavosi però, attraverso traduzione e adattamento, gioca la carta di un’attualizzazione abbastanza credibile, aggiungendo piccoli riferimenti – come il gioco del calcio nella prima scena o Aristofane che accompagna con la chitarra elettrica da dentro un cassonetto – rendendo il linguaggio spesso brutale e tagliando quelle parti non strettamente necessarie all’azione.
Nella sala studio del Teatro Comunale di Bolzano la scena mostra un sobborgo grigiastro, antro oscuro e sporco, come fosse la zona nascosta della democrazia imperfetta ateniese, un ballatoio e una scala permettono una gestione dinamica dei movimenti di cui si avvale soprattutto il servo giovane interpretato da Loris Fabiani, l’altro servo è Michele Nani. Ad Antonello Fassari tocca il ruolo del salsicciaio con il quale dimostra un’interessante progressione: nella parabola della commedia il becero popolano prende sempre più coscienza trasformandosi da sempliciotto a maestro di arguzia politica per battere il rivale. Fulvio Falzarano è un Paflagone sornione ed elegante nel cappotto lungo che porta i segni ricamati delle pelli di cui fa mestiere.
Cavosi ha costruito uno spettacolo popolare e diretto nella cruda riflessione, il pubblico d’altronde lo aveva scelto tra le possibilità di Wordbox Arena, il progetto voluto dal direttore Walter Zambaldi per rendere partecipi gli spettatori della programmazione artistica. Una buona parte della platea ride, si diverte notando il gioco di specchi con la situazione politica attuale, ma la comicità rischia spesso di cadere in stereotipi d’altri tempi, come nel caso dei due personaggi degli Onesti (Giancarlo Ratti e Mario Sala) rappresentati con la caricatura dei gay effeminati. Il finale da rivista con la voce argentina di Sara Ridolfi è una piacevole conclusione che lascia l’amaro in bocca per l’ineluttabilità di un destino nel quale il popolo sarà sempre e comunque solleticato nei sui istinti più bassi. Emblematica in questo senso la competizione tra Paflagone e il Salsicciaio a colpi di prelibatezze culinarie; fuori dai discorsi è invece la politica vera e propria, l’amministrazione pubblica: il popolo (Andrea Castelli) invece di chiedere conto delle idee e delle scelte strategiche dei due contendenti si lascia andare a chi meglio gli riempie il piatto.
Eppure la realtà potrebbe essere ancora più dura della finzione nel caso in cui Paflagone e il Salsicciaio arrivassero a doversi mettere d’accordo… per formare un governo.
Andrea Pocosgnich
Teatro Stabile d Bolzano
in scena fino al 20 maggio 2018
I CAVALIERI
di Aristofane
traduzione, adattamento e regia Roberto Cavosi
scene Andrea Bernard
costumi Elena Beccaro
luci Massimo Polo
musiche a cura di Emanuele Dell’Aquila
con Antonello Fassari, Andrea Castelli, Fulvio Falzarano, Giancarlo Ratti
e con Mario Sala, Michele Nani, Loris Fabiani, Emanuele Dell’Aquila, Sara Ridolfi
TEATRO STABILE DI BOLZANO