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Da Orazio Costa al Living, i Nuovi. Intervista a Pier Paolo Pacini

Una sala teatrale completamente gestita da un gruppo di giovani attori: questa la sfida raccolta dai Nuovi, la formazione dei neodiplomati alla Scuola per Attori ‘Orazio Costa’. Abbiamo raggiunto telefonicamente Pier Paolo Pacini, coordinatore del progetto.

Pier Paolo Pacini. Foto di Filippo Manzini

C’è anche un rinnovamento semantico, alla base del progetto pluriennale che sta animando il Teatro Niccolini di Firenze: una capacità di conferire una pregnanza inconsueta a un aggettivo e un avverbio di uso fin troppo comune. Ora, nuovo: è infatti attorno a questi due elementi che ruotano la domanda, antica e tuttavia sempiterna, e la risposta pronunciata dai Nuovi – Giovane Teatro della Toscana, formazione composta dai neodiplomati della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’. È il 1963 quando Julian Beck chiede «Come farlo ora?», in una delle viscerali meditazioni raccolte ne La vita del teatro. L’artista e la lotta del popolo: un quesito che giunge a conclusione di una sequela vertiginosa di interrogativi, volti a smuovere dalle proprie certezze l’artista e il pubblico, l’attore e il cittadino. Mentre la società si scopriva in fibrillazione, percorsa dai fremiti delle lotte razziali e di riconoscimento della comunità gay e lesbica, agitata dalle possibilità squadernate dalla liberazione sessuale, Beck condensava in decine di domande ‑ «finisco con domande perché non ho risposte», è il significativo incipit posto al testo dal cofondatore del Living Theatre ‑ sia le prospettive di un rinnovamento dello sguardo del pubblico, sia le torsioni da imprimere all’arte scenica così che di quella cangiante atmosfera potesse essere al contempo riflesso e motore. Posta come protasi di un ‘manifesto per un nuovo teatro’, il testo di Beck trova la propria apodosi in sei punti programmatici, stilati dai membri della compagnia fiorentina che a partire dall’11 aprile 2018 hanno preso in gestione la storica sala di via Ricasoli: un documento che identifica «un attore artigiano di una tradizione vivente», assecondando la quale «ogni attore è chiamato a sperimentarsi in ogni mestiere del fare teatro, per divenire strumento totale, creativo e consapevole di un teatro nuovo».

Baliani e Pacini sul palco con la compagnia. Foto di Filippo Manzini

Proprio “attore totale” è la formula con cui Pier Paolo Pacini, coordinatore del progetto, definisce il gruppo di giovani che abita il Niccolini nella sua interezza, non limitandosi al palco o ai camerini: sedici, tra ragazze e ragazzi, chiamati a misurarsi con quella pluralità di ruoli che quotidianamente rendono possibile il teatro. Seguendo una turnazione che consenta a tutti di svolgere ogni mansione connessa alla gestione di una sala teatrale, gli allievi si misureranno con i doveri del direttore generale, dell’amministratore di compagnia, del responsabile della comunicazione, del tecnico di palco, della maschera: infine anche con quelli dell’addetto al riassetto serale della sala. Senza dimenticare, com’è ovvio, l’arte della recitazione: un Maestro, scelto dal gruppo dei giovani, coordinerà la messa in scena di uno spettacolo, il cui budget sarà rigidamente definito e il cui apparato scenotecnico si avvarrà della collaborazione del Laboratorio d’Arte del Teatro della Toscana. Marco Baliani è il primo artista coinvolto: La Mandragola da lui diretta è in scena in questi giorni, e a lui seguiranno Gianfelice Imparato, Andrée Ruth Shammah, Beppe Navello, Glauco Mauri. Abbiamo raggiunto telefonicamente Pacini per una conversazione sul progetto.

In che modo il testo di Julian Beck parla ancora al mondo di oggi e del mondo di oggi? Che cosa vi ha affascinato al punto da inserirlo nel vostro manifesto?
Innanzitutto l’aspetto provocatorio: il domandarsi cosa sia il teatro, quale sia il rapporto della vita con il teatro, ma con l’intelligenza di comprendere come la “vicenda teatro” sia più complicata del teatro stesso e si allarghi anche nel quotidiano. E poi soprattutto questa domanda finale, «come farlo ora?»: Beck lo chiedeva negli anni Sessanta, quando era in atto un grande momento di cambiamento non solo nel mondo teatrale ma nella società tutta, con la necessità e l’urgenza di rispondere a quelle domande non nel futuro ma nella contingenza. A noi ha affascinato il fatto che in qualche modo ci troviamo oggi nella stessa condizione percepita da Beck nel 1963. Anche oggi proliferano domande che riguardano cosa sia il teatro o cosa sia l’attore, domande che dobbiamo farci e a cui dobbiamo dare una risposta adesso e non in un futuro, per quanto prossimo.

Foto di Filippo Manzini

Quali sono secondo Lei le difficoltà principali che affronta un giovane chi si affacci al mondo del teatro e in che modo questo progetto cerca di ovviare  a queste difficoltà?
C’è una prima difficoltà, pratica, che riguarda i giovani in senso lato: la difficoltà di accedere al mondo del lavoro. Questo è un dato di fatto che conosciamo tutti drammaticamente, è una realtà che tutti in qualche modo tocchiamo. A ciò si cerca di ovviare dando un’opportunità reale: alla fine del percorso di studi della Scuola per Attori ‘Orazio Costa’, invece di congedare gli allievi ‑ come troppo spesso succede ‑ con un «grazie è stato bello, fammi sapere, in bocca al lupo per il futuro», abbiamo deciso di impegnarci in un processo di formazione e di avviamento al lavoro reale, che preveda non soltanto un percorso formativo, sorretto da una precisa idea di “teatro nuovo” e di “nuovo attore”, ma anche un reale sostegno attraverso una borsa di studio. Un fattivo tentativo di accompagnare per tre anni i ragazzi, in un percorso di avviamento al lavoro.

Materia prima, economia, artigianalità, tradizione sono alcuni dei termini usati nel Manifesto dei Nuovi: alla sua base sembra situarsi un’idea fortemente pratica del “fare teatro”.
Sì, l’idea è esattamente questa, quella di un “fare teatro”. Un “fare teatro” artigianale, dove si apprende un mestiere vero attraverso una serie di processi. Il primo, per me particolarmente importante, è il rapporto tra giovani e maestri in una dinamica di trasmissione e scambio. Non dobbiamo dimenticare il ruolo dei maestri nella possibilità di trasmissione di un sapere artigianale, ma è altrettanto importante che il maestro sia in grado di cogliere e apprezzare quello che un giovane può dare in termini di entusiasmo e di approccio diverso rispetto a una tradizione. L’altro processo fondamentale riguarda il fatto che l’attore deve essere in grado di sperimentarsi in tutti i mestieri del “fare teatro”. Dobbiamo pensare che il mestiere dell’attore è oggi più complicato, bisogna avere una conoscenza e una consapevolezza artigiana: dall’organizzazione generale alla gestione di una sala, dall’attività della produzione all’amministrazione, fino ad arrivare alla scenotecnica e al fatto che il teatro è un luogo che deve essere anche pulito. Per questo motivo i ragazzi la sera, terminato lo spettacolo, tolgono i programmi di sala, raccolgono le cartacce… Spetta a loro il riassetto serale della sala e del palcoscenico. Io credo un po’ all’idea del teatro-tempio, un luogo che ha una sua sacralità.

Foto di Filippo Manzini

Il Manifesto dei Nuovi attribuisce un ruolo centrale alla lingua italiana e alla letteratura italiana: cosa significa focalizzare l’attenzione su questi aspetti?
Noi crediamo al teatro di parola: questo non vuol dire che non vengano apprezzate e colte nella loro grande importanza altre forme teatrali, ma crediamo che un attore artigiano, in un percorso formativo, debba fare il teatro di parola. Per questo motivo crediamo che sia molto importante riferirsi alla lingua italiana, che è il nostro patrimonio: non soltanto da un punto di vista linguistico, ma anche relativamente alla storia del teatro. Ovviamente non pensiamo di mettere in scena soltanto testi italiani, ma vogliamo che i testi stranieri siano sorretti da traduzioni importanti, con la consapevolezza che l’elemento centrale è proprio la lingua. 

Che ruolo hanno all’interno del progetto le grandi eredità intellettuali di Orazio Costa e Jerzy Grotowski, patrimonio della Fondazione Teatro della Toscana?
Noi abbiamo avuto la fortuna di avere un maestro come Orazio Costa, che ha trascorso gli ultimi vent’anni della sua vita a Firenze, dove aveva creato il Centro di Avviamento all’Espressione. Abbiamo avuto la tradizione grotowskiana, molto simile in realtà a quella di Costa. Grotowski a un certo punto del suo percorso giunse ad affermare che non esistevano più il teatro né l’attore; anche Costa arrivò a dire che il teatro presupponeva la fine dell’idea dei ruoli di attore e regista. La sua idea era proprio quella di questo scambio tra persone che hanno sì dei ruoli, ma non definiti né autoritari. In questo aspetto crediamo molto, anche questo rientra nell’idea della relazione giovani/maestri: e i maestri che abbiamo scelto in questa prima fase insieme ai ragazzi sono quelli che hanno compreso subito qual era il nostro scopo. Non volevamo registi che arrivassero e mettessero su uno spettacolo: innanzitutto perché si tratta pur sempre ancora di allievi di un percorso di formazione, e poi perché, anche da un punto di vista produttivo, era importante partire dall’idea che avvenisse uno scambio. Non sta a me dire, inoltre, che il metodo Costa di fatto è l’unica pedagogia teatrale italiana, una delle poche pedagogie teatrali europee moderne completamente strutturata, nel senso che si basa su un percorso che si segue fino ad arrivare a un risultato, che poi ovviamente varia come variano tutti i risultati di qualsiasi

Foto Filippo Manzini

pedagogia teatrale.

Tra le altre definizione di attore nelle quali il gruppo dei Nuovi si riconosce compare quella di attore scarrozzante.
Il rifermento storico era quello della Commedia dell’arte, per la quale l’attore giungeva con il carro e faceva tutti i mestieri, dal volantinaggio prima dello spettacolo alla costruzione della scena. Alla base della nostra proposta di un attore scarrozzante è la consapevolezza che non possiamo più pensare di chiudere l’attività di un teatro all’interno delle sue mura. In occasione di Mandragola i ragazzi hanno compiuto una serie di incursioni in luoghi frequentati dai giovani ‑ bar, biblioteche, piazze ‑ organizzando serate pensate come propedeutiche allo spettacolo. C’è stata una serata sui filtri d’amore, una serata intitolata Boccaccio Dark … L’attore oggi non può pensare di stare a casa e aspettare che lo chiamino sul palcoscenico, e analogamente non si può pensare che una struttura viva produca spettacoli aspettando che la gente venga a teatro. Specialmente il pubblico dei giovani va incuriosito: e infatti alla base di questo progetto si trova l’idea che nessuno meglio dei giovani, di un gruppo di attori di età compresa tra i 20 e i 30 anni, possa capire le dinamiche di comunicazione odierne. Il loro uso dei social network non è declinato sul marketing, ma è legato all’amicizia, al rapporto diretto, al conoscersi, alla condivisione dei progetti. La versione moderna dell’attore scarrozzante è l’attore che è lavora in altre luoghi, nelle piazze, ma che ha anche la capacità di utilizzare mezzi di comunicazione potentissimi.

Il nuovo attore è un attore tra la gente…
Per me sì, è anche questo il tema, quello di andare un po’ avanti rispetto all’idea di teatro partecipato. Oggi i tempi sono molto veloci, e forse il teatro partecipato è un’idea che adesso ha bisogno di evolversi ulteriormente. In gioco non è più soltanto la creazione di uno spettacolo al quale vengono invitate persone a partecipare, ma piuttosto una partecipazione che preveda un rapporto quotidiano, fatto di scambi. Spesso ci capita di vedere realizzata questa dinamica per ragioni di comunicazione e marketing brutalmente pubblicitarie, ma mi rendo conto che questi giovani la attuano in modalità molto vere e molte reali, davvero domandano «Mettiamo in scena Mandragola, perché non venite?». È uno stare tra la gente non solo fisico, ma anche mentale, frutto della condivisione. Questa per me è stata una grandissima lezione, devo dire. Non è vero che i giovani non hanno voglia di fare. La cosa che mi ha colpito di più di questo progetto sono stati l’entusiasmo, la partecipazione e anche la capacità di lavoro dimostrata da questi ragazzi. Quando il progetto è serio, e i giovani percepiscono che si tratta di una vera occasione, non di uno sfruttamento ma di uno strumento fornito loro per ottenere dei risultati, il loro impegno è straordinario. I giovani oggi sono più pigri: anche questo è un mito da sfatare. Questi ragazzi hanno l’energia, l’intelligenza, la forza, il rigore di gestire un teatro: nel momento in cui escono dai meccanismi della protezione paternalistica, i giovani hanno idee, e hanno idee raffinate. Le loro sono idee più liquide delle nostre, in sintonia con quella società liquida di cui si parla tanto, ma sono idee efficaci. Dobbiamo credere ai giovani: io ci credo moltissimo.

Alessandro Iachino

I NUOVI – GIOVANE TEATRO DELLA TOSCANA
MANDRAGOLA
di Niccolò Machiavelli
con Maddalena Amorini, Francesco Argirò, Beatrice Ceccherini, Davide Diamanti, Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia L. Marino, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Sebastiano Spada, Filippo Stefani, Erica Trinchera, Lorenzo Volpe
scene e costumi Carlo Sala
assistente scene e costumi Roberta Monopoli
assistente regia Lorenzo Terenzi
direttore di scena Emiliano Gisolfi
light designer Loris Giancola
sarta Eleonora Sgherri
realizzazione scene Laboratorio di Costumi e Scene del Teatro della Pergola
realizzazione costumi Sartoria Mauro Torchio
regia Marco Baliani
produzione Fondazione Teatro della Toscana

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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