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Claudio Morici. Confessioni di un padre

Claudio Morici porta in scena il tema della paternità con 46 Tentativi di lettera a mio figlio, al Teatro Vascello di Roma. Recensione

Claudio Morici
PH Lucrezia Testa Iannilli

C’è un atteggiamento diffuso tra le persone, una sorta di meccanismo difensivo che tende a comprimere le fasi più dolorose della propria vita in una dimensione stondata, adatta a essere raccontata con più morbidezza, come si temesse che la sofferenza fosse non condivisibile, inadeguata a un dialogo che aggira dunque la plausibile profondità. Il modo più comodo per raggiungere questo obiettivo non dichiarato e protettivo è da sempre, o almeno da quando il Novecento ne ha riconosciuto il valore, l’arte del comico, quel dispositivo linguistico capace di mimetizzare l’informazione, ma più segretamente il sentimento, all’interno di una cellula narrativa apparentemente mossa da pulsioni di altra natura, di altra origine. Quindi modi di dire come “riderci su”, “sdrammatizzare”, sono in realtà dei veri e propri impianti espressivi che rispondono a un’esigenza di conservazione, una difesa dagli effetti dell’essere veicolo della propria esposizione d’intimità. Sotto tale segno è la nuova opera di Claudio Morici, 46 Tentativi di lettera a mio figlio, reading comico presentato in prima nazionale al Teatro Vascello di Roma per la rassegna Filetti di Sgombro.

Claudio Morici denuncia fin da subito una struttura epistolare con un unico destinatario: un figlio, precisamente, il figlio. Il proprio figlio. Non dunque un figlio qualunque di un padre qualunque, ma la messa in discussione di un diretto legame che possa però ricondurre l’autobiografia a una dimensione universale. L’autore – categoria che nel suo particolare caso condensa insieme la figura dello scrittore e quella dell’attore – sceglie prima di tutto una forma, il reading, in cui la vivacità performativa ricade sempre e comunque nel rigore della postura fissa, così che l’attenzione sia sempre focalizzata sulla parola e sul tono che la pronuncia; ne restano fuori solo brevi – ma per questo fulminanti – incursioni dall’esterno di pupazzi maneggiati a partire dalla posizione centrale, da cui controllare l’intera scena. La qualità di Morici è spartita in maniera pressoché paritaria tra la brillantezza della scrittura e l’energia dell’espressione, la voce trovata per portarla fuori di sé; una volta fortificato dunque questo nesso stilistico, ora semplice è lasciar cadere nella forma più contenuti possibili, mescolando leggerezza e profondità, sentimenti scomodi e temi difficili.

Claudio Morici
PH Lucrezia Testa Iannilli

E già nel titolo la problematizzazione del dolore attraverso la comicità prende corpo con decisione. Si tratta non di lettere, ma di “tentativi di lettera”, ossia qualcosa che si dichiara già impossibile, fallimentare, fin dal principio. Il discorso sulla paternità si articola attraverso una sequenza cronologica di lettere al futuro, parole che diventano evanescenti nel momento in cui il destinatario non può ascoltarle né capirle; un padre incapace di fornire un esempio educativo, cerca la strada per ogni volta recuperare dall’inadeguatezza, finendo per interrompere, contraddire, rinnegare, ammettere di non saperlo fare. Ecco che il senso della vita o il motivo della separazione dall’altro genitore giungono a somigliarsi, sono un’utopia mascherata desunta dal manuale del buon padre di cui un uomo, il suo tempo, la sua generazione, ha perso il segno di pagina.

Nel monologo, meno geometrico dei precedenti ma certo più profondo, c’è infatti un’amarezza in più, confusa tra le tante parole che Morici cerca in ogni tasca per coprire i buchi di una assenza nella figura paterna; è la sensazione che qualcosa stia sfuggendo di mano non a sé stesso come padre, ma alla generazione che non sa farsi padre, non sa raccogliere un testimone di evoluzione secondo misure e modelli, quelli della famiglia tradizionale o del sodalizio tra educazione e formazione, non più adeguati ai tempi. Ma in fondo ai tentativi mai conclusi c’è il cuore caldo di un legame che prescinde un “discorso intellettuale”, delicato e commovente il lascito reale supera ogni assenza, ogni fallimento, dimentica le parole confuse, scava la sensibilità e porta fuori le sole possibili perché il tempo si faccia, perché un figlio sappia ciò che basta a compiere, un giorno, gli stessi errori del proprio padre.

Simone Nebbia

Teatro Vascello, Roma – Marzo 2018

46 TENTATIVI DI LETTERA A MIO FIGLIO
di e con Claudio Morici
disegno luci Camilah Chiozza

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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