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Spettatori o fedeli? A teatro la destra religiosa di Trump

Giacomo Sette presenta al Teatro Studio Uno Il Peccato, ispirato al documentario Jesus Camp diretto da Rachel Grady e Heidi Ewing ed ambientato negli USA in un Centro Estivo di formazione per bambini e ragazzi evangelici. Recensione

Foto di Giulia Castellano

«Per combattere l’Isis e rendere sicura questa nazione, io non voglio una femminuccia, nemmeno uno che porga l’altra guancia ma voglio un cattivo figlio di puttana». Entusiasticamente convinto, il pastore Robert Jeffress della Prima Chiesa Battista di Dallas conferma questa sua dichiarazione in un reportage dal titolo Le comunità evangeliche che sostengono Donald Trump. Autore del sermone privato Quando Dio sceglie un leader dedicato alla famiglia e allo staff del nuovo eletto e recitato la mattina dell’inaugurazione presidenziale, Jeffress ha poi aggiunto: «senza il sostegno evangelico, Donald Trump non sarebbe mai diventato presidente degli Stati Uniti. Lui stesso mi ha confermato varie volte questo dato».
Non stentiamo a crederci, del resto la comunità evangelica che in America consta di quasi quattro milioni di fedeli, rappresenta quella destra religiosa e conservatrice che prima di Trump, risalendo fino agli anni Ottanta di Reagan, supportava anche il “politico bianco” George W.Bush. Figure che, seppur con le loro forti differenze, sembrano tracciare una linea di coerente continuità repubblicana interrotta dagli otto anni della politica di Obama, la quale ad oggi ci appare come una lunga e illuminata parentesi decisamente incompresa e poi rifiutata.

Un momento di preghiera nella Prima Chiesa Battista di Dallas

L’America, come del resto il mondo tutto, ha bisogno di un nemico contro cui compattarsi, un avversario rispetto al quale definire e consolidare i propri orientamenti politici. E ancora di più, c’è l’umana necessità di tornare a credere negli eroi, capipopolo assurti al potere, guide infaticabili “che non hanno paura di nulla”, pronte a difendere, come fosse un cristallizzato vessillo ab aeterno, la democrazia. Rispetto a questi bisogni, religione e politica, potere spirituale e temporale, diventano quindi indissolubili appigli e in virtù di Credo simili risulta indispensabile «to take back America for Christ», letteralmente “restituire l’America a Cristo”. Questa la missione evangelica che sta alla base del documentario Jesus Camp, diretto da Rachel Grady e Heidi Ewing, prodotto nel 2006 (nel pieno del mandato Bush) e candidato agli Oscar l’anno dopo come Best Documentary Feature, il cui focus si concentra sui tre bambini Levy, Rachel e Tory che frequentarono il campo estivo pentacostale sul Devil’s Lake in Nord Dakota per mettere in pratica gli insegnamenti del pastore donna Becky Fisher.

Foto di Giulia Castellano

«Ciò che mi ha colpito è la violenza di questi discorsi, subdola, psicologica e attentamente calibrata, proprio come un’arma scagliata contro dei bambini»: scrupoloso nel trovare le giuste parole per rispondere – come se stesse ripercorrendo attentamente i motivi della sua scelta per non tradirla -, Giacomo Sette spiega così da dove nasce l’ispirazione per lo spettacolo teatrale Il Peccato, il cui debutto è stato accolto al Teatro Studio Uno che lo ha prodotto. Proprio quella veemenza dialettica, che ben dieci anni dopo è stata tacciata di abuso sulle pagine del The Guardian, è l’aspetto che il regista e drammaturgo ha voluto riportare tanto nella costruzione del testo che in scena attraverso la voce e il corpo di Sarah Nicolucci e la fisicità di Beatrice Fonti.
Per sugellare visivamente il legame che unisce la religione al benessere materiale dei soldi, e in questo la comunità evangelica rappresenta una potenza, l’attrice (Nicolucci) veste con un completo di giacca, camicia, cravatta e pantaloni bianchi ricordando da un lato le candide vesti di una sacerdotessa, ma allo stesso tempo la concretezza di una business woman. Abito che poi cambierà in una giacca di pelle, maglietta e pantaloni neri con anfibi a indicare quell’approccio estremista di alcune derive heavy metal che trovano nel cosiddetto christian metal o white metal il sottogenere musicale attraverso il quale predicare il prophetic gift. Impeccabile è lo studio di Nicolucci sullo sguardo, sulla direzionalità ferma e frontale del corpo, la postura solida che accentra l’attenzione del pubblico sulle modalità in cui il testo di Sette acquista una cadenza musicata, da sermone appunto, attraverso la quale il discorso si fa infallibile, nella totale e rigorosa assenza di incertezza. Beatrice Fonti, come seconda interprete, concentra invece il suo lavoro sul corpo restituendo una pantomima rappresentante quella propagazione fisica dell’energia scatenata dalle parole di Nicolucci, come se un solo corpo non fosse in grado di sostenere il peso del senso di colpa inferto dalla predicazione e ne dovesse “attaccare” un altro che funge da sostegno.
Se all’inizio lo spettatore viene attirato attraverso un’apparente e introduttiva fascinazione ironica, per cui una risata beffarda si fa largo in platea, gradualmente quella caratterizzazione un po’ grottesca e funzionale a sedurre l’uditorio diventa spietato fanatismo dialettico contro l’ateismo, l’islamismo e la pornografia. Gli astanti si trasformano da pubblico in vera e propria comunità di fedeli, che all’invito di alzare le mani e stringere quelle del vicino reagisce automaticamente come spinta da un richiamo interno: azione indotta facendo leva sullo stato di assoggettamento ricreato in grado di inibire la reattività critica dello spettatore.

Foto di Giulia Castellano

«Sono discorsi privi del favore del teatro dal punto di vista scenotecnico ma profondamente teatrali per le modalità in cui sono costruiti e agiti», su questo aspetto si impernia la ricerca di Sette nutrendosi anche di molta letteratura americana, non a caso l’impalcatura sintattica del testo è modellata sull’impronta stilistica di autori come Carver, Roth e anche quella sarcastica di Wallace. C’è una sincera complessità in questo lavoro, ritrovata anche nei discorsi fatti insieme all’autore e regista; c’è quel mettersi in discussione rispetto a una tematica, ricercando semmai soluzioni non semplici ma più adatte a far arrivare un messaggio stratificato. Di non facile trattazione e in alcuni passaggi incline a cedere a un’eccessiva verbosità che potrebbe asciugarsi con lieve limatura, Il Peccato, anche se ispirato a un documentario vecchio ormai di dodici anni, riesce a inscriversi con decisione e senza velleità moralizzatrici come riflesso onesto e interrogatorio di un presente che manifesta quotidianamente il ritorno a un pensiero oscurantista di cui la società è piena, forse in procinto di esplodere.

Lucia Medri

Teatro Studio Uno, Roma – marzo 2018

IL PECCATO

di Giacomo Sette
con Sarah Nicolucci e Beatrice Fonti
musiche di Luca Theos Boari Ortolani
regia di Giacomo Sette
ph. Giulia Castellano
comunicazione Chiara Preziosa
Produzione Teatro Studio Uno

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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