Il Generale di Emanuele Aldrovandi con la regia e interpretazione di Ciro Masella. Recensione
Emanuele Aldrovandi è uno dei più prolifici autori della scena contemporanea, i suoi testi spesso si incuneano tra i nervi delle più dense e complesse problematiche nel tentativo di ribaltare il senso comune e far riflettere oltre la retorica quotidiana e mediatica. Spesso i suoi personaggi sono figurine bidimensionali, rappresentano status, idee, visioni politiche, ruoli sociali: Aldrovandi li scarnifica da tutto ciò che li renderebbe complessi e psicologici, sono entità che devono rispondere a impulsi esterni, cavie da laboratorio chiuse in una scatola trasparente e vuota, il teatro.
Con Il Generale, del 2010, il trentatreenne autore emiliano applica questa scarnificazione anche alla stessa drammaturgia: la guerra viene rappresentata e raccontata attraverso una serie di comic strips in cui si muovono un generale, un tenente e una soldatessa. Nella versione andata in scena al Teatro Brancaccino per la regia e interpretazione di Ciro Masella (nel ruolo del capo militare) lo spettacolo rispetta il ritmo da sketch nel quale si alternano i dialoghi comici nati da una paradossale situazione: il generale è al comando di un esercito occidentale che dovrebbe risolvere il problema del terrorismo alla radice, sconfiggendo il popolo dei Selvaggi, ma le sue azioni producono effetti contrari. Gli ordini che arrivano al tenente incredulo chiedono di regalare i carri armati alle truppe nemiche, di piazzare mine “un po’ là e un po’ qua”, di fare ricognizioni aeree senza armi, di tenere scoperta la guardia notturna e ulteriori assurde trovate che altri risultati non portano se non quello di mandare al macello i propri soldati.
Masella va in scena insieme a due giovani attori, Giulia Eugeni e Eugenio Nocciolini che spesso però non riescono a rompere nella recitazione una certa prevedibilità dei dialoghi, lo spazio è occupato da un tavolo dietro al quale si erge la poltrona del generale, qualche passo più indietro una sorta di palma di metallo. La scansione delle scene per mezzo dei classici bui, la differenza di consistenza nella recitazione tra il protagonista e gli altri due interpreti e la costruzione dialogica rendono a tratti faticosa la messinscena; lo spettatore si trova di fronte a un oggetto teatrale non identificato: che vorrebbe avere un piglio da commedia ma senza quei guizzi che permetterebbero alle risate di liberarsi sinceramente, allo stesso tempo però il testo manca di aperture con le quali approfondire il tema e la semplificazione rischia di chiudere lo svolgimento in una strada senza via d’uscita. Questo prima dell’arrivo delle ultime scene, quando la scrittura di Aldrovandi ribalta la commedia aprendosi a un epilogo tragico che ha la funzione di intercettare una riflessione più ampia.
Il generale scopre le carte: il suo operato è dettato da un obiettivo alto, il folle desiderio di una fratellanza mondiale. La sua è un’utopia con cui nutrire uno smisurato ego che lo vorrebbe ricordato nella Storia come colui che ha fatto cessare la guerra. Aldrovandi disegna così un personaggio che è una sorta di pacifista d’azione, in grado di sacrificare vite umane per il raggiungimento di uno scopo ideale che a quel sacrificio dovrebbe essere diametralmente opposto. L’uomo si definisce come “il più grande pacifista della storia. Ma a differenza degli altri, che fanno manifestazioni, scioperi della fame o risoluzioni internazionali, io porrò realmente fine alle guerre. Almeno, ad alcune. Almeno, a questa.”
L’epilogo, anche grazie alle scelte registiche di Masella, rivela le note migliori dell’opera, quelle in cui crollano le certezze: il selvaggio, che ha quasi le fattezze di un alieno, vuole tutt’altro che la pace. Il sogno del generale di un’unica umanità omogenea senza popoli e stati, senza civiltà che lo compongono, è irrealizzabile: c’è solo un immenso odio.
Il lavoro, nonostante le dosi di ironia e il finale ben architettato, non riesce a problematizzare la questione: l’unico riferimento alla realtà storica, d’altronde, è rappresentato dai tableau vivant nei quali la soldatessa richiama le immagini relative alle torture di Abu Ghraib. Ma la guerra in Iraq sembra troppo lontana e la situazione conflittuale odierna distante da quel bipolarismo descritto nella pièce, Occidente – Selvaggi. Basti pensare al conflitto in Siria nel quale lo scacchiere internazionale è ben più complesso e deve tener conto del ruolo dei popoli confinanti e delle popolazioni locali schiacchiate spesso da interessi sovranisti nascosti nella guerra al terrore.
La parabola di Aldrovandi punta in alto, ma rimane un piccolo, seppur brillante, gioco speculativo privo dello slancio adeguato per spostare l’orizzonte di pensiero in modo decisivo.
Andrea Pocosgnich
Teatro Brancaccino, Roma – marzo 2018
IL GENERALE
di Emanuele Aldrovandi
con Ciro Masella, Giulia Eugeni, Eugenio Nocciolini
scena Federico Biancalani
luci Henry Banzi
costumi Micol J. Medda/Federico Biancalani/Ciro Masella
suoni Angelo Benedetti
cura Julia Lomuto
riprese Nadia Baldi
regia Ciro Masella