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Federico Tiezzi e Antigone. Perché ci serve la tragedia greca?

Federico Tiezzi dirige Antigone di Sofocle nella traduzione di Simone Beta con Sandro Lombardi e Lucrezia Guidone. La nuova produzione del Teatro di Roma in prima nazionale al Teatro Argentina. Una riflessione

Foto di Achille Le Pera

«Rigenerare un ruolo, una efficacia, una necessità attuale e piena dell’atto teatrale, oggi più che mai urgenti, in questo nostro presente amorale, dalla ragione polverizzata, sbandato e senza appigli certi, tanto risulta imprevedibile». Parole queste contenute in La tragedia greca ci serve, ancora e per sempre introduzione all’opuscolo di sala firmata dal Direttore del Teatro di Roma Antonio Calbi; incisive e epigrafiche, consapevoli e in grado di focalizzare l’attenzione sul contesto in cui questo Teatro Nazionale opera oggi quotidianamente. La funzionalità della tragedia, il suo contemporaneo adattamento e programmazione, è dunque ribadita con fare sentenzioso, che sembra volutamente scansare il dissenso. Ma all’ovvietà di un presupposto deve sempre palesarsi la possibilità dell’obiezione, empiricamente sperimentata.

Foto di Achille Le Pera

Dopo il successo di Calderón, Antigone di Sofocle per la regia di Federico Tiezzi è la «nuova monumentale produzione» presentata in prima nazionale al Teatro Argentina con una lunga tenitura (fino al 25 marzo) a segnare il secondo capitolo della trilogia che si concluderà nel 2020 con La tempesta di Shakespeare. Fresco di applausi per Freud o l’interpretazione dei sogni, il regista fiorentino – acclamato per il modo di presentare i classici attraverso una forma non ortodossa e incline a farsi contaminare da differenti linguaggi teatrali costituendo un prisma scenico di chiaroscuri visivi e di senso – sceglie di dotare questo adattamento, curato insieme al fedele Sandro Lombardi e Fabrizio Sinisi, di una traduzione «concreta e terrigna». A Simone Beta si deve dunque lo studio e il lavoro sulla lingua sofoclea e sui suoi contrasti, specchio di quelle stesse contraddizioni dell’Atene classica del V secolo. Approccio metodologico questo, utile alla volontà di Tiezzi di realizzare una sorta di «tractatus logico-philosophicus» del teatro. Come dichiarato in un incontro pre spettacolo ad interessare il regista è innanzitutto il personaggio come centro linguistico: come parla Creonte, e Antigone? Il coro, come si esprime e come prende parte al fatto? In ciò si deve dare merito alla traduzione di Beta per aver saputo cogliere nelle costruzioni sintattiche e nei differenti registri la specificità linguistica di ciascun personaggio: fredda e lapidaria è la dialettica di Creonte, i periodi sono infatti all’insegna della brevità e cesellati in un discorso sempre risoluto e inflessibile; appassionata e caparbia seppur nella sua impulsività è invece la riscrittura per Antigone, risonante nella strenua e convinta fedeltà alla legge della polis. Al coro invece spetta il linguaggio più elevato, che si pone al di sopra delle parti in quanto non prenderà posizione alcuna ribadendo fino al penultimo stasimo: «Terribile la forza del destino! E niente può fermarlo!».

Foto di Achille Le Pera

Al posto del sipario una cortina chiude il palcoscenico e su di essa è proiettato il crollo nefasto della civiltà ellenica, si disgregano statue, si frantumano vasi, tutto si sbriciola inesorabilmente nel video di Luca Brinchi e Daniele Spanò che come un prologo visivo – decisamente di maniera e dal gusto retrò, nulla a che vedere con la sperimentazione riconosciuta del lavoro dei due – apre la scena in cui le mura alte del palazzo sovrastano l’austera e algida tavola attorno alla quale siedono Antigone e Ismene. Sin dal prologo si percepisce dell’adattamento la lentezza: le battute, che nel leggere il libretto sembrano fluire nell’agile traduzione, si incagliano nella recitazione che nell’accentuazione dei toni, nelle grida e nel pianto delle due sorelle, si sforza di dotarsi di un ritmo di cui è priva. Lucrezia Guidone nei panni di Antigone e Federica Rosellini in quelli di Ismene sono già nel prologo vinte dal pathos che non avrà progressione alcuna in tutte le due ore di spettacolo e tale rimarrà fino alla fine, senza concedersi sfumature interpretative.

Foto di Achille Le Pera

La scena o tempo principale attorno alla quale Tiezzi decide di situare questo adattamento è quella di una sorta di ospedale-obitorio collocato in India e non direttamente nella contemporaneità. L’eco orientale dei canti e della composizione dei cori curati da Francesca Della Monica è funzionale, come spiegato dallo stesso regista, a restituire un’immagine sintetica che racchiuda in sé Oriente e Occidente. Se non fosse però che la cruda scena dell’obitorio di Gregorio Zurla, in cui il coro lava gli scheletri riversi sulle lettighe, seppur d’impatto nella sua imponenza di sterile e macabra dimensione, stride allo sguardo quando viene contrapposta alla musica dei canti orientali. In questa, la risolutezza della parola di Creonte insita nel testo si dissolve nell’interpretazione di Sandro Lombardi che cede alla complessità umana del ruolo rendendolo fragile e incoerente, pensoso e distratto da quella che lo stesso attore, parlando del suo personaggio, ha definito come «ostinazione per l’impossibile». Una confusione approssimata non risparmia né la direzione degli interpreti, la cui recitazione è infastidente e artefatta, preoccupata a colpire nell’isteria dei toni alti e disordinati invece che curarsi della fermezza della voce; né la capacità riconosciuta a Tiezzi di attraversamento dei registri teatrali che in questo caso cozzano tra loro sulla scena. La sensualità di Tiresia interpretata da Francesca Benedetti è decadente e grottesca nell’abito dalla meravigliosa fattura di Giovanna Buzzi, costume che purtroppo non trova nel personaggio una sua esaltazione ma appare piuttosto come la riprova di un vezzo di stile. Il cunto recitato in italiano da Annibale Pavone nei panni del secondo messaggero è a dir poco un salto mortale, azzardato perché fuori contesto e lontanissimo dalla dichiarata intenzione registica di affidare al messaggero/puparo la celebrazione didattica di Antigone come mito trasmesso alla società.

Foto di Achille Le Pera

Antigone nell’adattamento di Tiezzi nasce da uno scrupoloso lavoro sulla lingua del testo che non riesce però a diventare linguaggio scenico riconoscibile in una sua coerente organicità. La messinscena sbiadisce inoltre i contorni di quell’ironia tragica sofoclea: l’azione dei personaggi così diretta non può quindi essere fautrice nel pubblico di un’amara riflessione sulla sorte degli uomini, la sua ineluttabile prevedibilità della quale lo spettatore è consapevole si confonde con l’assenza di ritmo e la tensione politica si addormenta disperdendosi nei molteplici segni. Se la tragedia greca deve essere funzionale alla comunità degli spettatori di un teatro nazionale in un periodo di incertezze, sarebbe opportuno che lo stesso teatro si preoccupasse di veicolarne con cura il senso politico e sociale. Avremmo voluto sapere di Antigone, quale sia la sua voce nel 2018, quale il suo messaggio in grado di scalfire le pareti dell’ospedale obitorio in cui muore asfittico il nostro presente, sentir gridare la sua opposizione per comprendere il peso del suo dissenso. La tragedia greca ci serve, ancora e per sempre solo se non viene meno all’incontro con le nuove generazioni e se risulta in grado di trasmettere dialetticamente la propria autenticità di senso che non deve essere sostituita dalla monumentalità di un’operazione produttiva.

Lucia Medri

Teatro Argentina, Roma – marzo 2017

ANTIGONE
di Sofocle
traduzione Simone Beta
adattamento e drammaturgia Sandro Lombardi, Fabrizio Sinisi e Federico Tiezzi
regia Federico Tiezzi
con Ivan Alovisio, Marco Brinzi, Carla Chiarelli, Lucrezia Guidone, Lorenzo Lavia, Sandro Lombardi
Francesca Mazza, Annibale Pavone, Federica Rosellini, Luca Tanganelli, Josafat Vagni, Massimo Verdastro
e con Francesca Benedetti
scene Gregorio Zurla
costumi Giovanna Buzzi
luci Gianni Pollini
canto e composizione dei cori Francesca Della Monica
movimenti coreografici Raffaella Giordano
assistente alla regia Giovanni Scandella
canto e composizione dei cori Francesca Della Monica – movimenti coreografici Raffaella Giordano – assistente alla regia Giovanni Scandella

Produzione Teatro di Roma – Teatro Nazionale e Compagnia Lombardi Tiezzi
si ringrazi per la collaborazione il Comune di Spoleto e per il cunto Davide Enia

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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