In anteprima al Teatro India di Roma Canto la storia dell’astuto Ulisse della Compagnia del Sole, scritto e diretto da Flavio Albanese. Recensione.
Se al termine di uno spettacolo dedicato ai bambini scroscia un applauso fragoroso, c’è qualcosa che non va. L’applauso di quelle platee è diverso: perché decreti un reale successo deve avere una qualità del suono tutta particolare. Incredibilmente, più sommesso sembra alla chiusura del sipario, meglio è andato lo spettacolo. Significa che gli spettatori bambini erano molti. E le mani erano mani bambine. Che, battendo una sull’altra, fanno meno rumore di quelle adulte.
È accaduto anche al Teatro India di Roma, dove per tre giorni la Compagnia del Sole ha portato Canto la storia dell’astuto Ulisse, al suo sesto anno di repliche, in anteprima di una nuova produzione.
Metis è la parola greca antica per indicare la capacità di utilizzare l’ingegno adeguandolo alle più disparate necessità. Allora Flavio Albanese (che qui firma anche regia e drammaturgia) è un attore intriso di metis, un’attenzione elegante e piena di agio con cui riesce a maneggiare non tanto un controllo, quanto un dialogo con lo spettatore e con la sua capacità di ascoltare. Ciò che farebbe un ciclope con le sue povere vittime lui lo tramuta nella metafora creativa di un rito antropofago: si nutre dei respiri, dei cigolii delle sedie, dei commenti, dei gridolini, delle domande e delle serrate risposte, di ogni suono o movimento provenga dalla platea, per metterlo a regime dentro una complessa macchina del racconto.
Canto la storia dell’astuto Ulisse è un sapiente omaggio all’epica, nei suoi contenuti (oggetto di una meticolosa ricerca) ma ancor di più nel suo linguaggio, quella febbre del racconto che non porta all’estasi ma all’ipnosi. Sul palco, insieme ad Albanese, solo pochi strumenti: un ceppo di legno dove appoggiarsi o conficcare un gladio, un elmo che simboleggia l’eroe, una flotta di barchette di carta che digrada per dimensione a disegnare la prospettiva, percussioni stridenti e piatti di rame che fanno urlare i tuoni delle terribili tempeste, nel viaggio impossibile verso Itaca. E poi una tela a far da fondale. Ma è dietro la tela che si cela il suo vero interlocutore. Agiscono nel buio Stella Addario e Loris Leoci, muovono piccoli fari e manipolano la sagoma del cavallo di legno, mentre a Federica Ferrari spetta il soffio di vita infuso alle splendide ombre disegnate da Lele Luzzati: Polifemo, i compagni di viaggio, Calipso, le Sirene, la Maga Circe, l’idra Silla, le nuvole che portano a casa e – giunti lì – i Proci, Penelope e solo alla fine Ulisse stesso, mentre finalmente si riunisce col suo amore.
Questi manufatti di grande arte, prestati al Sole da Teatro Gioco Vita – che le aveva commissionate al Maestro nel 1983 per la propria Odissea e che oggi produce questo lavoro insieme al Piccolo di Milano – impreziosiscono l’immagine e firmano il trionfo di un teatro artigianale, un vero viaggio al confine tra il mare dell’immaginazione e l’arcipelago dell’umanità, evitando con prodigiose virate l’Ade della noia. E condividendo la magia del mito con un pubblico di bambini che, completando quasi tutte le frasi, ha dato prova di quanto radicati siano nel nostro immaginario questi gioielli della cultura classica. Un racconto che è di tutti, narrato da un eroe che è stato e resterà Nessuno.
Sergio Lo Gatto
Teatro India, Roma – marzo 2018
CANTO LA STORIA DELL’ASTUTO ULISSE
scritto e diretto da Flavio Albanese
con Flavio Albanese, Stella Addario, Loris Leoci
scene e sagome Lele Luzzati
animazioni ombre Federica Ferrari
collaborazione artistica Marinella Anaclerio
costumi realizzati dalla Sartoria del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
fonica e luci Luna Mariotti
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Gioco Vita, Compagnia del Sole