Il testo di Stefano Massini, L’odore assordante del bianco, è stato messo in scena da Alessandro Maggi con Alessandro Preziosi e prodotto dal Khora.teatro e dal Teatro Stabile D’Abruzzo. Recensione
Molti spettacoli teatrali si sporcano con il pregiudizio di presunti gusti raffinati, per dover poi cedere all’evidenza che l’aspetto cognitivo ha da lasciare il passo alla frattura emotiva. Viene in mente l’installazione dell’artista Jorge Mendez Blake Il castello dove l’impatto di un libro non scalfisce la solidità del muro, ma alimenta la stortura dello sguardo.
Vincent Van Gogh. L’odore assordante del bianco di Stefano Massini con Alessandro Preziosi e la regia di Alessandro Maggi ci dispone ad accogliere l’impatto, nella misura in cui ci apriamo a seguirne le diffrazioni emotive.
Nel 2006 Franco Quadri fece uscire per Ubulibri un volume che presentava i primi quattro testi di Stefano Massini, tra questi L’odore assordante del bianco, che aveva vinto il premio Tondelli nel 2005. Franco Quadri non è stato solo un editore, ha vissuto la casa editrice come esperienza teatrale, guardando alla drammaturgia non solo come deposito di storie, ma nervo scoperto del fare teatro. Allora proprio i testi di Massini – autore affermato, dalla scrittura prorompente, tradotto un po’ ovunque, – sembrano negli ultimi anni sollecitare le possibilità sceniche.
Qui la storia è quella di Vincent Van Gogh che a 36 anni, nel giugno del 1889 è ricoverato – solo in parte volontariamente – presso l’ospedale psichiatrico di Saint Paul-de-Mausole a Saint-Rémy-de-Provence. A qualche mese prima risale l’episodio controverso della mutilazione dell’orecchio, un primo acceso grido di allucinata visionarietà.
Già nel testo l’autore, presentando i personaggi, li posiziona su una linea melodico/cromatica: Vincent Van Gogh è la disperata sete di colore, il fratello Theo è una pacifica innocenza del colore, il Dottor Peyron è una traccia di colore nel bianco e poi il Dottor Vernon-Lazàre è natura morta, buio per assenza di stimolazioni luminose. Eppure sia il bianco sia il nero sono le condizioni in cui il colore si perde. Uno è luce, puro valore di chiarezza, l’altro è buio e si riconosce nel puro valore d’oscurità. Bianco e nero sono le posizioni limite di una tavola cromatica a cui pure però appartengono, sono le posizioni oscillanti in cui lo stesso Van Gogh vive i giorni di reclusione nella casa di cura.
Lo spazio scenico, realizzato da Marta Crisolini Malatesta, sfrutta le pendenze di un piano inclinato che pare arrivare fino in platea, il fondale ripropone il quadro Campo di grano con volo di corvi, ma in bianco, così come tutt’attorno bianca è la scatola scenica. Un contenitore infatti, o piuttosto una gabbia. Come il teatro usa la finzione quale strumento per creare un’altra realtà che, seppure più tangibile della realtà quotidiana, rimane sempre finta in accordo con il patto sincero stipulato con lo spettatore, così Van Gogh esplora il “confine tra verità e finzione, tra follia e sanità”.
Alessandro Preziosi ripercorre la natura fragile e irrequieta della vita dell’artista, ricostruendone la presenza a partire dal rapporto con il terreno. Aderire alla realtà? Toccare la terra? La scintilla di un personaggio che è tutto sofferenza e contorsione sembra nascere dal modo in cui Van Gogh/Preziosi si misura con un terreno in bilico; pavimento che è in parte realmente inclinato, proprio come una realtà distorta, mai limpida, mai lineare. Difficile muoversi a piedi scalzi opponendo resistenza alla gravità, i piedi di Van Gogh sembrano poggiare sulle spine, mai aderenti al suolo, sempre inquieti disegnano una danza che innerva tutto il corpo dell’artista. Alessandro Preziosi immagina il Van Gogh di Massini come uomo potente ma le cui grida di dolore partono proprio da questa scarsa aderenza al terreno. L’impressione è che senza vedere quel che accade a terra di questo spettacolo se ne lasci da parte una metà. Proprio come nell’opera di Jorge Mendez Blake, dove un solo libro incastonato a terra scomoda l’andamento lineare del muro – così possiamo guardare Van Gogh, un uomo scomodo che si muove tra serpenti.
In un clima ghiacciato, quasi senza tempo, o piuttosto lontano da un tempo, che da qualche parte pure esiste, Van Gogh non riconosce più il sogno dalla realtà, parla con suo fratello, lo implora di tirarlo via da quella scatola bianca, ma Theo, piu che personaggio reale, sembra essere frutto di un mondo tutto mentale e distorto e dunque inabile ad agire. Nella scena finale il Dott. Peyron sperimenta su Van Gogh la pratica dell’ipnosi, il bianco da corsia d’ospedale pian piano si scioglie, le venature gialle scaldano la scena, Vincent stende il braccio in aria, poi di colpo lo rilascia e cade a terra. Chi sei? Gli chiede il medico. “Sono ciò che resta di me stesso. La mia ombra, non la luce”.
Doriana Legge
Ridotto del Teatro Comunale (L’Aquila)
VINCENT VAN GOGH L’odore assordante del bianco
di Stefano Massini
con Alessandro Preziosi
Regia Alessandro Maggi
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
disegno luci Valerio Tiberi e Andrea Burgaretta
musiche Giacomo Vezzani
supervisione artistica Alessandro Preziosi
Coproduzione Khora.teatro, TSA – Teatro Stabile D’Abruzzo