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Abbondanza/Bertoni. Venti anni dopo, l’infanzia è ancora un romanzo

Settecento repliche dopo il debutto, Romanzo d’infanzia giunge al Teatro Fabbricone di Prato e al Teatro Biblioteca Quarticciolo di Roma. Una recensione e una conversazione con Michele Abbondanza e Antonella Bertoni.

Foto Marco Caselli Nirmal

Venti anni dopo restano soltanto asettiche cronologie: gli elenchi di nascite e morti illustri, le liste dei premiati e quelle degli sconfitti, le mappe degli eventi da ricordare. È l’anno dell’uscita statunitense di Titanic e del premio Nobel a Dario Fo, di Lady D e della sua corsa nel tunnel dell’Alma, dell’uscita in libreria di Harry Potter e la pietra filosofale. Sugli schermi televisivi scorrono le surreali immagini di un autoblindo in una deserta piazza San Marco a Venezia, quelle della polvere e dei calcinacci colorati sul pavimento della Basilica Superiore di Assisi, le acque del mare Adriatico con i corpi senza vita dei passeggeri della Katër i Radës. Si aggiudicano il premio Ubu Romeo Castellucci con Giulio Cesare, e Francesco Sframeli e Spiro Scimone come miglior nuovo attore e nuovo autore. Al Teatro Testoni di Bologna, piccolo tempio delle produzioni artistiche dedicate agli spettatori più giovani, va in scena un’opera inconsueta, nella quale la voce degli interpreti si interrompe di frequente per lasciare spazio alla danza: è quasi un racconto che Michele Abbondanza e Antonella Bertoni narrano con il corpo e disegnano con le parole. Romanzo d’infanzia ‑ questo il titolo dello spettacolo scritto e diretto da Letizia Quintavalla e Bruno Stori non è però un’immagine che la memoria trascolora, né un mero dato in un annale: è tuttora cronaca, eterna e ininterrotta attualità.

Foto Marco Caselli Nirmal

Venti anni dopo, e chissà quanti ancora. Bertoni rivela, al termine dello spettacolo, di avere in passato ipotizzato, in accordo con Abbondanza, di passare il testimone a interpreti più giovani: furono Quintavalla e Stori a convincerli di quanto la riuscita di Romanzo d’infanzia fosse coessenziale alla loro presenza in scena, e di come i due bambini protagonisti della vicenda fossero qualcosa di diverso da meri ruoli da vivificare sul palco. «Nina e Tommaso siete voi»: queste le parole con cui la regista e il drammaturgo opposero una piana obiezione ai dubbi e alle perplessità. Era la consapevolezza di quanti singoli eventi biografici dei due danzatori fossero confluiti nella trama ‑ le leggende cimiteriali ascoltate nella gioventù, o l’esperienza del collegio per Abbondanza ‑ ma soprattutto la coscienza di come quei personaggi fossero cresciuti dentro di loro, insieme a loro, e tuttavia non fossero mai invecchiati.

Settecento repliche dopo quel 26 gennaio 1997, Romanzo d’infanzia arriva adesso al Teatro Fabbricone di Prato nell’ambito della stagione Met Ragazzi, a dimostrare che quell’età di adamantino splendore, osservata attraverso il linguaggio del teatro-danza, è rimasta immutata nel corso dei decenni. Il web, i social network, i reality non sembrano avere minato la credibilità della vicenda, né quell’empatico rispecchiarvisi ‑ forse inconscio ‑ che i tanti bambini presenti in sala avvalorano. D’altra parte, racconta Bertoni, l’idea di sostituire alcuni passaggi chiave della drammaturgia ‑ ad esempio la minaccia ormai retrò del collegio ‑ con tópoi più affini alla sensibilità contemporanea ‑ come la requisizione di un telefono cellulare ‑ avrebbe minato l’identità stessa della creazione: che è quella del romanzo, capace di attraversare le epoche nella sua perpetua, immutabile identità.

Foto Dario Bonazza

Non a caso un cristallo ‑ eterno nonostante la sua fragilità, al contempo pericolosamente tagliente e straordinariamente affascinante ‑ domina come un piccolo totem lo spazio vuoto che accoglie la fiaba crudele di Tommaso e Nina. Dieci anni lui, otto lei, e in comune l’invidiabile resilienza dei più piccoli nel sopportare le violenze inflitte da chi dovrebbe proteggerli: quei genitori ai quali Bertoni e Abbondanza donano voce nei primi istanti dello spettacolo, in piedi ai due lati del palco, lo sguardo glaciale rivolto alla platea. Pronunciano parole di fredda crudeltà, un frasario fin troppo noto di luoghi comuni sulle mancanze attribuite ai figli da genitori distanti e anaffettivi, e ciò nonostante innocui se posti di fronte alla complicità che lega i bambini quando, oltre al sangue, condividono il proprio destino di vittime. È, quella di Abbondanza e Bertoni, una trasfigurazione repentina, che frattura la postura rigida della prima sequenza nei movimenti morbidi di due fanciulli, in una camminata circolare che assomiglia ben presto a una corsa liberatoria, in un giocoso abbraccio con il quale si augurano la buonanotte, là su quel proscenio dove forse l’ira degli adulti non potrà raggiungerli. Nella loro inaccessibile intimità, i due immaginano fughe da quella casa dove l’amore filiale è un’oscura chimera: verso la montagna, dove la gioia ha l’aspetto di un ballo caotico e irrefrenabile, o verso il camposanto, all’interno del quale scoprire che anche i bambini possono essere sepolti.

Michele Abbondanza e Antonella Bertoni, dalla straordinaria capacità attorale, sono ora Tommaso e Nina, ora i loro spietati genitori, ora le figure che la sorprendente fantasia dei bambini crea nei contesti più disparati: il gesto amplifica la drammaturgia, la sostituisce quando la parola si fa insufficiente e la vita, con le sue ombre, diviene ineffabile. Nina ammutolisce quando Tommaso è brutalmente picchiato dal padre: e mentre il corpo di Abbondanza si agita convulso e spezzato sul pavimento, Bertoni cerca di recuperare con le mani, dal fondo della propria gola, quella voce che non grida più.

Foto di Marco Caselli Nirmal

I bambini, soli in una casa grande quanto il palcoscenico, giocano a essere adulti: migliori di quelli che li hanno generati, capaci di «vedere sempre un bambino invisibile», come afferma convinta Nina in una sequenza che ‑ raccontano i coreografi ‑ acquisiva un significato diverso nelle repliche interpretate dalla danzatrice mentre era incinta del primo figlio. Venti anni fa, la rappresentazione di un universo familiare così feroce fu accusata di essere talmente diseducativa da poterla considerare una causa indiretta di piccoli drammi quotidiani avvenuti lontani dal palcoscenico, come quello che coinvolse un bambino fuggito da casa nell’hinterland milanese. E altrettanto trasgressivo fu ritenuto il medium scelto: quel continuo sfrangiarsi della recitazione nel movimento ne fece il primo spettacolo di teatro-danza destinato ai ragazzi, ma garantì inoltre alla creazione la possibilità di diventare apripista dell’arte coreutica in cartelloni e piazze storicamente restie a contaminare la prosa tradizionale con generi altri. Romanzo d’infanzia sembra essere uno spettacolo al limite, destinato perennemente a porsi al confine tra i linguaggi e le età, tra le risate dei bambini e la silenziosa e commossa partecipazione degli adulti, tra ciò che è lecito attribuire a quell’età ambigua e ciò che tuttora sembra illecito: ma d’altro canto, chiosa Abbondanza, «bisognerebbe ricordarsi che è il teatro stesso, a essere da sempre al limite».

Alessandro Iachino

Teatro Fabbricone, Prato – marzo 2018

Quintavalla – Stori – Compagnia Abbondanza/Bertoni
ROMANZO D’INFANZIA
testo Bruno Stori
coreografia e interpretazione Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
regia e drammaturgia Letizia Quintavalla e Bruno Stori
musiche Alessandro Nidi
ideazione luci Lucio Diana
elaborazioni sonore Mauro Casappa
costumi Evelina Barilli
fonica Tommaso Monza
luci Andrea Gentili / Nicolò Pozzerle
organizzazione Dalia Macii
ufficio stampa Francesca Leonelli
voce fuori campo vers. italiana Silvano Pantesco
coproduzione Teatro Testoni Ragazzi
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali – Dip. Spettacolo
anno di creazione 1997
vincitore del Premio Stregagatto 1997/98

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Alessandro Iachino
Alessandro Iachino
Alessandro Iachino dopo la maturità scientifica si laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Firenze. Dal 2007 lavora stabilmente per fondazioni lirico-sinfoniche e centri di produzione teatrale, occupandosi di promozione e comunicazione. Nel novembre 2014 partecipa al workshop di visione e scrittura critica TeatroeCriticaLAB tenuto da Simone Nebbia e Andrea Pocosgnich nell’ambito della IX edizione di ZOOM Festival, al termine del quale inizia la sua collaborazione con Teatro e Critica. Ha partecipato inoltre al laboratorio Social Media Strategies for Drama Review, diretto da Andrea Porcheddu e Anna Pérez Pagès per Biennale College ‑ Teatro 2015, e ha collaborato con Roberta Ferraresi alla conduzione del workshop di critica della Biennale College ‑ Teatro 2017. È stato membro della commissione di esperti del progetto (In)Generazione promosso da Fondazione Fabbrica Europa, ed è tutor del progetto Casateatro a cura di Murmuris e Unicoop Firenze.

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